Cinecittà, esterno giorno. Un leggero drappo rosso viene fatto scivolare via e svela una scritta all’obiettivo di fotografi e cameramen pronti a immortalare il momento. Viale Francis Ford Coppola. A guardare commosso la scena il regista, 85 anni, che poco prima nel ricevere la chiave degli studi cinematografici di via Tuscolana, a Roma, aveva ricordato come da ragazzo per lui e quelli della sua generazione “Cinecittà era la vera Hollywood” e Roberto Rossellini “un maestro”. Un appellativo che per se stesso rifiuta – “Non sono un pezzo grosso” – a favore, invece, di un altro tipo di riconoscimento. “Per me non è importante il mio cinema, ma il cinema. E la migliore ricompensa è che un altro regista venga da me e mi dica: ‘Ho cominciato a fare film dopo aver visto i tuoi’”.
Megalopolis? O lo ami, o lo odi
Cravatta blu scuro e un completo grigio chiaro che nasconde un paio di calzini spaiati colorati con fantasie geometriche, Coppola cammina leggermente ricurvo sulla schiena, ma si rifiuta di farsi riprendere con il bastone. Sorride e fa piccoli cenni di saluto con la mano alle decine di persone che lo circondano e lo chiamano per scattargli una foto o registrare un video.
Il sei volte premio Oscar è arrivato nella Capitale per accompagnare il suo ultimo film, Megalopolis – in sala dal 16 ottobre con Eagle Pictures e preapertura della Festa del Cinema di Roma e Alice nella città – in uno degli anni più difficili della sua vita. Lo scorso aprile sua moglie, la documentarista e sceneggiatrice Eleanor Jessie Coppola, è morta a 87 anni.
Neanche un mese dopo – e svariati articoli usciti sulle testate di settore più prestigiose che parlavano di un film senza mercato – il cineasta italo-americano ha presentato la pellicola a Cannes 77 dove è stata accolta da reazioni fortemente contrastanti. “Il cinema è fatto di arte e business”, commenta Coppola seduto su una poltrona della sala Fellini di Cinecittà.
“Chi si occupa del secondo aspetto vuole che i film vengano realizzati in base ad una formula predefinita come quella della Coca Cola che, in un certo senso, crea dipendenza e viene propinata al pubblico sempre uguale. Un cinema che non corre rischi. Ma io credo che il cinema sia arte. Per Megalopolis non volevo usare la formula, volevo un finale gioioso, pieno di speranza. Credo che sia stato accolto come lo fu Apocalypse Now. O lo amavi o lo odiavi. E la stessa cosa sta accadendo ora”.
Dietro le quinte
A luglio Variety ha pubblicato un video del dietro le quinte del film alludendo al fatto che il regista avesse avuto comportamenti sessualmente inappropriati nei confronti di alcune comparse sul set di Atlanta. Per tutta risposta Coppola ha presentato una causa per diffamazione contro il magazine e due dei suoi giornalisti chiedendo 15 milioni di dollari di risarcimento. Come se non bastasse lo scorso agosto Lionsgate, distributore americano del film, ha ritirato il trailer a poche ore dalla diffusione ammettendo di “aver fatto un casino” inserendo delle citazioni inventate probabilmente utilizzando l’intelligenza artificiale.
A questo va aggiunto che per i freddi dati del box office la pellicola è da considerarsi un flop: quasi 11 milioni di dollari incassati nel mondo finora al fronte del 140 spesi di tasca dello stesso Coppola per produrlo e distribuirlo.
Un pensiero fisso, un’ossessione che dagli anni Ottanta non lo ha mai più abbandonato. Un’epopea che vede al centro lo scontro tra un architetto geniale e utopico con il potere di fermare il tempo, Cesar Catilina (Adam Driver) e il sindaco ultraconservatore di New Rome – una New York idealmente discendente dall’impero romano – Franklin Cicerone (Giancarlo Esposito). Due visioni opposte per un film mastodontico e così ricco di tematiche da far impallidire buona parte delle grandi produzioni contemporanee.
L’arte è cambiare. Sempre
Il racconto di una società al collasso e un sogno per il domani racchiuso nelle mani di un uomo che per vivere immagina e costruisce nuovi mondi. Impossibile in quel declino non vedere un parallelo con gli Stati Uniti di oggi.
“Penso che la repubblica americana sia esposta ad un grandissimo rischio”, ammette il regista. “Ma dovremmo ricordare quello che diceva Pico della Mirandola: ‘L’essere umano è un genio capace e in grado di risolvere qualsiasi problema si trovi ad incontrare’”. Un messaggio di speranza come quello che pervade ogni secondo di Megalopolis fino alla sua immagine finale. Un film indubbiamente imperfetto, eppure indubbiamente confortante. Nonostante tutto.
Perché immaginato da un regista architetto che crede nel futuro. “Il cinema dei vostri nipoti sarà così diverso dal cinema di oggi che lo non possiamo nemmeno immaginare. E questo è un bene, perché l’arte dovrebbe sempre cambiare”.
Manuela Santacatterina – Giornalista