Democrazia paritaria, occorrono leggi e un cambio di mentalità

Il nuovo Parlamento sia meglio riequilibrato nel genere e intanto si lavori per una nuova conseguente legge elettorale.

Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (articolo 87 della Costituzione). Ve lo immaginate che il cittadino o la cittadina prescelti possano non essere “in gamba”?  (copyright di Giuseppe Conte, NdR).

È possibile che siano un uomo o una donna qualsiasi? È accettabile che abbiano un curriculum non adeguato o non  pertinente? Ve lo immaginate? Infatti, l’esito è stato di chiedere al presidente Sergio Mattarella, notoriamente molto in gamba e che tutto il Paese ha giustamente ringraziato, di rimanere per un altro mandato pieno. 

Non è stata, dunque, neanche questa la volta “della” Presidente. È stata però la volta in cui si è avvertita l’esigenza emergente e non rinviabile della democrazia paritaria a tutti i livelli delle cariche istituzionali come priorità del Sistema Paese nel suo insieme.

Contemporaneamente, si è assistito allo stridente contrasto con la triste realtà della politica che, come efficacemente è stato detto sulle pagine di Beemagazine , ha vissuto la  propria Waterloo nella versione con cui è interpretata ora dagli attuali partiti. Si impongono, e sono tutte strettamente intrecciate, questioni vitali per la nostra democrazia.

Non è rinviabile l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, che richiederebbe ai partiti politici la vita interna democratica, così come non è più rinviabile affrontare la problematica del finanziamento pubblico e dei costi della politica, per consentire a uomini e donne di buona volontà e disposti a impegnarsi nell’interesse pubblico in uno specifico percorso, che preferibilmente parta dal territorio.

Ma non è più rinviabile neppure l’individuazione di meccanismi adeguati per garantire definitivamente la democrazia paritaria. Non è il tempo delle iniziative e dei  successi magari esemplari ma isolati, non sono sufficienti. I nodi sono tutti intrecciati e si possono dipanare per sciogliere la matassa e riaggomitolarla solo se se ne coglie l’interrelazione. 

Occorrono pazienza, impegno, consapevolezza ma anche visione e progettualità. Purtroppo la recente vicenda della Presidenza della Repubblica ha dimostrato che non siamo a un buon punto. Non solo non è stata eletta la Presidente ma, ed è cosa a mio parere più grave, le tante autorevolissime possibilità di candidature di donne non sono state vagliate, valutate e presentate come avrebbero meritato, per costruire le premesse per un futuro della vita delle istituzioni inclusivo e riequilibrato nel genere.

Dunque, abbiamo anche un nuovo e definito compito: occorre mettere un argine al modo semplificato e sbagliato con cui spesso si individuano, si selezionano e si propongono le proposte delle donne nelle alte cariche dello Stato. L’esperienza ci ha insegnato che sino ad ora si è proceduto con i danni concreti derivanti dagli stereotipi, col filtro del quale politici avvezzi e opinionisti  un po’ più sprovveduti sono intervenuti.

Senza questa consapevolezza il groviglio resta, la matassa non si riavvia. Perché mai quando si sono appalesate candidature di donne dai percorsi densi di impegno nella politica, nella società civile, nel contrasto all’illegalità sono state considerate divisive proprio per i loro curricula impegnativi che invece le legittimano?

Era divisivo Pertini? Era divisivo Napolitano? È un criterio bizzarro quello della divisività, che si usa solo per le donne, scambiando per caratterino o partigianeria inutile l’assunzione di responsabilità  e la chiarezza nelle posizioni.

E perché mai è stata considerata quasi una qualità la non conoscenza dell’orientamento politico culturale per candidature la cui presentazione è apparsa decisamente improvvisata o non pertinente? Ovviamente non mi riferisco ai curricula, rispettabilissimi, delle Signore interessate, ma alla presentazione ingenua o non condivisibile degli stessi: non ho mai sentito, per un uomo, sostenere che sia una qualità la non conoscenza dell’orientamento politico-culturale rispetto alle scelte  fondamentali per la vita del Paese.

Davvero si può confondere l’imparzialità , prevista dalla Costituzione per poter rappresentare il Paese nel suo insieme, con l’ignorare le posizioni rispetto alle opzioni politiche personali? L’imparzialità s’ incarna nelle istituzioni e si radica nella vita delle stesse solo quando, pur avendo reso pubbliche le proprie posizioni, chi è preposto a incarichi di alta responsabilità si comporta concretamente in maniera da sintetizzare gli interessi in campo, proponendo sintesi elevate non coincidenti con le proprie opzioni personali, che proprio per questo devono essere note.

Di norma, per realizzare tale difficile pratica dell’imparzialità bisogna anche aver avuto prima esperienze specifiche nell’ambito della politica, anche se non necessariamente di partito. Vale per gli uomini e non si comprende come non debba da tutti essere riconosciuto come prerequisito anche per le donne. Insomma, per ogni carica occorre un curriculum adeguato, e per la carica di presidente della Repubblica è stato deprimente assistere alle discussioni alle quali siamo state obbligate.

Abbiamo ancora tanto da fare per il pieno raggiungimento della democrazia paritaria nel nostro paese. Lavoriamoci sul serio, individuiamo soluzioni convergenti a partire dal confronto sulla riforma elettorale, che deve avere tra gli aspetti prioritari la declinazione per genere delle soluzioni individuate, al fine di garantire il riequilibrio. 

Lo abbiamo fatto nella scorsa legislatura, approvando gli emendamenti suggeriti da “Noi rete donne”(NRD) e dall’accordo per la Democrazia Paritaria, coordinato da NRD. I buoni risultati conseguiti hanno fatto di questo Parlamento quello con il più alto numero di donne. 

Impegniamoci ora anche perché il prossimo Parlamento sia ancor più riequilibrato nel genere e, soprattutto, perché le donne elette siano individuate per capacità, libertà di pensiero e di azione sperimentati, insomma siano “in gamba” e selezionate per questo e non sulla base della fedeltà ai capi di partito o peggio ancora delle correnti, dei gruppi di opinione o di pressione contingenti. 

La legge è necessaria solo perché le resistenze che continuiamo a incontrare sono difficilmente superabili e incrostate. Se i partiti volessero potrebbero procedere egregiamente alle selezione quantitativa e qualitativa delle candidature, garantendo un’offerta politica adeguata anche senza essere costretti dalle norme: giudichiamoli anche sulla base di questo.

 

Daniela Carlà – Dirigente generale della Pubblica amministrazione. Promotrice di “Noi rete donne”

 

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