Democratura, autocrazia elettorale, democrazia illiberale

Il vero e il falso dei regimi di cui si parla, con un riferimento all’Italia

Fioriscono negli ultimi tempi i neologismi per designare certi sistemi politici che, in sostanza, sono democrazie zoppe o così sembrano a chi le definisce tali, con riprovazione o compiacimento.

Le “zoppie” non sono tutte uguali.

Colpiscono differenti “arti” degli ordinamenti. Tuttavia, sempre alle democrazie fanno riferimento, cioè ai sistemi e regimi politici nei quali è il popolo che comanda, in ragione dell’uguaglianza di diritto, quella isonomia che per Erodoto è “il nome più bello di tutti”.

Ma chi sia il popolo e come eserciti il potere non è sicuro come parrebbe di primo acchito.

In Italia gli elettori fanno la democrazia eleggendo deputati e senatori e abrogandone certe leggi mediante referendum. Alla democrazia parlamentare, che è sovrana e nazionale, corrispondono le democrazie regionali e municipali, che sono subordinate e locali. Le tre istituzioni rappresentative costituiscono la democrazia politica. Il resto del sistema politico non appartiene alla democrazia ma al liberalismo o all’illiberalismo. Per chiarire il punto, non posso che richiamare Josè Ortega y Gasset che l’ha spiegato in modo esemplare:

Giovanni Sartori

 

“Liberalismo e democrazia sono due cose che all’inizio non hanno nulla da spartire, ma che finiscono con l’assumere due significati in antagonismo reciproco, per quanto riguarda le rispettive tendenze. Sono due risposte e due domande del tutto diverse”.

“La democrazia risponde alla domanda: ‘Chi deve esercitare il potere pubblico?’ nel modo seguente: ‘L’esercizio dei poteri pubblici spetta ai cittadini nel loro insieme’”.

“Ma questa domanda trascura di indagare quale debba essere la sfera di competenza del potere pubblico. Si preoccupa unicamente di determinare a chi spetti tale potere, e la democrazia risponde che tutti governiamo; ossia, che in tutti gli atti sociali siamo sovrani”.

“Il liberalismo risponde ad un altro interrogativo: ‘Indipendentemente da chi li esercita, quali dovrebbero essere i limiti dei pubblici poteri?’ Ed ecco la sua risposta: ‘Sia nelle mani di un autocrate o in quelle del popolo, il potere pubblico non può essere assoluto perché l’individuo ha dei diritti che sono al di sopra ed al di là di qualsiasi interferenza dello Stato’.” (citato da Friedrich A. von Hayek, La società libera, Rubbettino 2011, pag. 206).

Alla luce dell’impeccabile precisazione di Ortega, il termine democratura, anche per la durezza di pronuncia, sembra evocare un regime esecrabile per alcuni e auspicabile per altri. Le due parole, democrazia e dittatura, che per crasi danno luogo al neologismo democratura. non sono di per sé antitetiche.

Il Vocabolario Treccani attribuisce la parola democratura a Eduardo Galeano e la definisce “regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale”. Quindi, così intesa, la democratura non avrebbe molto a che fare con il dictator romano che accentrava i poteri ma scelto a tempo o con i moderni dittatori eletti ma diventati a vita. Sembra piuttosto alludere ad un governo bensì elettivo ma illiberale quanto al resto.

Aristotele – La scuola di Atene (Raffaello)

 

Da una deliberazione del Parlamento europeo pare scaturito di recente il nuovo termine autocrazia elettorale (chiamata “regime ibrido”) per indicare il regime di certi Stati membri dell’UE nei quali le elezioni più o meno libere insediano governi “antidemocratici” di fatto, falsamente democratici.

Negli ultimi tempi ha trovato credito anche la distinzione tra democrazia elettorale e democrazia liberale. La prima, nuda e cruda, sarebbe di per sé una vuota e finta democrazia. La seconda sarebbe invece piena e reale democrazia. Insomma, questi nuovi teorizzatori, come spesso capita in politologia, ripropongono Aristotele e i classici del liberalismo come nuove scoperte.

Autocrazia elettorale costituisce invece la stravagante definizione di un regime impossibile, se i vocaboli devono conservare il significato loro proprio. Qui, per non apparire tanto drastico nel giudizio quanto presuntuoso nei confronti del Parlamento europeo nientemeno, mi appoggio all’autorità di Giovanni Sartori, che ha scritto:

“Con il concetto di autocrazia arriviamo al contraddittorio, all’opposto che davvero segna il confine tra democrazia e altro. Il dilemma ‘democrazia o autocrazia’ non consente dispute di frontiera. Quando asseriamo che democrazia non èautocrazia, tertium non datur: siamo concretamente in grado di classificare tutti i possibili regimi in due sole caselle, come democrazie oppure no. Autocrazia è auto-investitura, è proclamarsi capo da sé, oppure trovarsi a essere capo per diritto ereditario” (Giovanni Sartori, Democrazia: cosa è, Rizzoli 2006, pag.133).

Dunque l’autocrazia elettorale inventata, almeno come formula, dalle parti di Bruxelles, serve ad indorare un’amara realtà piuttosto che a chiarirne l’essenza. Eufemizza anziché definire. Viene adoperata per prevalenti motivi politici, ma rimane sbagliata per la contraddizione che non la consente. Strettamente intesa e seguendo Sartori, l’espressione autocrazia liberale si attaglierebbe perfettamente alla monarchia britannica (se il Regno Unito non fosse anche una democrazia funzionante!), non già ai sistemi politici a cui allude l’UE biasimandoli.

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Resta da dire della democrazia illiberale, premettendo che l’aggettivo democratico ha finito per indicare presunte e vaghe qualità positive di persone, cose, scopi, e con ciò confondere i concetti che il nostro Ortega y Gasset tenne così ben separati. Quindi la democrazia, il governo rappresentativo per intenderci, può essere liberale, semiliberale, illiberale.

Ortega y Gasset

 

Il tasso di liberalismo, e per converso dell’illiberalismo, misura l’ampiezza e il grado delle libertà fondamentali godute dal popolo (per esempio elencate, ma non esaurite, dal Bill of Rights, gli Emendamenti alla Costituzione degli Stati Uniti), le quali sono implicate e connesse alla separazione e limitazione dei poteri.  L’Italia, avendo inventato il fascismo, soffre di una confusione aggravata, per così dire, rispetto a quella normale ingenerata nei semplici dallo scambio dei significati tra democrazia e liberalismo.

Il pasticcio logico e politico consiste in questo, che gl’Italiani in genere sono stati portati a credere che antifascismofosse quasi sinonimo di democrazia e liberalismo messi assieme, mentre più semplicemente significa avversione al fascismo. Se in negativo il significato di antifascismo è chiaro e preciso, in positivo non lo è affatto, con la conseguenza di un equivoco esiziale circa la natura del nostro sistema politico. L’equivoco può essere esposto e sintetizzato così: la nostra Costituzione è antifascista perché democratica, non democratica perché antifascista. Sebbene di per sé evidente, la negletta verità di questa proposizione dovrebbe risultare anche ai fanatici. Per esempio, il comunismo affettava antifascismo senz’essere né democratico né liberale. Tutt’altro. A parte la temporanea alleanza con il nazismo, Stalin fu un campione di antifascismo, restando autocrate e dittatore.

L’idea della democrazia illiberale, ben tornita dal pensiero liberale classico, trovò in Aristotele la prima nitida enunciazione nella sostanza, non ovviamente nel nome (Politica, 1291 b -1292 a). In epoca moderna, dal XVIII secolo ad oggi, la democrazia illiberale è conosciuta pure con il sinonimo di democrazia illimitata perché, nonostante le costituzioni e le corti costituzionali, la sovranità dei parlamenti ne ha fatto un potere pressoché assoluto alla stregua delle monarchie prima che venissero “costituzionalizzate”, cioè limitate dal contropotere dei rappresentanti del popolo.

Negli ultimi decenni l’ideale della democrazia liberale è stato purtroppo screditato.  La forma, il metodo democratico, ha prevaricato sulla sostanza, la libertà con separazione e limitazione del potere. La libertà è scaduta nel dirittismo, neologismo che inventai per designare la dottrina ufficiale secondo cui “ogni pretesto genera la pretesa di un diritto” (L’ideologia italiana, Liberilibri 2016, pag. 109). La limitazione dei poteri ha perso la funzione sua propria, originale e originaria, di preservare lo spazio libero dell’azione umana nel quale l’individuo coopera volontariamente con gli altri mediante l’autonomia privata. Cercai di esplicitare tali caratteristiche con riferimento al nostro sistema politico e sociale in una relazione presentata al XVIII Congresso del Partito liberale italiano convocato nel marzo 1984 in Torino.

La relazione divenne “un memorandum sull’Italia del 1984”, che fungeva da sottotitolo al libriccino che intitolai appunto “La democrazia illiberale”. All’epoca erano pochi a qualificare illiberale la Repubblica “nata dalla Resistenza”: ciò accadeva anche per effetto di quella confusione tra democrazia e liberalismo, che a livello popolare e nel cosiddetto “arco costituzionale” venivano considerati per errore quasi un’endiadi.  Nella relazione, la democrazia italiana veniva descritta come incompiuta perché illiberale e illiberale perché illimitata. Il Pli non tenne alcun conto delle argomentazioni che avevo esposto. Era proteso ad integrarsi nello status quo che pure criticava, ma sterilmente.

Inviai il libro a Giovanni Conso, all’epoca presidente della Corte costituzionale. Egli mi ringraziò, rara avis, con un biglietto nel quale giudicava il pamphlet “un esempio di idee chiare, chiaramente espresse e precisamente argomentate.” Aggiunse che il titolo era “brillantemente polemico”.  Forse fu una delle prime volte che l’illiberalismofosse associato in modo esplicito alla democrazia, non in teoria ma con riguardo ad un concreto regime politico sicuramente democratico. Il libro, tuttora reperibile, l’ho sfogliato per l’occasione.

Molte cose sono cambiate da quarant’anni. Ma, di quel memorandum sull’Italia del 1984, la struttura argomentativa resta attuale ed utile a mostrare e spiegare quanto e perché l’ordinamento sia tuttora difforme dalla democrazia liberale, cioè dal sistema politico in cui la sostanza del liberalismo classico non sia sopraffatta dalle pulsioni, tentazioni, eccessi del democratismo e sue varianti, come il populismo, il sovranismo, il giustizialismo (ovvero peronismo), eccetera.

 

Pietro Di Muccio de QuattroDirettore emerito del Senato, Ph.D. Dottrine e istituzioni politiche

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