Come dell’amore, che mai ci si stanca di vivere, cantare e di parlarne in tutte le forme possibili dell’ingegno umano, anche di Cristo, nunca satis; anche della Chiesa, nunca satis (mai abbastanza). Ovviamente non mi riferisco semplicemente al parlarne dei media (che non di rado ne trattano in modalità inadeguata), ma al parlarne alto, profondamente significativo, tanto più perché le umanità della Chiesa sono sotto gli occhi di tutti e catturano il centro delle cronache. Mi sono deciso a scrivere qualcosa ritrovandomi tra le mani una ormai storica omelia di Benedetto XVI del 2012. Era di questi giorni. Normalmente i Pontefici in questa circostanza, cioè il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro di antica tradizione, usano conferire la berretta cardinalizia ai nuovi porporati. La data era, dunque, assai intrigante per parlare della missione della Sede Apostolica, ma, ciò che più conta qui dire, è il significato della “Cattedra” di Pietro in sé. E ciò mi appare tanto più opportuno in un tempo in cui sono in atto numerose spinte, anche all’interno della Chiesa, che strattonano la Cattedra di Pietro per indurla dalla propria parte, accusandola di venir meno alla missione affidatale da Cristo o ritenendola prevaricatrice. La questione non riguarda l’ambito socio-politico, ossia semplicemente quell’agire in consonanza ai tempi e ad una modernità che facilmente si contrappone a presunti ritardi storici (card. Martini) o di chi vedrebbe rotture con la tradizione. Ma riguarda la fede della Chiesa e in particolare della Sede Apostolica. Benedetto XVI ebbe modo più volte di intervenire in merito, e lo fece con somma autorità, anche culturalmente parlando. Gesù, disse una volta quel Pontefice, costruisce la Cattedra di Pietro, come una pietra, una roccia, e l’affida proprio a Pietro, perché in lui costituisce il fondamento visibile su cui è costruito