Scriverò una frase ora che voi, alla quinta parola, inizierete sicuramente a canticchiare: “Tanta nostalgia degli anni novanta… quando il mondo era l’arca e noi eravamo Noè. Era difficile, ma possibile. Non si sapeva dove e come, ma si sapeva ancora perché”. E da qui, probabilmente, la canzone degli Articolo 31, non ve la ricordate più. Però vi suona in mente, come vi suoneranno i titoli Friends, Buffy l’ammazzavampiri o Matrix.
E non escludo che siano solo lontani ricordi, perché gli anni novanta sono tornati sul piccolo schermo e tra i preferiti di tantissime persone. Netflix gli ha addirittura dedicato una sezione sul proprio catalogo: Anni novanta che nostalgia. E dentro c’è di tutto. The Mask, per dirne uno: 1994, Jim Carrey e Cameron Diaz. Ma soprattutto Milo, il Jack Russell Terrier marrone e bianco che indossa un colletto a catena e che lecca l’orecchio del protagonista Stanley Ipkiss mentre sogna Tina, la bella e affascinante fidanzata del mafioso Tyrell. E pure La Mummia, Robin Hood – Principe dei ladri, Jumanji.
L’effetto che fanno è quello di quando si vedono post su Instagram che mostrano vecchie cassette musicali con vicino una matita: se non hai passato serate intere a riavvolgere il nastro che usciva dai vecchi stereo, vai oltre. Ma se lo capisci, fissi il post e rivanghi ricordi. Così per i film: la tentazione di riguardarseli è tanta, e per i più ormai è impossibile resistere.
Un’epoca semplice, rassicurante
Ma cosa rende oggi queste serie e questi film tanto attraenti? Anzitutto, la percezione che abbiamo degli anni novanta come di un’epoca più semplice e rassicurante rispetto a quella contemporanea. Non c’era l’iperconnessione di oggi, e nemmeno il bombardamento costante e continuo di notizie e contenuti digitali di ogni tipo. Tornare a guardare le gag leggere di Willy, il principe di Bel Air o le vite dei protagonisti di Friends, che dialogano più sul divano della caffetteria Central Perk di New York anziché al telefono, funge quasi da rifugio emotivo.
Questi spettacoli evocano un senso di familiarità, calore, rapporti interpersonali genuini che sono quasi un antidoto alle incertezze odierne. La narrazione è senza tempo, perché così sono le sue trame: amicizia, amore, difficoltà della vita adulta, tutte trattate in modo ironico e accessibile. Storie ancora rilevanti, capaci di parlare a spettatori di ogni età.
Ma rivedere oggi queste serie significa anche osservarle con occhi nuovi e diversi, da adulti e non più da adolescenti, sicuramente alla luce di valori più moderni e contemporanei. E potrebbe stupirvi sapere quanti temi e problemi che oggi sono oggetto di battaglie sociali vi erano probabilmente sfuggiti. Prendiamo, per esempio, Buffy l’ammazzavampiri: quello che ricordiamo tutti è uno sceneggiato per adolescenti con Sarah Michelle Gellar nei panni dell’eroina che lotta contro i demoni per un mondo sicuro.
Buffy, un esempio di resistenza
Ma non è anche – forse – la storia di una giovane donna determinata, indipendente ed emotivamente vulnerabile al tempo stesso, che nelle 144 puntate che compongono la serie sfida apertamente le figure di potere (maschile) che cercano di controllarla, come il Consiglio degli Osservatori? Potremmo oggi rivedere questo personaggio come un’aperta critica al patriarcato, che rende Buffy un esempio di resistenza verso gli stereotipi di una società oppressiva e maschilista?
Se non siete del tutto convinti, pensate allora alla relazione tra Willow e Tara: la prima è la timida e secchiona amica di Buffy, interpretata da Alyson Lee Hannigan, la seconda una giovane studentessa dotata di un naturale e potente potere magico che appare nella serie dalla decima puntata. Le due si incontrano a scuola e si innamorano in pochi episodi.
Una cosa normale, oggi. Ma è una relazione assolutamente pionieristica per gli anni novanta, che di certo non rappresentava in televisione relazioni ed effusioni omosessuali. Ed è un aspetto ancora più rilevante oggi, in un’epoca in cui l’inclusività è al centro delle narrazioni.
Un ponte culturale tra le generazioni
Ally McBeal, la serie andata in onda tra il 1997 e il 2002 e che raccontava la vita personale e professionale di un’avvocatessa impiegata in un bizzarro studio legale di Boston, è una serie che, mescolando comicità e dramma (e un pizzico di surrealtà, pure), affrontava temi come inclusività sul mondo del lavoro e parità di genere. La protagonista descriveva la sua solitudine, si confrontava con le aspettative della società e affrontava le difficoltà di chiunque debba bilanciare carriera e vita privata. Questioni ancora molto rilevanti per molte donne oggi.
In alcuni episodi lo sceneggiato tocca argomenti come la discriminazione, le differenze generazionali e la parità di genere, anticipando discussioni che sono diventate centrali negli anni successivi. Lo fa all’interno di un prodotto con molti limiti: basti pensare che lo studio legale Cage & Fish ha una diversità etnica minima – per non dire proprio nulla – e che le battute sessiste e i comportamenti inappropriati sono all’ordine del giorno.
Se da un lato questo è funzionale al tono surreale e satirico della serie, dall’altro oggi verrebbe criticato per la mancanza di condanna di queste dinamiche.
È innegabile che gli anni novanta siano stati un periodo di transizione: abbastanza vicini all’era digitale per intravedere il futuro, ma ancora radicati in un mondo più analogico e tangibile. Gli sceneggiati di quell’epoca riflettevano una realtà che oggi può sembrare meno frenetica, più lineare e, per certi versi, più autentica. Ma non solo, queste serie oggi stanno creando un ponte culturale tra la generazione di chi le ha seguite in tempo reale e i giovani spettatori che le scoprono ora per la prima volta.
Mitologia degli 883
Tutti ingredienti che hanno contribuito all’enorme successo (anche tra gli under 30) di Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883. La serie è stata realizzata ora, ma la storia è del famoso gruppo musicale che ha iniziato la sua carriera proprio negli anni novanta. Spotify Italia – la piattaforma di streaming musicale – disse ad Adnkronos che con la trasmissione della serie si è registrato un aumento degli ascolti delle canzoni del duo pavese sulla piattaforma streaming.
Secondo la certificazione Fimi, Federazione industriale musicale italiana, nella 42esima settimana (14-21 ottobre, quindi a tre giorni dalla prima puntata in onda della serie, ndr) ben tre brani degli 883 hanno conquistato importanti riconoscimenti: disco di platino per Sei un mito (1993) e disco d’oro per Ti sento vivere (1995) e Bella vera (2001).
Il noto fumettista romano Zerocalcare, a Repubblica, l’ha commentata così: “La serie ha avuto l’intelligenza di declinare alcuni dei temi degli 883 con la sensibilità di adesso, che evidentemente e per fortuna è cambiata rispetto a 30 anni fa. Quindi c’è tutta la potenza di quella poetica, integrata con almeno un po’ di quel punto di vista femminile che negli ultimi anni si è conquistato una voce forte e non subordinata”. “Ho riso un sacco – ha aggiunto – e me so’ commosso, rosico solo che non sono stato capace a scriverla io”.
Francesca Carrarini – Giornalista