Da una settimana, incollata ai notiziari che non posso non seguire con ansia- come credo tutti quanti- me ne allontano ogni volta in uno stato di souffrance profonda e di inquietudine viscerale. Cinicamente penso anche che guerra scaccia guerra, ma poi mi risolvo a formulare un altro pensiero, a pormi un banalissimo interrogativo: “Com’ è possibile che il progresso e l’incivilimento continuino a portare con sé violenza e barbarie? Come si spiega che l’umanità avanzi con questo carico intollerabile di odio, aggressione, paura?”, ma mi dico anche che, come per ogni veleno, anche per questo ci deve essere un antidoto. Un antidoto vero e che funzioni davvero.
La risposta mi arriva proprio da una voce israeliana, una grande voce letteraria, quella di Amos Oz. L’antidoto contro il fanatismo, in ogni sua forma e declinazione, non può che essere la letteratura. Nel suo magnifico micro-saggio intitolato per l’appunto Contro il fanatismo ( titolo originale The Tubingen lectures. Three lectures) il grande scrittore israeliano pacifista, scomparso nel 2018, elabora una sintetica ma toccante riflessione su come curare il gene del fanatismo- specie quello identitario- che è insito in ognuno di noi.
Senza invocare una forma di relativismo morale assoluto, egli ci invita a considerare l’origine e il significato che ha la scrittura, in particolare quella narrativa che per suo statuto impone di immaginare l’altro. Scrivere un romanzo implica insieme ad altri oneri anche quello di svegliarsi una mattina, bere una tazza di caffè e iniziare a immaginare l’altro. E se fossi lei, e se fossi lui[…].Sarei potuto essere uno dei miei nemici[…]. Poiché il fanatismo prende sovente le mosse in casa, anche l’antidoto è reperibile nello stesso contesto, precisamente nel riconoscere la nostra comune natura di penisole. Metafora tanto realistica quanto poetica.
Partendo dalla citazione di John Donne “nessun uomo è un’isola”, Amos Oz propone di convertirla, con minore slancio mistico e maggiore senso del reale, in siamo tutti penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all’oceano, per metà identificati nella famiglia, lingua, cultura, nazione, tradizione e per l’altra metà soli di fronte all’oceano, aperti verso spazi diversi, per l’appunto “altri”. Aberrante e mostruoso è un pensiero e sistema politico-sociale che pretenda di farci percepire e comportare solo come molecole di terraferma, ma altrettanto improponibile -precisa lo scrittore- è trasformarci in un’isola. La condizione di penisola è quella congeniale al genere umano.
La letteratura, la buona letteratura può concorrere a immaginare e consolidare questa condizione che non è di confuso, indistinto amalgama, ma di contatto e insieme apertura e isolamento, di prolungamento che non implichi distacco. Penisola gli arabi e penisola gli israeliani: insolita, suggestiva immagine questa soluzione anticonflittuale proposta da Amos Oz nella lezione del 2001 Come guarire un fanatico!
Ma se oggi fosse vivo, cosa immaginerebbe per noi, di fronte alle atrocità commesse dalla punta estrema di una di queste due penisole? Sarebbe comunque ancora valida la premessa del suo ragionare? Che non è certo un almanaccare ozioso, come sento fare in questi giorni, mentre sangue e carne straziata dovrebbero invitare ad un vero “ragionare” sulla natura stessa del fanatismo, la cui consueta pretesa è: visto che secondo me quello è il male, lo elimino insieme a tutto ciò che gli sta intorno.
La premessa nel discorso di Oz è che Il fanatismo è più antico dell’islam, del cristianesimo e dell’ebraismo, più antico di ogni stato o governo, d’ogni sistema politico, più antico di tutte le ideologie e di tutte le confessioni del mondo. Il fanatismo è, disgraziatamente, una componente onnipresente della natura umana; un gene perverso, se volete chiamarlo così.
Più avanti ci regala un’altra efficace metafora, laddove definisce l’oltranzista un punto esclamativo ambulante e i non moderati gente affetta dalla “sindrome di Gerusalemme”: una Gerusalemme non tanto per costruirla quanto per crocefiggervi o esservi crocefissi o entrambe le cose.
Contro il fanatismo che non tollera mai alcun cambiamento, per il quale anzi il cambiamento è tradimento, che si nutre di rettitudine inflessibile e di un romanticismo senza immaginazione (giudizio stupendo!), l’antidoto non può che essere la parola illuministica e illuminata dalla ragione. Quindi la letteratura, cioè quella letteratura che sa iniettare immaginazione e speranza salutari nei suoi lettori e non piuttosto odio e nazionalismo intransigente.
Ma può – mi chiedo- la letteratura fare miracoli? Perché ormai di questo si tratta. Penso che la risposta di Oz sarebbe ancora una volta affermativa, almeno parzialmente, cioè purché si tratti di opere come quelle di Shakespeare, dove il fanatico è sempre infelice e tragico/comico per necessità intrinseca; o come i racconti di Gogol, i cui personaggi sono resi grotteschi dalla pervicacia delle proprie convinzioni, addirittura nei confronti del proprio naso! Umorismo contro il fanatismo. Certo, e non è un caso che gli israeliani moderati, quelli capaci come lui di vedere il punto di vista del prossimo e le sfumature, vi ricorrano spesso come fa anche Moni Ovadia, autore di testi teatrali incardinati sull’ ebreo che ride e sull’umorismo tragico.
Il fanatico al massimo può essere dotato di sarcasmo, che è una forma violenta del senso del ridicolo e spesso nasce dalla contrapposizione appunto inflessibile e priva di spirito, perché “Dove siamo integerrimi non cresce nessun fiore” ( Yehuda Amichai).
Ho riletto -per riportarne qui alcuni stralci- queste pagine di Amos Oz perché le ricordavo cariche di realismo e tolleranza, oltre che di cultura; ricordavo anche che era riuscito a farmi accettare la positività di una parola come compromesso. Parola che nel suo mondo è sinonimo di vita e di cui rivendica un briciolo di competenza essendo sposato da quarantadue anni con la stessa donna. [..]. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.
Caterina Valchera – Docente, filologa