Zingaretti: nella sanità il Lazio è all’avanguardia

Viaggio tra le istituzioni territoriali del Paese #2. Il Lazio è la seconda regione italiana per Pil. Urge completare la riforma del governo locale, tra le grandi incompiute del Paese. La mia ricetta per governare la Regione.

Con l’intervista al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, BeeMagazine continua il giro di interviste a presidenti di Regione e a sindaci delle principali città italiane. Per registrare le idee, le proposte, i motivi di orgoglio e di preoccupazione dei protagonisti delle amministrazioni regionali e comunali. Al termine di questo giro, che avrà insieme il valore di una inchiesta e di un sondaggio, Beemagazine farà una sintesi dei motivi comuni e delle eventuali differenziazioni. Potrà essere un materiale utile allo sviluppo del dibattito politico sulle autonomie e sulle varie criticità dei territori, e una diretta informazione ai cittadini.

 

La pandemia ha dato ai presidenti di Regione una nuova centralità, momenti anche di protagonismo. Quanto avete sentito il peso di dover gestire la situazione sempre in movimento?

Siamo costantemente al servizio della comunità: questo è l’obiettivo principale da amministratori locali. Con la piena consapevolezza del peso delle proprie responsabilità, più che di protagonismo, abbiamo fatto di tutto per venire incontro alle persone. La pandemia è piombata all’improvviso, ma per fortuna abbiamo potuto contare su un sistema sanitario efficiente. La performance della sanità del Lazio durante il covid ha sorpreso molti. Non noi. Perché conosciamo bene il percorso fatto in questi anni per il risanamento, l’avvio di una nuova stagione di assunzioni, dopo lunghi anni di blocco, e il costante miglioramento della qualità delle cure nel Lazio. 

Com’è stato possibile tutto questo?

Grazie a un sistema sanitario rinnovato siamo stati in grado di anticipare il virus, salvando vite umane, e poi di realizzare una delle migliori campagne vaccinali d’Italia, come mezzo per lasciarci alle spalle questo incubo. Per tutti i protagonisti di questa azione è stata durissima, in primo luogo per le donne e gli uomini che lavorano nella nostra sanità. Per quanto mi riguarda, ho avuto la conferma di poter contare su alcuni tra i professionisti, medici e scienziati migliori d’Italia. Ora questa enorme risorsa deve diventare la base su cui edificare la sanità di domani.

Sempre durante la pandemia, si è accentuata la difformità di decisioni e di posizioni tra le Regioni e il governo centrale e tra le Regioni fra loro. Si è sfiorata in qualche caso la torre di Babele. In casi così drammatici come una pandemia, riterrebbe necessario un unico centro decisionale a livello centrale?

Il Covid ha messo a dura prova tutti ed è stata una straordinaria prova corale. Mi soffermerei più sui punti di forza e gli elementi di unione, anziché sulle divisioni che sono potute emergere. Ribadisco, è stata una battaglia sanitaria possibile grazie a chi ha lavorato e ancora lavora negli ospedali e nei presidi sanitari per garantire h24 la presa in carico dei pazienti, alle istituzioni che hanno saputo connettersi e lavorare assieme e la risposta dei cittadini nell’adottare comportamenti che non minassero la salute pubblica, e grazie anche alla generosità delle imprese che hanno messo a disposizione spazi e risorse. Un’impresa collettiva di unione, coraggio e organizzazione. La campagna vaccinale è, credo, l’emblema di questa battaglia cruciale. Se c’è un insegnamento da trarre in questa vicenda è proprio quello di puntare sulla sinergia, sulla collaborazione.

L’istituto regionale, a livello di sentimento popolare, non gode, e non da oggi, di buona stampa. Quali sono i motivi secondo Lei? La percezione che si tratti di carrozzoni, di duplicazioni a livello territoriale del modello burocratico statale? Di costi eccessivi tra organismi pletorici e stipendi?

Sono presidente di questa regione da nove anni e non ho avuto questa percezione di distacco o lontananza tra noi che amministriamo e le cittadine e i cittadini che anzi, in maniera diretta, hanno la possibilità di sceglierci e che ci hanno confermato. Il livello regionale è di prossimità, a partire dai servizi sanitari, e se non funzionano, è facile risalire alle responsabilità. L’importante è sapere chi fa cosa. L’amministrazione regionale è sicuramente una macchina complessa che abbiamo in questi anni semplificato, snellito riducendo di molto i centri di spesa e puntando sugli investimenti. Siamo la seconda regione italiana per Pil e c’è un tessuto produttivo, imprenditoriale che ha bisogno di noi, di scelte politiche coraggiose e di una gestione trasparente, ancora di più oggi che stanno arrivando risorse mai viste prima dal Pnrr e dai fondi Ue 21-27. 

Cosa pensa dell’ipotesi di fare macroregioni e di ripristinare la provincia come ente intermedio e territorialmente più vicino ai cittadini? 

Sono un sostenitore dell’importanza di stringere accordi con aree vicine al nostro territorio regionale perché questo ci rende più forti e più pronti anche nella gestione di progetti comuni di sviluppo in vista dei tanti soldi europei in arrivo. Insieme ai miei colleghi presidenti di Abruzzo, Marche, Toscana e Umbria, abbiamo presentato un pacchetto ragionato di interventi possibili da fare insieme in quella che potrebbe chiamarsi macroregione del Centro Italia o Italia dei Due Mari. Il senso è che, anche al di fuori dei propri confini regionali, ci siano problemi simili da risolvere e insieme si fa meglio e più in fretta. Per quanto riguarda le Province, mi sembra chiaro che il processo di riforma di governo locale nella prospettiva di una riforma costituzionale che avrebbe portato al superamento delle Province e alla valorizzazione delle città metropolitane e delle unioni di Comuni si è di fatto arenato dopo la legge Delrio del 2014. Lo possiamo annoverare tra le grandi incompiute del Paese. Ecco, credo che in questa fase non sia più prorogabile un intervento deciso e veloce per completare il percorso interrotto.

Nella Conferenza Stato-Regioni, che è il luogo istituzionale del confronto tra Governo e amministrazioni regionali, i presidenti riescono più a fare squadra in nome di esigenze comuni, o prevalgono più problemi di schieramento politico?

La conferenza Stato-Regioni è un momento di confronto fondamentale. In particolare, in questi ultimi anni ha rappresentato una sede di dialogo molto importante. I presidenti di Regione lavorano a livello territoriale, e ogni regione ha le proprie specificità, ma non perdiamo mai di vista il fatto che siamo parte di un sistema Paese e che solo in modo unitario si possono vincere sfide e raggiungere obiettivi, come ad esempio i prossimi impegni che ci chiede l’Europa con il Pnrr.

C’è una ricetta per fare bene il presidente di Regione? La sua qual è?

La ricetta è il lavoro costante, quotidiano, in mezzo alle persone per risolvere problemi, venire incontro alle esigenze, ascoltare e trovare delle soluzioni nel nostro recinto di competenze. Lo spirito di servizio, il rispetto delle istituzioni e del ruolo che si ricopre, il senso del bene comune. Ecco, forse il sentirmi parte di questa comunità, aver scelto una squadra che come me lavora costantemente per raggiungere gli obiettivi comuni e la continuità amministrativa che ci ha consentito di realizzare nel lungo periodo i nostri impegni, sono punti di forza e un valore aggiunto. 

Qual è la cosa – un provvedimento, una decisione ecc. – di cui va più fiero?

Dal mio primo mandato in Regione Lazio sono passati tanti anni e tanti bilanci. Dalla regione vicina al default che ho trovato, con 12 miliardi di debiti pregressi, abbiamo in questi 9 anni lavorato per cambiare volto, rimettendoci sui binari della solvenza dei debiti in tempi certi e uscendo dal commissariamento della sanità, dopo dodici anni. Poter pagare le imprese entro una media europea e non dopo oltre 1000 giorni è stato uno dei primi obiettivi raggiunti per ridare credibilità a una Regione insolvente da anni, iniettando fiducia nel nostro tessuto economico e produttivo. Aver cambiato volto alla sanità, aprendo nuovi ospedali, rinnovando i macchinari, assumendo medici è stato un altro obiettivo raggiunto. Non è difficile immaginare che cosa sarebbe successo nel Lazio durante il Covid, senza questo percorso di risanamento. E poi, aver restituito ai cittadini il patrimonio pubblico, dal Castello di Santa Severa a WeGil, tra gli altri beni, e aver avviato uno dei più grandi interventi sul patrimonio di edilizia pubblica delle Ater degli ultimi 40 anni. 

C’è dell’altro?

C’è, infine, tutto quello che abbiamo fatto e stiamo facendo per le nuove generazioni e per le donne, che sono la grande forza di questa nostra regione troppo a lungo mortificata. Come ho detto all’inizio di questa avventura, bisogna essere onesti: non risolveremo tutti i problemi di questa regione, ma la lasceremo migliore di come l’abbiamo trovata. Ecco, sono orgoglioso di poter dire che ci siamo riusciti.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

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