Il 13 ottobre si riuniranno le due Camere per dare inizio alla XIX legislatura: eleggere i presidenti delle Assemblee, i vicepresidenti, i segretari, i questori. Questi ultimi non sono, come pensava l’autore di una articolo uscito anni fa su un prestigioso quotidiano, alti funzionari di polizia, ma i responsabili dell’amministrazione e comunque hanno compiti di intervento nel caso di tumulti o di rifiuto del parlamentare (per es. Sgarbi) oggetto di provvedimento di espulsione di uscire dall’aula. Il questore interviene con l’aiuto dei commessi per far rispettare l’ordine deciso dal Presidente.
Pochi giorni dovrebbero bastare per questi e altri adempimenti, tra l’altro la costituzione dei gruppi parlamentari, con i loro rispettivi uffici di presidenza, e la composizione delle Commissioni.
Così il 17 ottobre il presidente della Repubblica potrà avviare le consultazioni, non previste dalla Costituzione ma consolidatesi in una lunga prassi di Costituzione materiale, ricevendo i segretari dei partiti e i capigruppo parlamentari. Al termine di questo giro, il capo dello Stato affiderà l’incarico di fare il governo alla personalità che i partiti vincitori delle elezioni gli avranno indicato.
Una indicazione importante ma, in punto di diritto, non vincolante per il presidente della Repubblica al quale la Costituzione affida il potere di nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di questi, i ministri.
Qualche commentatore che scambia i propri desideri con la realtà, è arrivato a ipotizzare che Mattarella potrebbe anche non dare l’incarico a Giorgia Meloni, la segretaria del partito vincitore all’interno della maggioranza vincitrice.
Ma qui siamo nelle fantasticherie, anche perché il centrodestra che si vanta di essere unito e compatto, come una falange macedone (in realtà non è proprio così) proporrà a Mattarella non una rosa di nomi, come si faceva al tempo della cosiddetta Prima Repubblica, ma un nome secco: Giorgia Meloni.
E per evitare giochi e giochetti, i leader del centrodestra alle consultazioni di Mattarella si presenteranno insieme, non in ordine sparso. Quest’ultima circostanza sarebbe stata sospetta. Andare insieme metterà Giorgia Meloni al riparo da eventuali giochi e giochetti se non addirittura trabocchetti e doppie verità: dire in pubblico la nostra candidata è Meloni, e poi nei colloqui a due con il capo dello Stato incrinare questa certezza con qualche dubbio e distinguo.
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Le liturgie parlamentari hanno i loro tempi
Dal giorno delle elezioni (25 settembre) all’inizio delle consultazioni (17 ottobre) saranno passati 22 giorni, tre settimane, e tutto lascia pensare che ne occorreranno anche delle altre.
Niente di strano né di insolito. Anche le istituzioni hanno i loro riti e le loro liturgie e quindi i loro tempi. Anche se si spera che, per marcare la “diversità” di stile e di comportamenti, la futura presidente del Consiglio voglia fare presto: sia per la situazione economica che non può aspettare, sia per le difficoltà energetiche con l’autunno che avanza, sia per gli impegni finanziari – la legge di Bilancio su tutto – che non possono subire ritardi, altrimenti il rischio dell’esercizio provvisorio dei bilancio è dietro l’angolo.
E non sarebbe certo un bel biglietto di visita per il governo che, legittimamente dal suo punto di vista, si presenterà con un sigillo di novità, di discontinuità, di innovazione.
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Aspettando l’incarico Meloni non sta con le mani in mano ma….
È perfino ovvio che l’on. Meloni non potesse aspettare passivamente l’inizio delle consultazioni, ma nel frattempo darsi da fare e prepararsi all’investitura.
E si è mossa finora COME SE fosse già stata incaricata. Ha parlato all’assemblea della Coldiretti promettendo, annunciando, concionando, e tutto l’uditorio l’ha applaudita come se fosse già presidente del Consiglio.
Chiusa nel suo studio di Montecitorio ha incontrato, consultato esponenti del suo partito, gli alleati, ha sentito Berlusconi per telefono, ha ricevuto richieste, ha preso nota di desiderata e ha stilato una bozza di programma e una lista di nomi, correggendo, sostituendo, ampliando, restringendo.
Non sono giorni facili e per l’on. Meloni, perché tra l’altro le sono piovute addosso anche critiche per aver indossato la veste della presidente del Consiglio quando ancora non è stata nemmeno incaricata.
Sono questioni di lana caprina? Di formalismo? Niente affatto. C’è uno stile istituzionale che va rispettato, e lo stile a volte è come un filo, il filo del trapezio al circo: non è facile starci sopra, c’è sempre il rischio di cadere.
I giornali parlando di irritazione negli ambienti del Colle più alto di Roma e anche a Palazzo Chigi per il colloquio di Meloni con il ministro Cingolani. Si parla di nuovi ministeri da istituire ( del mare?), senza che il presidente della Repubblica ne sappia nulla.
Draghi sta facendo generosamente la sua parte: Meloni lo chiama, gli chiede informazioni, forse anche qualche consiglio. Poi Draghi apre il giornale e legge che la segretaria di Fratelli d’Italia critica il governo (cioè Draghi) per presunti ritardi del Pnrr.
Ora, il Pnrr – perlomeno agli occhi dell’attuale presidente del Consiglio – è come Garibaldi: non se ne deve parlare male. E infatti la replica dell’ex presidente della Bce è stata un po’ risentita.
Leggere i giornali è sempre divertente, ma spesso il povero lettore non sa come orientarsi: e così ha potuto assistere alla tradizionale sagra del totoministri, al gioco dei quattro o 44 cantoni, tizio va all’Agricoltura, caio agli Esteri, sempronio alla Giustizia.
Ma è presto!!!! La decenza dovrebbe consigliare di aspettare almeno l’incarico a Giorgia Meloni.
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Quale livello ci si deve aspettare dal nuovo governo? Alcuni precedenti illustri
Con tutta la prudenza del caso, Meloni però, anche per guadagnare tempo e non aspettare gli ultimi giorni, sta facendo in modo – almeno si spera – che pochi giorni dopo aver ricevuto l’incarico, si presenti al Quirinale con la lista dei ministri.
Nel comporre la squadra, Meloni ha davanti anzitutto la scelta di chi mettere nella casella più strategica per il suo lavoro di presidente del Consiglio: quella di sottosegretario alla Presidenza.
La storia di questi ultimi 70 anni di Repubblica ci parla di grandi Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio che sono stati non solo preziosi ma insostituibili per i loro presidenti:
De Gasperi ebbe Andreotti (che cominciò nel ’47 a 28 anni) come sottosegretario; Craxi ebbe Giuliano Amato negli anni ’83-‘87, Berlusconi Gianni Letta, negli anni Novanta e Duemila. Spadolini ebbe negli anni Ottanta Francesco Compagna, che accettò di scendere apparentemente di rango (era stato ministro in un precedente governo) preferendo fare il sottosegretario.
Andreotti, Amato, Letta tre sottosegretari quasi leggendari.
Berlusconi una volta disse di Gianni Letta: nel Consiglio dei Ministri si presenta con i provvedimenti da approvare, e mostra di aver letto tutto, di sapere tutto, di aver consultato tutte le carte…
Su Amato non risultano giudizi pubblici di Craxi, ma i fatti parlano da sé: con il suo acume di Dottor Sottile, la sua vasta scienza giuridica, istituzionale ed economica, ha illuminato il cammino quadriennale del governo Craxi sbrogliando vicende e matasse giuridiche interne e internazionali (basterebbe citare Sigonella).
Chi sceglierà come suo sottosegretario alla presidenza Giorgia Meloni? Sarà Guido Crosetto, che in questi anni è stato il suo sostegno, il suo consigliere più fidato?
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Il difficile equilibrio fra quattro esigenze
Dobbiamo ammettere che il suo compito, anche nella scelta dei ministri non è facile. Dovrà trovare un equilibrio tra esigenze spesso non componibili: dare il giusto (e atteso) riconoscimento a una sua personale squadra di fedelissimi che l’hanno seguita nella difficile traversa dell’opposizione; scegliere persone di competenza, di prestigio e di livello; non urtare gli alleati che hanno sempre nella loro pistola una pallottola in canna, da tenere come riserva da utilizzare in casi estremi: quello di sfilarsi dalla coalizione, minacciando l’appoggio esterno, che è un modo di dire: noi non ci siamo; avere il gradimento del presidente della Repubblica che ha tutto il diritto di dire la sua su singoli ministri, o consigliando e dissuadendo o ponendo se lo ritiene necessario il veto su questo o quel ministro proposto.
Come cittadini è lecito attendersi che sia un governo non di mezze figure, o di personale politico ormai logorato o scolorito, ma di personalità che per la loro preparazione, il loro apporto di novità, lo stile diano il segno visibile di una novità vera. Dietro l’angolo c’è sempre il rischio della famosa montagna che partorisce il topolino.
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Si parla sempre di ministeri strategici: Esteri, Interno, Economia, Giustizia, Economia. Ma c’è anche la Scuola, l’Università
Gli Esteri, che sono da sempre il biglietto di presentazione dell’Italia nel mondo, sono chiesti da Forza Italia per Tajani. Non c’è vasto consenso, anche se su una persona che è stata commissario europeo e presidente del Parlamento europeo quale obiezione si potrebbe muovere?
Circola anche il nome di Elisabetta Belloni, attuale capo dei servizi segreti, che sta diventando un po’ come negli anni Ottanta Martinazzoli: è candidata a tutto, perfino a presidente della Repubblica, come si è visto nelle ultime elezioni presidenziali.
Questa è una maggioranza politica, e i ministri dovrebbero essere politici. Non si capisce perché si debba ricorrere a tecnici. Politici competenti ce ne sono, nei vari campi, e se non hanno tessere di partito, li si prenda dalle aree di riferimento.
L’Interno sembra ormai precluso a Salvini, e lui ha fatto di tutto per farsi chiudere le porte, avendo detto, nel comizio di chiusura della campagna elettorale a Roma: non vedo l’ora di tornare al Viminale, per continuare l’opera che ho lasciato incompiuta !.
Per l’Economia, ce ne sono di economisti, anche non parlamentari, nell’area di centrodestra (c’è sempre un Tremonti a disposizione).
Per la Giustizia dove Salvini ha già prenotato il posto per l’avvocato Giulia Bongiorno ( prima però delle elezioni del 25 settembre, quando il segretario della Lega non immaginava che le urne non l’avrebbero premiato), c’è un nome che si è addirittura autocandidato: il magistrato Carlo Nordio, che Fratelli d’Italia aveva proposto come presidente della Repubblica.
Ma ci sono anche altri ministeri strategici per il Paese di cui non parla nessuno:
i ministeri che riguardano la scuola e l’università. Ci si aspetta dalla presidente del Consiglio che questi Dicasteri siano affidati a uomini o donne di cultura, che sappiano attingere idealmente idee e linfa da Benedetto croce e Giovanni Gentile, raffigurati in quadri appesi alle pareti dello studio del ministro. Basta con gli improvvisatori e gli incompetenti, come è accaduto negli ultimi tempi.
Per non parlare poi della Salute dove notizie di cronaca davano in pole position persone del tutto improbabili, e che come titolo principale avevano la contiguità del loro leader.
Insomma, vedremo.
L‘on.Meloni ha promesso: voglio fare un governo di alto livello! Non c’è che da aspettare e da verificare la corrispondenza delle promesse ai fatti.
Mario Nanni – Direttore editoriale