Nelle democrazie parlamentari i governi sono il prodotto di coalizioni fra partiti. Le leggi elettorali utilizzate sono sostanzialmente proporzionali.
Non essendo le coalizioni pre-elettorali necessarie, i dirigenti dei diversi partiti preferiscono non impegnarsi e sono i segretari dei partiti a impostare e fare la campagna elettorale. I partiti con correnti spesso “giocano” con più punte. Capo del governo diventerà colui il cui partito ha conquistato il più alto numero di seggi in parlamento. Questa è la prassi nei sistemi politici europei: dalle democrazie scandinave alla Germania e all’Olanda.
Non viene effettuata nessuna ricerca di un federatore poiché i partiti desiderano mantenere la loro piena autonomia in previsione della formazione di coalizioni differenti nel corso del tempo e non sono disposti a sacrificare le loro specificità e la loro visibilità.
Nel molto complicato e tuttora non consolidato caso italiano hanno fatto la loro comparsa, necessitata e facilitata dalla legge elettorale Mattarella, due federatori: per il centro-destra Silvio Berlusconi nel 1994 (rimasto tale nel 1996 e nel 2001), per il centro-sinistra Romano Prodi nel 1996 (nel 2006 fu più che un federatore un revenant).
Federatore è colui che ha l’autorità e la capacità di mettere insieme diversi partiti ponendosi al vertice della coalizione pre-elettorale indispensabile per sfruttare le opportunità offerte da una legge elettorale che assegna i seggi in collegi uninominali (tre quarti del totale con la legge Mattarella).
Entrambi, Berlusconi e Prodi, provenivano dall’esterno del mondo partitico, ma non del mondo politico con il quale avevano intrattenuto, diversamente, molti rapporti importanti e continuativi.
La questione del federatore si pone oggi in Italia sia per il centro-destra sia per il centro-sinistra a causa della debolezza di entrambi gli schieramenti, aggravata per il centro-sinistra dalla sua, peraltro tradizionale, frammentazione (derivante anche dalle ambizioni di troppi piccoli leader).
Perduto Berlusconi, federatore strategico, astuto e spregiudicato, dotato di risorse in grado di soddisfare molti appetiti, il centro-destra sa che la sua “compattezza” è quasi obbligatoria e relativamente facile data la vicinanza politica delle priorità dei dirigenti e delle preferenze e interessi degli elettorati.
Stabilito che il leader, ovvero la persona da candidare alla Presidenza del Consiglio sarà chi ha ottenuto più voti, il federatore sarà l’elettorato. Nel nucleo grande della, a sua volta molto necessitata coalizione Partito Democratico- Cinque Stelle, i secondi sanno che non possono acconsentire senza colpo ferire alla candidatura “federante” di un esponente del PD. Il ceto dei professionisti della politica del PD si ritiene legittimato a guidare la coalizione e, contestualmente, a scegliere un eventuale federatore.
Molto improbabile è che faccia la sua comparsa un altro uomo come Prodi, che, per di più, godette della autorevolissima, irripetibile sponsorship di Nino Andreatta.
Per un brevissimo periodo fu l’ex-sindaco di Milano Giuliano Pisapia a accarezzare l’idea di agire come federatore della sinistra. Oggi, qualcuno potrebbe suggerire, anzi, suggerirà il nome di Beppe Sala, esempio di grade successo di un “civico” diventato amministratore efficace, potenzialmente in grado di unificare le sparse membra della sinistra.
Chi non crede negli uomini della Provvidenza, Prodi non fu presentato così e, comunque, quella potenziale aureola il cardinale Ruini si affrettò a negargliela, chi si chiede perché la Provvidenza o anche semplicemente l’ambizione non provveda a lanciare una figura di donna con qualità, deve giungere ad una constatazione accertabile con l’analisi comparata. Le donne di successo in politica dal Cile (Bachelet) alla Nuova Zelanda (Ardern) da Angela Merkel alle Prime ministre di paesi scandinavi, hanno tutte ingaggiato, combattuto e vinto (qualche volta anche perso come Ségolène Royal) battaglie decisive contro gli uomini. Fra le donne italiane in politica proprio non è possibile vedere nessuna simile propensione ad una sana conflittualità politica.
Ferma restando la mia diffidenza nei confronti di un federatore/trice della sinistra che venga incoronato dai dirigenti dei partiti federandi, il discorso non può essere spinto più avanti e meglio congegnato fintantoché non si saprà quale legge elettorale verrà congegnata e adottata.
Nella maniera più facile da apprezzare, se ci saranno molti collegi uninominali, la sinistra dovrà trovare, anche in un federatore, le modalità per dare vita ad alleanze. Comunque, il federatore (o la federatrice) dovrebbero iniziare presto a fare conoscere la loro disponibilità. Potrebbero anche chiedere la verifica del sostegno dei potenziali elettori in primarie organizzate in maniera decente. L’unica cosa sicuramente da evitare è il tentativo di trascinare Mario Draghi nel frastagliato campo della sinistra.
*professore emerito di Scienza politica dell’Università di Bologna