Un posto di blocco, un epilogo letale.
La morte di Nahel, il 17enne affiancato dalla polizia per un controllo e poi ucciso con un colpo di pistola di uno dei due agenti, ha scatenato vivaci proteste prima a Nanterre, residenza del ragazzo, poi nel resto del Paese: gli scontri più violenti sono avvenuti proprio nei sobborghi di periferia. Episodi che seguono di pochi mesi la ferocia registrata dalle proteste contro la riforma delle pensioni di marzo: insomma, non un periodo tranquillo per il popolo francese.
Ne abbiamo parlato con Giampiero Gramaglia, ex direttore dell’Ansa e corrispondente da Bruxelles, Parigi e Washington, con il quale è stato fatto il punto sulla vicenda anche in versione podcast su Spotify, Apple Podcast, Amazon Music e su tutte le piattaforme digitali di streaming musicale. Si può ascoltare il podcast cliccando qui:
Direttore, si dice che le proteste arrivino dai giovani che non si sentono più francesi. Che sta succedendo in Francia?
In questi giorni, in Francia stiamo assistendo a un movimento di protesta che si protrae nel tempo ma che dà l’impressione di andare scemando. Il tutto è legato all’uccisione immotivata da parte di un agente di polizia francese di Nahel, un ragazzo di 17 anni che stava guidando un’auto senza avere la patente, che pur avendo violato la legge non costituiva una minaccia per l’agente che ha sparato e lo ha ucciso. Ciò ha innescato questa ondata di manifestazioni e di proteste, anche violente.
Ma l’episodio di per sé non giustifica – per quanto tragico, drammatico e immotivato esso sia – la carica di rabbia che abbiamo visto esplodere nelle periferie di Parigi e delle maggiori città francesi. In queste zone c’è un carico di frustrazione e di tensione sociale, specie da parte dei giovani, molto elevato. In più è ormai noto che negli annali dell’estati francesi episodi di questo genere si rinnovano, favorendo momenti insurrezionali di protesta e di contestazione violenta.
Queste fiammate spesso si alimentano l’una con l’altra e poi a loro volta innestano forme di reazione da parte dei francesi che non condividono le ragioni o i comportamenti dei manifestanti. Quanto è avvenuto e quanto sta avvenendo ha un’origine immediata ma ha anche un’origine più lontana, nel contesto della stratificazione e delle disuguaglianze della società francese.
I gravi episodi di queste ore seguono le vivaci proteste relative alla riforma delle pensioni. Qualche anno fa i Gillet Gialli… Ma perché storicamente gli episodi in Francia sono così aggressivi?
Questa propensione ad esprimere la contestazione del potere di turno in modo anche violento accompagna da secoli la società francese. Del resto, buona parte della storia moderna dell’Occidente è segnata proprio dalla Rivoluzione francese, che rappresenta il prototipo di tutte queste fiammate di protesta, che però negli ultimi periodi sono effettivamente diventate sempre più frequenti, con motivazioni e partecipazioni sociali anche diverse.
Guardando per esempio agli ultimi cinque anni, si è verificata la contestazione a seguito del caro benzina da parte di piccoli imprenditori o gente che lavorava spostandosi e quindi aveva bisogno dei mezzi; poi a partire dall’autunno scorso la protesta non ancora superata per la riforma delle pensioni, che invece ha coinvolto i lavoratori i dipendenti e le strutture di lavoratori fortemente sindacalizzate e politicizzate, come per esempio i lavoratori delle ferrovie e dei trasporti pubblici. Adesso abbiamo questa protesta che invece vede protagonisti i ragazzi delle periferie. Quindi tre momenti di protesta che hanno nuclei differenti.
Forse ci vorrebbe un sociologo per spiegare l’intensificarsi delle proteste. Le cause sono diverse: potrebbe essere una maggiore polarizzazione della società francese rispetto al passato, o anche la particolare situazione politica legata alla figura dell’attuale presidente Emmanuel Macron e le modalità con cui si è arrivati alla sua elezione.
Ecco, a proposito di Macron, secondo lei i tentativi di mediazione pacifica del Presidente francese in questi giorni sono stati efficaci, troppo deboli o non si poteva fare altro?
Il ruolo del presidente Macron nel contesto delle proteste attuali è oggettivamente delicato. Mi pare che lui con il suo governo abbia finora interpretato in modo adeguato e corretto, partendo dalla vicinanza delle istituzioni alla vittima e alla sua famiglia, fino all’ammissione della responsabilità da parte di un servitore dello Stato che si è comportato in modo professionalmente inadeguato, con un risultato tragico.
Non ci può essere però tolleranza nei confronti di una protesta che degeneri in violenza con danni non solo a simboli istituzionali ma anche alle proprietà di migliaia di altri cittadini che vedono le loro auto danneggiate e bruciate, le vetrine dei loro negozi in frantumi, oltre ad episodi di saccheggio e di violenza.
Quindi, è necessario un intervento delle forze dell’ordine che sia però prudente nell’utilizzo della forza. In effetti, a parte un recente episodio a Marsiglia, la reazione delle forze dell’ordine di fronte alle proteste ha portato a moltissimi arresti che avevano soprattutto un effetto dissuasivo (vedendo i propri compagni di protesta fermati, la gente poteva essere indotta a tornare a casa). Abbiamo anche visto immagini significative di genitori che andavano a prendere i figli e li portavano lontani dalla protesta, non perché non fossero d’accordo con essa ma perché non erano d’accordo con le modalità della stessa e col pericolo che questa avrebbe potuto rappresentare per i loro stessi figli.
In sintesi, l’azione del Presidente doveva contemperare questo, vicinanza alla vittima e tutela delle istituzioni e degli altri cittadini che sono stati colpiti dalle proteste. Mi pare che finora sia riuscito a tenere una linea di questo tipo, assistito da quello spirito repubblicano che porta tendenzialmente i francesi a essere solidali con le istituzioni quando le vedono in pericolo.
L’Europa osserva la situazione dall’alto: potrebbe intervenire in qualche modo?
In un contesto di protesta interna, su una materia che riguarda la tutela dell’ordine pubblico che è di competenza degli Stati, l’Europa non ha potere di intervenire. Se dovesse emergere che nei comportamenti della Francia e della polizia francese (a parte il caso individuale dell’agente che è stato arrestato per aver ucciso il giovane Nahel) ci siano violazioni dei diritti umani o violazione delle regole di base di comportamento su cui le istituzioni europee hanno Corti che possono giudicare, come la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (un organo del Consiglio d’Europa), allora ci potrà essere un intervento in quella sede.
In più, è necessario affrontare un discorso politico: il presidente Macron è stato eletto nel 2017 e poi rieletto nel 2022 con programmi fortemente europeisti, più nelle dichiarazioni e nelle intenzioni che non poi nelle realizzazioni (almeno finora). Però, l’impronta rimane fortemente europeista. Credo che molti di noi abbiano ancora in memoria l’insediamento del presidente Macron: la notte delle sue prime elezioni il presidente attraversa il cortile del Louvre accompagnato dalle note dell’Inno alla gioia di Beethoven e Schiller, e soltanto quando sale sul palco viene salutato dalle note della Marsigliese, che si sostituisce in quel momento alle note dell’inno europeo.
Ma alle elezioni del 2022, la riconferma del presidente non è stata una scelta volontaria quanto piuttosto imposta per i francesi. Macron si è trovato ad affrontare al ballottaggio Marine Le Pen, che rappresenta una politica sovranista, xenofoba, anti-islamica e che ha avuto percentualmente più voti al primo turno che al turno di ballottaggio.
Molti francesi sono andati a votare per Macron proprio per impedire alla Le Pen di diventare presidente. Tant’è vero che poche settimane dopo essere stato confermato, Macron non ha avuto la maggioranza alle elezioni politiche ed è oggi un presidente senza maggioranza in una Repubblica semipresidenziale come quella francese, nella quale il presidente è anche di fatto il capo dell’esecutivo e quindi non deve esercitare delle arti di mediazione, che abbiamo scoperto finora non essere il suo forte. Sembra importante sottolineare che proprio la natura del movimento di Marine Le Pen, che rappresenta elettoralmente un terzo dei francesi, fa sì che molti dei suoi sostenitori sono portati in questa fase a scendere in piazza contro i manifestanti.
Perché i manifestanti sono cittadini francesi ma di estrazione immigrata, magari di seconda o terza generazione. Ovvero nati, cresciuti e scolarizzati in Francia, ma sono percepiti diversamente rispetto ai francesi tradizionali e tradizionalisti, che creano ronde anti-contestatori, fanno collette per la famiglia del servizio omicida. Per carità, nessuno vuole del male alla moglie e ai figli del poliziotto omicida, ma se proprio andasse fatta una colletta dovrebbe essere per la famiglia della vittima.
Concludendo, come già detto, la contestazione nasce da cittadini francesi di origini immigrate di seconda e terza generazione, diversi dal punto di vista dell’integrazione rispetto alla prima generazione. Questo perché la prima generazione di immigrati tende a confrontare il proprio livello di vita e di benessere con quello del paese dal quale proviene; quindi, non ha rabbia ma riconoscenza e soddisfazione per quello che ha. Chi nasce, vive e va a scuola in un determinato paese e si confronta con le opportunità che lo stesso riserva invece, sente di più la disuguaglianza e la differenza rispetto ad altri che sono nelle sue stesse condizioni. Questo è un terreno che negli ultimi anni ha favorito la radicalizzazione di alcuni elementi ed ora offre spazio alle proteste, anche violente, delle periferie francesi. Sempre ricordando che tutto questo è stato innescato da un atto criminale inaccettabile di un poliziotto francese nei confronti di un’adolescente di origine magrebina.
Simone Massaccesi – Redattore