Giustizia: il “Grande Inganno” della Riforma. Sentiamo un’altra campana

Si cambia tutto per non cambiare niente. Il dibattito sulla giustizia in Italia è una giostra che gira a vuoto da decenni. Il tema del giorno? La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Lo vendono come la chiave di volta per risolvere ogni male della giustizia italiana. Ma è davvero così? O è solo l’ennesima distrazione di massa?
Giustizia: l'aula di un tribunale italiano

La “Truffa” della Separazione delle Carriere

Prendete il solito dibattito: magistrati contro avvocati, politica che si spacca in fazioni e talk show che ripetono le stesse frasi fatte. Il problema, però, non è se il PM debba stare in un ufficio diverso dal giudice, ma se la giustizia funzioni. E la risposta è no.

Il problema vero è la lunghezza dei processi

Perché un cittadino deve aspettare dieci anni per una sentenza? Perché un’azienda fallisce mentre aspetta il giudizio su un credito? Perché il carcere è una discarica sociale invece di un luogo di rieducazione? Ma guai a parlarne: meglio distrarre l’opinione pubblica con battaglie ideologiche e riforme di facciata.

Giovanni Maria Flick lo ha detto chiaramente: la vera riforma è nell’efficienza del sistema, non nella burocrazia delle carriere. E l’esperienza internazionale lo conferma: in Europa, paesi con giustizie rapide ed efficaci non si sono mai posti il problema della separazione delle carriere. Qui invece, si vendono riforme inutili mentre il sistema resta marcio.

La Vera Emergenza: una Giustizia Lenta e Inaccessibile

Luca R. Perfetti mette le cose in chiaro: i diritti fondamentali non sono concessioni dello Stato, ma il fondamento della giustizia. In Italia, invece, se non hai soldi e pazienza, la giustizia non la vedi. Alcuni esempi?
– Processi infiniti che distruggono vite e imprese.
– Difesa inadeguata per chi non può permettersi un avvocato d’élite.
– Carceri sovraffollate, dove chi entra esce peggio di come è entrato.
– Giudici e avvocati che si parlano solo nei corridoi dei tribunali, mentre il cittadino aspetta.

Eppure il dibattito continua a girare intorno alle carriere dei magistrati, come se la giustizia fosse un affare loro e non dei cittadini. Una giustizia che non tutela i diritti fondamentali è una giustizia fallita, separazione delle carriere o no.

il giurista Gustavo Zagrebelsky (Lapresse)

Dal Simbolismo alle Soluzioni

Quello che serve è un ribaltamento di prospettiva. Marta Cartabia ha sottolineato più volte che il problema è culturale prima che normativo: la giustizia deve diventare un servizio al cittadino, non un apparato autoreferenziale.

Giovanni Maria Flick, presidente emerito Corte Costituzionale (Lapresse)

Cosa significa in pratica?

– Tempi certi: se un processo dura più di cinque anni, è un fallimento dello Stato.
– Risorse vere: più magistrati, più personale, più tecnologia, meno burocrazia.
– Alternative al carcere: la prigione deve essere l’extrema ratio, non la prima risposta.
– Giustizia riparativa: perché punire non basta, bisogna risarcire e reintegrare.

Semplice, no? Eppure, nulla di tutto questo è al centro del dibattito. Meglio parlare di separazione delle carriere e lasciare tutto com’è.

Diritto alla Giustizia, non alle Sceneggiate

Gustavo Zagrebelsky lo dice da anni: una riforma della giustizia che non mette al centro i diritti della persona è solo fumo negli occhi. Invece di discutere su quale ufficio mettere i PM, si dovrebbe garantire una giustizia più veloce, più equa, più accessibile.

Ma questo richiede una classe dirigente coraggiosa. E noi, da troppo tempo, ci accontentiamo di illusionisti.

 

Vincenzo Candido Renna

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