Da un silenzio che non tace

Un libro di poesie di Carlo Alberto Augieri. Presentazione di Enza Biagini, Lecce, Milella, 2023, 186 pp.

“Le poesie pubblicate in questo libro ritraggono una costruzione dialogica io-tu-noi-mondo. Il titolo scelto da Augieri evoca un io-lirico che coglie e invita a cogliere il non-detto e il sottinteso”.

“Il silenzio non esiste rispetto al codice della lingua, ma è una componente fondamentale del linguaggio perché esprime quello che le parole non possono, non sanno, non vogliono dire. Il silenzio dice attraverso il non-detto, fa eco ai pensieri, ai sentimenti, alle emozioni e riferisce l’ineffabile, l’inenarrabile”.

“L’io-lirico di questa raccolta ascolta il silenzio, dà voce a chi non ha voce e modella l’unione con l’altro-da-sé”.

“Questa raccolta invita ad uscire dal proprio individualismo per tessere un’ontologia dell’ascolto svincolata dalle barriere della differenza e dell’indifferenza”.

 

La presente raccolta poetica di Carlo Alberto Augieri è costituita da versi incentrati al contempo sulla parola del silenzio e sul silenzio della parola. Prive di punto finale al rigo conclusivo, tutte le poesie di questo volume sono strettamente interconnesse tra loro e con il silenzio interposto tra una poesia e l’altra. Nascono dall’incontro con l’Altro e dall’ascolto dell’Altro e presentano una polifonia di voci e di silenzi contenuti tra e nelle parole che conferiscono infinite potenzialità semantiche al discorso.

Come è stato ampiamente dimostrato da diversi linguisti quali Humboldt, Benveniste, Meschonnic ecc., il silenzio non esiste rispetto al codice della lingua, ma è una componente fondamentale del linguaggio perché esprime quello che le parole non possono, non sanno, non vogliono dire. Il silenzio dice attraverso il non-detto, fa eco ai pensieri, ai sentimenti, alle emozioni e riferisce l’ineffabile, l’inenarrabile. Infatti, in alcune pratiche della vita sociale è adottato in forma di rispetto. E rappresenta una condizione di disciplina spirituale:  basti pensare al contesto induista e alle regole cristiane di clausura nonché alla definizione data da Blaise Pascal nel primo capitolo de Les Pensées dove esso è descritto come la via principale della contemplazione.

 

marcella leopizzi

 

Il silenzio fa parte del linguaggio, è nel discorso. D’altronde, Cicerone, Quintiliano e Seneca suggeriscono all’oratore di discorrere persuasivamente e di tacere efficacemente, proprio perché il silenzio è un atto di parola che stigmatizza l’indicibile. La terzina dei versi 121-123 del XXXIII canto del Paradiso di Dante («Oh quanto è corto il dire e come fioco / Al mio concetto! e questo, a quel ch’ì vidi, / è tanto, che non basta a dicer ‘poco’») esprime chiaramente il valore sussidiario del silenzio per suggerire idee e stati d’animo che non si possono tradurre in parole. Il silenzio è pertanto un fondamentale della dimensione connotativa del discorso e quindi della parola poetica, come ben mette in evidenza la distinzione fatta da Mallarmé tra nommer e suggérer. Esso veicola il mistero custodito tra e nelle parole e determina, di lettura in lettura, ogni volta differentemente, il superamento della denotazione.

In quest’ottica, il titolo scelto da Augieri evoca un io-lirico che coglie e invita a cogliere il non-detto e il sottinteso. L’io-lirico di questa raccolta ascolta il silenzio, dà voce a chi non ha voce e modella l’unione con l’altro-da-sé [esseri viventi (umani, animali, vegetali), oggetti, elementi della natura e del cosmo] ricorrendo ai cinque sensi. Penetra «nel canto di natura» (p. 28) per mezzo dell’udito, dell’olfatto e del gusto (cfr. «melodie» p. 58, «campane suonano» p. 82, «suoni» p. 88, «voci» p. 90, «suono» p. 155, «armonia» p. 155, «odore di treno» p. 58, «aromi a colori» p. 154, «sapore di natura» p. 62, «ulivo profumato» p. 122). Viaggia in silenzio e nel silenzio, dove «l’universale si congiunge con l’ognuno» (p. 34). Medita, riflette, (ri)trova se stesso e abbraccia l’universo come suggerito dai seguenti sostantivi ricorrenti nei versi:

cielo, sole, luna, nuvole, terra, colline, mare, sabbia, spiaggia, scogli, vento, nebbia, pioggia, rondini, colombe, farfalle, gaze, formiche, lumaca, agnello, ricci, pesci, girasole, chicco di grano, alberi, pino, foglie, rosa, fiore, piante, grasse, erbe, uva

Dialoga attraverso lo sguardo (Alla ricerca dello sguardo di sempre p. 66, Con lo sguardo artigiano p. 86, Con sguardo errante p. 88, Nello sguardo senza fuga p. 93, Sguardo con nuvole p. 98, Sguardo nel finalmente p. 116, Siccità nello sguardo p. 120, L’affaccio dallo sguardo inclino p. 140, Attesa con sguardo intento p. 144) e guarda per il tramite del cuore: si apre, accoglie, si offre.

Dal fuori di me

divengo e

già sono,

meta e ritorno dal mormorio

del mondo che mi

trattiene. (p. 132)

 

…senza la consonante del

suono a dare solco alla

ritrovanza tra eco di

te e bianco,

e biancospino (p. 179)

 

Tutti i versi presentano una dialogicità sostanziale perché nascono dall’ascolto assoluto e dallo sguardo totale ovvero dall’apertura piena all’altro-da-sé, al diverso-da-sé. Specchio dell’animo, gli occhi simboleggiano lo strumento comunicativo dell’unione e, di conseguenza, lo sguardo rappresenta un connettivo di rispondenze atto ad affondare distanze (p. 136) e a permettere l’assimilazione io-altro: chi guarda incorpora l’altro, lo accoglie a sé. E l’espressione «timpano dello sguardo» (p. 9) sussume questo nesso profondo tra ascolto e visione.

Fusione di sguardi, di voci e di sensazioni uditive, olfattive, gustative nonché di ricordi per ricongiungersi con il proprio passato e quindi con quella parte lontana ma non perduta dell’altro-di-sé, le poesie pubblicate in questo libro ritraggono una costruzione dialogica io-tu-noi-mondo. Affrontando una vasta polisemia di silenzi (silenzio-approvazione, silenzio-disapprovazione, silenzio-partecipazione, silenzio-disinteressamento, silenzio-complicità, silenzio-problematicità), l’io-poetico appare un io-inglobante costantemente in ascolto e sempre notevolmente immedesimato. Si cerca con e nell’altro, e si (ri)scopre grazie all’altro. Così, osservatore silenzioso di varie tranches de vie, l’io-lirico esprime l’importanza della relazione e della corrispondenza e l’urgenza di reagire all’intolleranza, ai pregiudizi, agli egoismi, alla violenza.

Evocati attraverso l’immagine della cecità degli sguardi e per il tramite dell’allusione all’incomunicabilità e alla sordità, i mali dell’animo e della società sono superati attraverso la prospettiva suggerita sin dal titolo di ascoltare il silenzio che non tace e che viceversa rischia di generare il rumore assordante dell’indifferenza e dell’insensibilità e, perciò, la pericolosissima assuefazione al male.

Infatti, nella poesia Nel silenzio che non tace (p. 92), il cui titolo fa eco a quello della raccolta, l’io-lirico vola «verso il fuori più fuori» nell’«allora di Dio»; se ne va «lontano nella radice di un libro […] dove il nulla prende forma nel biancore» e dove «si può scrivere con pieghe di nuvole e piogge e bagliori».

La poesia incomincia con tre puntini di sospensione che visualizzano il silenzio ovvero i pensieri inespressi e, tra detto e non-detto, l’io-poetico affida alla scrittura il «passaggio dalla fionda alla penna» ovvero un «cambio di volo». Egli quindi, come Alfred de Vigny, lancia la bouteille à la mer, e assegna alla parola (declinata attraverso i verbi «scrivere» e «inchiostrare» e i sostantivi «libro», «scrittura» «penna», «calamaio») il compito di ricercare la purezza (cfr. «biancore») e l’armonia con la natura (cfr. «nuvole, piogge») e con il divino (cfr. «Dio, paradiso»). Proprio come le novelle di Boccaccio che sono immaginate nell’intento di sfuggire alla peste intesa nel senso concreto e figurato, così, questi versi trovano nella scrittura la possibilità di raggiungere l’ideale e quindi di superare i drammi della realtà.
D’altronde, in quest’ottica, all’inizio della raccolta, l’io-lirico riesce ad affrontare le proprie fragilità e a guardare avanti con fiducia e con spirito rinnovato grazie al valore terapeutico della lettura-scrittura: «Socrate tra le leggi del covid» (p. 42), «con il covid a curarmi con Platone» (p. 43).

In queste poesie, in linea con altri suoi precedenti lavori (ricordiamo il saggio Cos’è la letteratura. Otto questioni dialogando con Augusto Ponzio, Milella, 1997), Carlo Alberto Augieri conferisce alla parola poetica e dunque alla letteratura finalità etiche e non soltanto estetiche nella prospettiva di un percorso di crescita e di rinnovamento:

Ma… resta il Girasole, il seme

Essenza a seme, volgimento

Al sole di domani,

il richiamo (p. 47)

 

colorare un altrove, fiori di gioia […] semine prossime (p. 52),

nell’attesa nell’alba (p. 118),

cercando l’arcobaleno (p. 126)

 

La poesia permette di proiettarsi con fiducia verso il futuro e rende altresì possibile il recupero e persino la riscrittura del passato:

Pompei, ultima scoperta: nel ventre del tempo (p. 54)

Pompei, umane pietre e tracce (p. 60)

Nel legno il fiore, o la fine nel non finire (p. 174)

 

Aprire l’armadio nella casa padre-materna e ritrovare nei vestiti le stagioni vissute… l’abito da sposa di mia madre, la sua veste larga del primo gonfiore ed ecco ancora il pigiama durante la malattia, prima del morire: e così la vita vestita rimane impressa negli armadi, la storia nel suo mostrarsi, partecipare, procreare, vivere come corpo in vita che dona la vita e la cresce e la educa, la scolarizza con i grembiuli ed i fiocchetti dell’infanzia tra giochi, segni, disegni…

I versi diventano un luogo della memoria che cristallizza l’istante suggerendo che ogni attimo potrebbe essere l’ultimo e che quindi, in virtù di ciò, occorre apprezzare al meglio ogni momento e imparare, prima che sia troppo tardi, a non sottovalutare il valore prezioso di ciò che si ha (cfr. «bacio nella partenza» p. 110, «saluto trattenuto nelle mani» p. 110, «l’amore nella mappatura delle partenze» p. 110, «nel non volere andare» p. 110, Dal vetro delle corriere p. 38, Nel futuro del sempre p. 124, Futuro in trasparenza p. 126, Madri in attesa p. 133).
Tra solidarietà e spiritualità, attraverso versi che si allineano con il proposito di Guillevic « nous ferons de la terre une cathédrale sans mur » (Guillevic, Paroi, Gallimard, 1971, p. 133), questa raccolta invita ad uscire dal proprio individualismo per tessere un’ontologia dell’ascolto svincolata dalle barriere della differenza e dell’indifferenza: «in una chiesina di campagna, senza porte» p. 29, «la religione della semplicità» p. 68, «la religione ecoumana» p. 69, «Chiesa solitaria di suore silenziose, maieute di sordomuti» p. 94.

Marcate da particolarità contestualizzabili nella realtà dell’io-biografico, le vicende (guerra in Ucraina, covid, naufragi) e le esperienze (Edoardo ci guarda p. 25, Riccardo e Giulio ci guardano p. 142, Cristina ci guarda p. 183, A suor Marta p. 72, Davanti la Chiesa delle Scalze p. 94, A suor Angela p. 106) delineate in questi versi assumono carattere paradigmatico e testimoniano l’orrore della guerra, il dramma della solitudine, il dolore della sofferenza, l’angoscia della perdita, il mistero della morte, il valore dell’amicizia, l’importanza della solidarietà e la necessità di amore.

Creazione di un io-biografico, la poesia nasce, per dirla con Marcel Proust, dall’incontro tra moi e je e determina un dire transpersonale universale sempre nuovo, sempre diverso e sempre attuale. Di recente pubblicazione, questa raccolta costituirà un dire anche per il lettore di domani. Leggendo questi versi si dà e si darà voce ad un silenzio che non tace, che dice, e che talvolta fa persino rumore.

Marcella LeopizziDocente di Letteratura francese nell’Università del Salento

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