Il licenziamento del lavoratore per il superamento limiti del comporto, a causa dell’assenza per malattia da contagio Covid-19, è illegittimo. È quanto deciso dal Tribunale di Palmi, il 13 gennaio 2022.
Il lavoratore che, a causa di una prolungata assenza per malattia da contagio Covid-19, non può essere licenziato. A specificarlo. la sentenza emanata del Tribunale di Palmi, lo scorso 13 gennaio. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Luciano Racchi, partner di Legalitax (Studio legale e tributario).
“L’art. 2110 del codice civile – spiega l’avvocato – dispone che il datore di lavoro debba sopportare la mancata prestazione del suo dipendente, in caso di malattia, come rischio di impresa. Ovviamente non a tempo indeterminato, ma nel limite di tempo stabilito per ciascun settore dai contratti collettivi. Superato tale limite, il licenziamento può essere intimato senza necessità di ulteriore motivo. È interessante capire se, e in quale modo, il legislatore abbia affrontato il problema con riferimento alla malattia di infezione da Covid-19. Per questo occorre citare l’art. 26. In sostanza, viene spiegato come l’assenza del servizio, determinata da provvedimenti dell’Autorità di sorveglianza sanitaria fiduciaria al domicilio di quarantena precauzionale, debbano essere equiparati a malattia ai fini del trattamento economico. La norma, però, aggiunge che tali periodi di assenza del servizio non possono essere computati ai fini del superamento del contratto di malattia”.
Immagino quindi che il problema sia proprio qui…
“Sì, suona apparentemente inutile, poiché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di comprendere quei periodi di assenza nel calcolo del superamento di comporto, non trattandosi, altrettanto evidentemente, di ipotesi di malattia. Soltanto la legge di conversione del decreto legge n.18 del 2020 (legge n. 27 dell’aprile successivo) affronta la questione sanando l’omissione, escludendo dal computo del comporto anche le ipotesi in cui l’assenza del lavoro sia conseguente ad un provvedimento di isolamento obbligatorio, ossia ai casi di effettiva contrazione dell’infezione da Covid-19.
Su questo, a gennaio ha fatto chiarezza il Tribunale di Asti
Alcuni giuristi sono intervenuti riferendo che i licenziamenti fossero legittimi, in vigenza del decreto legge n.18, poiché si era tenuto conto del periodo di isolamento obbligatorio e non dei periodi di quarantena precauzionale. Con l’ordinanza del 5 gennaio scorso, però, il Tribunale di Asti ha dichiarato non superato il contratto di malattia ed illegittimo conseguentemente il licenziamento, sul presupposto che una norma giuridica debba sempre essere interpretata per avere un senso. Sostanzialmente viene correttamente sostenuto che non possa dichiararsi inutile una norma giuridica, anche se apparentemente lo sembra. Il Tribunale ha quindi dichiarato che l’art. 26 del decreto legge n.18 deve interpretarsi nel senso di ricomprendere ogni e qualsiasi ipotesi di assenza della prestazione dal lavoro in connessione con la situazione pandemica, secondo una ratio generale che sarebbe volta a tutelare comunque i lavoratori nella peculiare situazione epidemiologica, ivi compresa quindi la causale malattia 19, anche se non espressamente inclusa.
Simone Massaccesi – Redattore