Cultura

Ministero della Cultura, da Spadolini a Sangiuliano: metamorfosi di un costume

Non è che la toppa conclusiva -a dire il vero un po’ in ritardo- messa con la scelta di una persona dignitosa come il nuovo ministro Giuli aggiusti i troppi cocci lasciati sul terreno dalla vicenda Boccia-Sangiuliano conclusasi con le dimissioni del ministro. Basti pensare, che nelle scorse settimane, tanto più in vista del G7 dei prossimi giorni, l’Italia ha avuto l’onore di essere sulle pagine dei giornali di tutto il mondo non come il paese col più grande bacino di cultura, ma come il paese delle Boccia e dei Sangiuliano… Quasi il “Diario notturno” di Flaiano Della vicenda del ministro Sangiuliano si sono occupati e si stanno occupando, specie quanto agli aspetti di colore, costume e quant’altro – anche troppo – i giornali. Basta dire, a questo proposito, che sembra che una mano invisibile abbia voluto pescare da note e racconti brevi del “Diario notturno” di Flaiano, amalgamandoli in uno straordinario racconto o soggetto di film di un redivivo Flaiano, che però va sotto la voce che i giornali femminili chiamano “Vicende di storia vissuta”. Certo, Flaiano non poteva prevedere cosa può avvenire in casi analoghi in presenza dei social e della abilità tattico-strategico-manovriera di una sorta di influencer femminile contemporanea, che fisicamente rinnova quasi, allungandone l’altezza, i fasti di Anita Ekberg. Pertanto, della “Flaianitudine” inconsapevole vissuta dal ministro con la signora il cui cognome, Boccia, richiama quello di una sorta di boccia da bowling tirata contro i fragili ed esili birilli del ministro e dello staff che gli gravitava intorno, i lettori per ora hanno visto la provvisoria conclusione con le tardive, ma onorevoli dimissioni del ministro. Si è diffusa poi nei palazzi del potere, politico e non solo politico, una sorta di allerta: “attenzione al virus delle influencer”. Per il virus dell’influenza abbiamo il vaccino, mentre quelle

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Politica

Il battito d’ali degli eredi di Berlusconi e il futuro di Forza Italia

Basta un battito di ali di erede della famiglia Berlusconi per animare il confronto politico italiano ed accendere i riflettori su vizi, virtù e prospettive di Forza Italia. D’altronde, questo è naturale. La Forza Italia che ha ereditato Antonio Tajani è, sostanzialmente, un partito proprietario. In cui, per ragioni patrimoniali e finanziarie la proprietà è della famiglia Berlusconi. Tajani ha intelligentemente puntato a far evolvere questo partito proprietario a partito-organizzazione e partito radicato sul territorio. Ciò che ha permesso di raggiungere, nelle ultime tornate elettorali, quella soglia del 10% e quel superamento della Lega non poco significativi.   La visione degli eredi Marina Berlusconi, nei giorni scorsi, aveva suonato la sveglia a Forza Italia invitandola a divenire partito dei diritti civili, essendo nata – fra l’altro – come “partito della libertà”. Ora, l’altro erede Pier Silvio Berlusconi dice che occorre passare dalla posizione di partito “di resistenza” a quella di partito “di sfida”, richiamando l’esigenza di una nuova, più giovane e determinata, classe dirigente per il partito. E se, sostanzialmente, quello apportato dagli eredi di Berlusconi fosse un valore aggiunto utile e opportuno per la Forza Italia di Tajani? E se, forse, in tal modo, offrissero sponde importanti?   In Italia, la vera cultura politica, per molti versi, è sfumata e sparita. Magari, qualche “grande vecchio” la conserva nella sua memoria, ed è noto che ad ispirare gli eredi di Berlusconi ci sono figure di “grandi vecchi”. Non solo, anche per ragioni aziendali, Fedele Confalonieri, ma soprattutto Gianni Letta, al quale il senso della vera cultura politica non manca. Letta ha certamente presente il fatto che alla nascita di Forza Italia Berlusconi si volle circondare di alcuni grandi intellettuali del pensiero liberale. E forse ha presente anche quanto pesi la questione della selezione delle classi dirigenti in questo Paese. Forse

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Politica

Chi fa, e dovrebbe fare, pedagogia civile nell’Italia di oggi?

I popoli che si fanno piccoli nei pensieri, si fanno deboli nelle opere. Purtroppo questa sentenza di Carlo Cattaneo sembra un po’ l’autobiografia dell’ultima fase della vita italiana. Ma il fattore, il lubrificante fondamentale per diffondere il senso della cittadinanza, aiutare a pensare un po’ in grande, è la pedagogia civile. Qual è lo stato della pedagogia civile in questa fase in questo Paese? Chi fa pedagogia civile?  La sta facendo, come fa da tempo, per fortuna, ma quasi “Vox clamans in deserto”, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La fa come quando nei giorni scorsi pesca dalla memoria di Giovanni Falcone o anche da quella più recente e un po’ dimenticata del giovane ex presidente del Consiglio Giovanni Goria, cogliendo l’occasione per rilanciare il senso e il ruolo del Parlamento, in una fase in cui quel senso e quel ruolo sono decisamente più rachitici che in altre fasi. Siamo diventati sempre più il Paese degli orazi e dei curiazi, dei troppi settarismi, della troppa divisività. Non a caso, l’Academy Spadolini che presiedo è l’Academy “Per il superamento della divisività e del populismo”.      Le sirene del populismo che suonano sia a destra sia a sinistra non sono certo il mezzo migliore per favorire meno settarismi e meno divisività e per alimentare una sana pedagogia civile. Un tempo, chi andava anche ad un comizio di Aldo Moro o di Enrico Berlinguer, o di Pietro Nenni o di Ugo La Malfa e poi di Giovanni Spadolini partecipava ad un sano momento, ad una sana occasione di pedagogia civile. Quale pedagogia civile può uscir fuori dai comizi di quasi tutti i politici di oggi? Non sto qui a fare facile antipolitica, ma a prendere atto di questa situazione. Certo, qualche piccolo passo avanti lo abbiamo fatto. Nel paese del presentismo e

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Cultura

L’accademia del Talento: questo lo spirito dell’Academy Spadolini

Il talento e il suo sviluppo; il libero “cimento” nelle idee accompagnato da una sana emulazione competitiva; la valorizzazione del merito; sono tutti una sorta di buchi neri della società italiana. Va ascritto a merito del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, di aver rilanciato il tema del merito sin dal suo discorso di insediamento alle Camere. Un tema stranamente sempre aggirato e ben poco amato dalla sinistra. Anche se per ora non si vedono chissà quali azioni conseguenti da parte del governo. Forse qualche segnale si vede nel campo della Pubblica Amministrazione, dove opera con efficacia un ministro tendenzialmente silenzioso come Paolo Zangrillo. Come è noto, la più antica Accademia italiana è l’Accademia del Cimento, fondata nel 1657, il cui motto è “Provando e riprovando”. Ebbene, forse la più giovane accademia italiana, l’Academy Spadolini, nata il 2 febbraio 2023 alla Camera dei Deputati, ha operato sin qui sulla base dello stesso motto, ponendosi però non come Accademia del Cimento ma, provando man mano e riprovando, ora come Accademia del talento. Non viene certo meno la connotazione propria di questa Academy come Academy della Repubblica per superare la divisività e il populismo, ma grazie alla maturazione man mano, nel corso di un anno, si rafforza la sua dimensione, che già era nell’imprinting originario, di “accademia del talento”. L’Academy, fondata sul dialogo intergenerazionale, mette insieme talenti molto maturi come Lamberto Dini, Giuseppe De Rita, Giuliano Urbani, Andrea Monorchio, Maria Rita Parsi, talenti dell’età di mezzo, come i tanti professori, magistrati, professionisti e giornalisti, membri del comitato tecnico-scientifico. E giovani talenti, impegnati soprattutto nei gruppi di organizzazione e comunicazione. Le oltre cento personalità che compongono il nocciolo duro dell’Academy sono state selezionate proprio e soprattutto in quanto talenti o tendenziali talenti, sulla base del merito. Così come evidenziato nei curriculum e nelle esperienze

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Politica

Conservatori o sovranisti? La Destra è al bivio

È una questione che non pochi si pongono anche in relazione all’evoluzione della Destra italiana. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sembra seguire man mano un itinerario che la può condurre in una direzione verso un sano conservatorismo. È noto che Giorgia Meloni con il suo Fratelli d’Italia, negli anni scorsi, ha mostrato una sostanziale impronta sovranista, ma per fortuna la politica è fatta anche da intelligenti evoluzioni. Forse il passaggio da un’impronta tendenzialmente sovranista ad una sostanzialmente conservatrice è una sorta di transustanziazione politica e culturale, favorita anche da una forte premiership nel crogiolo dell’esecutivo. Mi sembra permangano però, in Fratelli d’Italia, pulsioni di tipo sovranista, che mostrano quanto la Meloni sia un passo avanti al suo partito. Mentre Salvini, specie quello degli ultimi mesi, cerca di occupare uno spazio di Destra assumendo un’impronta sovranista decisamente forte rispetto al premier Meloni. Dico “premier” non a caso perché mi sembra che alla luce degli effettivi equilibri istituzionali in atto (mai il Parlamento è stato così debole come nell’ultima fase), il presidente Meloni si trovi in una condizione di “premierato di fatto”. Ma nel contempo, l’esercizio di guida del Paese ha favorito e favorisce appunto questa transustanziazione verso il conservatorismo. Per capire meglio questi processi, la cultura politica (a dire il vero, un po’ scarsa) può essere di non poco aiuto. Forse nella ricerca di boe ed agganci storico-ideali, non mi pare che Fratelli d’Italia possa agganciarsi al meglio della Destra Storica, da Minghetti ai Fratelli Spaventa, per fare degli esempi. Ma credo potrebbe invece agganciarsi a filoni successivi del miglior conservatorismo italiano. Non a caso, un ministro e uomo di cultura come Gennaro Sangiuliano ha recentemente pubblicato un libro bello e significativo su Prezzolini: “Giuseppe Prezzolini. L’anarchico conservatore”(Mondadori). L’autore del Manifesto dei Conservatori emerge in questa biografia con lucida chiarezza:

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Cultura

Informazione e potere: le criticità, gli esempi dei Maestri

Il pezzo di Mario Nanni su BeeMagazine del 6 gennaio è ben più di un corsivo come viene definito nella presentazione. C’entra infatti non solo la questione della conferenza stampa della Presidente Meloni, ma una questione oggi più che mai cruciale per il Paese: quella del rapporto tra informazione e potere, dell’etica, della deontologia, della necessaria indipendenza del giornalismo e dei giornalisti. Quanto al modello della conferenza stampa Nanni ha perfettamente ragione. Essa si svolge nell’aula dei gruppi parlamentari, accanto all’aula istituzionale della Camera e davvero non si capisce perché non si segua il modello che si segue in casi per certi versi analoghi come quello del question time del Presidente del Consiglio sulla base del regolamento di Montecitorio. Almeno quel minuto di repliche che lì è consentito al Parlamentare che pone al quesito al Presidente del Consiglio dovrebbe essere infatti consentito anche in occasione della conferenza stampa promossa dall’Odg e dell’Associazione dei Giornalisti Parlamentari. Se così fosse stato, ad esempio qualche giornalista con un minimo senso dell’indipendenza e dell’orgoglio della professione avrebbe potuto fare una breve replica su certi messaggi sibillini relativi a certi poteri occulti che frenerebbero l’azione di governo evocati nelle risposte del presidente del Consiglio. Ma la mia sensazione è che purtroppo il panorama dell’informazione politica in questo Paese oscilli tra il “giornalismo sdraiato”, o “da tappetino”, verso chi incarna il potere e il giornalismo d’assalto sempre prevenuto.       Anche io come Mario Nanni ascoltando la conferenza stampa ho sentito “odore di teatrino” come Silvio Berlusconi amava definire il modo di fare politica anche con il rapporto con giornalismo in questo Paese. Ma il teatrino è peggiorato, ci sono state fasi in cui magari andava in onda Pirandello o addirittura Shakespeare, ora si offrono soprattutto commediole leggere e un po’ di comodo. Nanni evoca il

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