Elezioni, “cosa deve dire al centrodestra chi vuole bene all’Italia”

A chi sta davvero a cuore il centrodestra che serve all’Italia non deve difettare il coraggio della verità e l’etica della responsabilità.

Non qui e adesso, allorché gl’Italiani affrontano la legislatura del Parlamento amputato, che comporterà conseguenze politiche impreviste e imprevedibili. L’equilibrio dei poteri che abbiamo sperimentato finora, prima o seconda Repubblica che sia, cambierà.

Ma non sappiamo a favore di chi.

Tra le devastanti proposte del grillismo, l’amputazione del Parlamento sarà la più distruttiva. Sarà indispensabile un timoniere, individuo, partito, coalizione, che tenga la barra del sistema politico sulla rotta che ha consentito ad un Paese distrutto dalla guerra (la guerra suicida dichiarata da quella “macchietta” di Mussolini, così apostrofato dalla moglie Rachele) di diventare quasi prospero come una Signoria rinascimentale, però restando libero e democratico.

Gl’Italiani, anche dirigenti dei partiti, tendono a dimenticare un principio cardine della politica, cioè che la politica estera determina la politica interna non meno di quanto l’indirizzo nazionale determini le relazioni internazionali.

Le nazioni libere non sono davvero tali se, alle strette, sacrificano la libertà agli interessi e agli affari. Possono negoziare con gli Stati illiberali, ma non al punto da sottomettervisi per necessità economiche.  Il cosiddetto sovranismo è causa e conseguenza del nazionalismo malinteso, non meno del populismo che vi si accompagna. Sovranismo non può voler dire vivere in isplendido isolamento nella comunità internazionale, cogliere dalle altre nazioni solo le occasioni propizie, scegliere fior da fiore. Infatti le relazioni tra Stati sono soggette alla forza, alle affinità, alle inimicizie.

Grosso modo, l’economia può essere di quattro specie: collettivistica, dirigistica, corporativa, concorrenziale.

Chi vuol bene all’Italia deve dire al centrodestra che dirigismo e corporativismo sono esattamente le cause delle ingessature, del ristagno, delle discriminazioni che lo stesso centrodestra lamenta e intende riparare. Potrà mai riuscirci adottando specifiche misure dirigistiche e corporative nella presunzione di salvaguardare l’interesse generale mentre tutela interessi parasindacali di categorie?

A discapito degli interessi generali, che solo l’economia concorrenziale riesce a promuovere?

L’abbrivio elettorale del centrodestra dovrebbe fugare gli equivoci, che permangono a riguardo, per acquisire i voti degli “elettori mediani”, conservatori nel senso più nobile, che può essere espresso parafrasando un vecchio slogan elettorale della Democrazia cristiana: progresso nella libertà, senza avventure.

 

Pietro Di Muccio de QuattroDirettore emerito del Senato, Ph.D. Dottrine e istituzioni politiche

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