Canto del Gallo/22/Paura. Ominide. Uomo. Post…

I media, nuova cappa che riveste il mondo, appoggiandosi sulla rete dei

meridiani e dei paralleli, come una nuova pelle, rimandano ad una nuova

era antropologica, in cui le notizie sono istantanee e quindi prendono

l’aspetto, della instabilità, della moda in senso ampio.

Un succedersi continuo di segnali, che per la loro velocità, che si approssima (si fa per

dire) a quella del suono (quella della luce è ancora inarrivabile) non ci

concede nessuna pausa di riflessione, né in etica, né in estetica, inducendo

alla proliferazione degli analecta, raccoglitori e compilatori, che cercano di

rallentare il tempo, separando il grano dal loglio e istituendo una linea

ermeneutica elitaria, che spezza in due la piramide sociale, divenente

(più che divenuta) sempre più verticale nella parte superiore, sempre più

orizzontale quella inferiore.

Tanto che diventa ipotizzabile un suo tattile sezionamento in due parti, che potrebbero, per il venire meno della

porosità intermedia, divenire non comunicanti. Il tratto comune diventa la paura, paura di non essere, paura di

non avere, a sufficienza, per andare in alto;

la paura di perdere l’effimero che si ha, per rimanere dove si è. Una paura

“intellettuale” in alto, una paura “viscerale” in basso.

La nostra narrazione antropologica parte dall’ominide che non si accorgeva nemmeno di essere,

vivendo in una biologia totale, che non era né vita né morte, ma un frettoloso

passaggio in cerca di cibo, nella panacea di un sesso, senza intermittenza.

L’uomo come tale nasce, paradossalmente, con la scoperta della morte, da

cui derivano tutte le attività mentali elevate, di nomenclatura, di agricoltura,

di cronometria, di architettura.

Tutte misure che portano all’amplificazione della memoria, fino all’invenzione della scrittura, che è

il vero salto di qualità, quello che ingloba tutto e struttura la scoperta della divinità (fatta di tavole

della legge, bibbie, codici ermetici, libri vedici…) fino alla filosofia e alla scienza,

facendo iniziare la storia, della commedia e della tragedia, che lasciano il posto

alla ragione, come capacità di computo del vero come specchio del reale, fino

alla prova contraria, in opposizione al dogmatismo. Post, è tutto.

E non è che l’inizio, dell’abolizione delle distanze e di un deperimento del tempo come

entità a se stante, che neanche l’alternarsi giorno/notte, con la differenza di

meridiani, che a partire da Greenwich, che distacca ogni oriente da ogni

occidente, riesce più a fermare, con un online a tempo pieno, sconvolgente,

passati presenti futuri, in un melange, in cui servono e serviranno nuove

regole di noetica.

Ci dobbiamo giocare, continuamente, i tre periodi ipotetici,

della realtà, della possibilità, della irrealtà, ad essere emulsionati velocemente,

per cui non bastano i ragionamenti logici classici, ma urgono nuovi strumenti

che abbiano un alert e un timing, adeguato, a non calpestare le mine, cadere

nei gorghi, a non sbattere nei pieni, perdersi nei vuoti; tutte cose che non

vengono dal caso o dalla necessità, ma che vengono dalla nostra volontà,

facendo collassare positivismi e occultismi, nuove trame di neo sincretismi e

neo catarismi.

Siamo noi che dobbiamo stare al centro: intelligere.

 

 

Francesco Gallo MazzeoProfessore emerito dell’ABA di Roma. Docente di linguistica applicata nuovi linguaggi inventivi delle arti visive  al Pantheon Institute Design & Technology di Roma e Milano

 

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