Antimafia boomerang

Il j’accuse di Alessandro Barbano. L’inganno Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene, Editore Marsilio.

“Libertà libertà, quanti delitti si commettono nel tuo nome”, esclamò madame Roland mentre veniva condotta alla ghigliottina, nel furore (poco eroico) della tempesta rivoluzionaria.

Parafrasando, la tesi del libro di Alessandro Barbano potrebbe essere: antimafia antimafia, quante ingiustizie, quanti errori si commettono in tuo nome. Una di queste ingiustizie prende la forma del ricatto morale: chi osa criticare l’antimafia viene accusato di fare il gioco della mafia. Vittima illustre di questa mentalità fu lo stesso Leonardo Sciascia quando scrisse un memorabile articolo contro quelli che definì “i professionisti dell’antimafia” (Corriere della Sera. 10 gennaio 1987!). E infatti il libro è dedicato alla memoria dello scrittore siciliano. Non è arbitrario pensare che con questa dedica l’autore voglia anche suggerire come le questioni che egli solleva in questo libro siano piuttosto annose. Anzi, si siano aggravate.

Sgombriamo però il campo, con una preliminare distinzione, da un possibile equivoco sul libro  che Alessandro Barbano – valoroso giornalista, già direttore del Messaggero e del Mattino, ora vice direttore del Corriere dello Sport, personaggio eclettico e di robusta passione civile, incline fino alla veemenza del tribuno – ha scritto suscitando già interesse e polemiche: l’antimafia di cui egli parla e  contro la quale lancia i suoi strali acuminati non è in sé  l’azione dello Stato per giustamente contrastare la criminalità organizzata ( mafia, camorra, ndrangheta, sacra corona unita).

Il bersaglio polemico – e con quale e quanta vis accusatoria! – è la legislazione antimafia, il codice antimafia, l’apparato legislativo che strada facendo, con un processo di superfetazione, e per giunta sempre ispirati a una eterna logica emergenziale, hanno finito per creare tanti e tali guasti: frenare l’economia, portare oggettivamente al suicidio le persone, ledere gravemente i principi dello Stato di diritto.

Il j’accuse di Barbano si articola in questa domanda: Può dirsi giustizia quella dove la parità tra le parti è una pura finzione, allo stesso modo della terzietà di chi decide? E in questa affermazione: Il codice antimafia è il grimaldello per scardinare la porta già traballante dello Stato di diritto e mettere l’intera società sotto tutela giudiziaria.

Che cosa è successo dunque?

Semplicemente, da quanto e come racconta Alessandro Barbano citando casi realmente avvenuti ma che sembrano inverosimili tanto sono assurdi, è avvenuta una drammatica eterogenesi dei fini o, se si preferisce, una infelice serendipity, dagli effetti devastanti.

Durante la prima presentazione del libro a Roma, alla presenza di magistrati, giuristi e dello stesso capo dell’Antimafia – molto critico verso il libro – si è curiosamente registrata questa pendolarità di giudizio: Barbano ha ragione ma esagera; Barbano esagera ma ha ragione.

All’uscita, ho chiesto a Paolo Mieli, che era stato tra i relatori: allora qual è la verità tra i due giudizi? Su quale dei due termini va posto più l’accento? Barbano ha ragione, ha ragione, ha risposto Mieli mentre si usciva dall’Auditorium.

Un j’accuse coraggioso?

Barbano non vuol sentire parlare di coraggio. Racconta lui stesso: quando hanno letto le bozze del libro, qualcuno ha detto: ma che coraggio che hai a scrivere queste cose!!!

“Dovrei essersene lusingato, spiega l’autore, ma io non condivido questa impostazione, per la semplice ragione che in un Paese democratico, in uno Stato di diritto conseguente, chiunque dovrebbe poter esprimere le sue idee ed esercitare la critica senza per questo essere definito  coraggioso”. Non possiamo che condividere, essendo dell’idea che ‘’ sventurato è il Paese che ha bisogno di eroi”.

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Le “due menzogne” denunciate nel libro

La prima: affermare che l’Italia ha una legislazione speciale antimafia che il mondo ci invidia. Una legislazione che doveva essere emergenziale, e invece si è eternata. A qualcuno che gli obietta che la mafia, la ndrangheta ecc.. sono tuttora pericolose e operanti, egli risponde: con questa logica allora questa legislazione emergenziale dovrebbe durare all’infinito? Il 41 bis dura da 22 anni. La Corte europea ci ha messi in mora, siamo sul filo dello Stato di diritto.

La seconda menzogna, che chiama anche tradimento, e quindi inganno (da qui il titolo del libro), Barbano la rintraccia in una tradizione culturale che si è consolidata; e secondo la quale chi osa criticare l’Antimafia fa il gioco della mafia. Inaccettabile.

Parole forti. Ma sentite anche queste: la mission che lo Stato ha affidato all’Antimafia è stata tradita, snaturata. Con esiti grotteschi e paradossali: in altri Paesi il generale Mori sarebbe stato idolatrato; in Italia è stato processato come artefice di una trattativa Stato-mafia.

Ma Barbano entra poi nello specifico della legislazione e della pratica giudiziaria antimafia, facendo una specie di viaggio nella vertigine, nell’assurdo: “questo è un Paese in cui si può essere assolti e al tempo stesso, nello stesso giorno, vedere confiscati i propri beni. Due atti, due scenari, che secondo l’attuale apparato legislativo antimafia sono perfettamente coerenti e compossibili: e qui siamo sul terreno della misure di prevenzione. Per cui un cittadino, un imprenditore, in questo caso, viene assolto perché innocente, ma viene confiscato perché “pericoloso”. La condanna presuppone la colpevolezza, le prove. La confisca si accontenta di indizi”

Di più: l’imprenditore (assolto e confiscato) ha ceduto l’azienda al figlio nel tentativo disperato di salvarla; nossignore, la confisca passa dal padre al figlio; e allora, – com’è successo in Sicilia – il povero imprenditore ha visto come unica via d’uscita per salvare la sua impresa e lasciarla ai figli, quella di togliersi di mezzo, togliendosi la vita.

Di qui il grido accusatorio di Barbano: chi può spiegare questo divorzio insanabile tra questa prassi e la vita? Come spiegare come sia possibile che da una parte ti considerino innocente e dall’altra ti tolgano tutto, anche la collana che hai regalato a tuo figlio per la prima comunione?

Difficile da spiegare a un cittadino una vicenda del genere

 

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Rischio di populismo penale? Il codice antimafia una “bomba” dentro lo Stato di diritto

Il libro di Barbano corre il rischio di fare del “populismo penale?”

L’autore non teme questa eventuale accusa. Egli presenta fatti irrefutabili, come la vicenda dell’imprenditore suicida, ma ce ne sono tanti altri, che qui sarebbe lungo citare. Barbano invece contrattacca, rivolgendosi ai pubblici poteri, a chi ha il compito di fare e cambiare le leggi: lancia questo allarme: il codice antimafia sta sostituendo il diritto penale ordinario e sta deflagrando come una bomba dentro l’ordinamento. E aggiunge: Si è creata una dannosa inversione, un pericoloso ribaltamento rispetto alla logica legislativa ordinaria: di solito le leggi dettano le prassi giudiziarie; qui, nel caso dell’antimafia, prassi giudiziarie hanno determinato modifiche legislative.

Abbandonare l’approccio ideologico. Il caso dell’ergastolo ostativo. Critiche a Meloni

L’autore invoca un approccio non ideologico alla lotta alla mafia e alle misure di prevenzione. Invece è forte una corrente di pensiero ideologica che consegna alla magistratura la tutela della società e della politica.

Un esempio addotto da Barbano è il caso dell’ergastolo ostativo. Chi è per il carcere a vita (in barba al principio costituzionale della rieducazione del condannato) è evidentemente dominato dal concetto di irredimibilità del mafioso. Secondo questa idea, il mafioso non si pente mai, non si redime e se si pente, in realtà finge. E così i figli e i nipoti. Una visione che Barbano rifiuta nettamente, da liberale. Peraltro l’irredimibilità può portare pericolosamente all’idea che la mafia sia invincibile, e allora l’autore provoca: ma se è invincibile perché combatterla? Che senso ha?

E sempre a proposito dell’ergastolo, Barbano ne ha anche per la presidente del Consiglio Meloni, che aveva citato Falcone: “l’ha citato un po’ a schiovere, come dicono a Napoli, evocando la certezza della pena, che non vuol dire niente. Ciò che la Meloni dice di pericoloso sull’ergastolo ostativo non è solo l’adesione a questa misura barbarica. C’era una proposta di legge dei Fratelli d’Italia che voleva sostituire il concetto di sicurezza con quello di pericolosità. Idea pericolosa, questa sì, con cui si rischia il regime”.

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E la sinistra come si atteggia verso questi temi?

“Mi domando e domando loro come giustifichino l’ergastolo tout court. Come può la sinistra che si batte per il riscatto sociale e le pari opportunità – si è domandato Barbano in una recente intervista a Extrema Ratio- condividere la condanna all’ergastolo di un 18enne di Gela che si identifica nella guerra tra bande della Stidda e Cosa nostra? A 18 anni è stato condannato all’ergastolo e fatto morire in carcere con la gamba amputata dal diabete. Questo – domanda Barbano – è compatibile con la coscienza delle anime belle che vanno in piazza? Si interroghino su questo”.

In realtà questa visione pessimistica sulla mafia, sospetta l’autore, ma il suo è più che un sospetto, serve per prolungare l’emergenza, per prolungarla all’infinito.  Un sospetto che dà origine a questa domanda retorica: quanti denari (del cittadino) sono stati spesi in investigazioni e quanti in realtà ne sono stati impiegati in politiche di rieducazione carceraria?  E quanti denari lo Stato ha speso per la lotta alla dispersione scolastica (oltre il 20% nel Mezzogiorno, la terra delle quattro mafie, che sono un bacino di allevamento e reclutamento da parte della criminalità organizzata?

Da questi significativi passaggi, emerge con chiarezza che il libro di Barbano è un libro duro, ruvido, permeato da indignazione civile, a volte urlata. Questo può dare fastidio, perché scuote la pigrizia delle coscienze. E si capisce perché qualcuno, anche nelle alte sfere della magistratura, se ne sia turbato, e forse infastidito.

Ma i fatti ci sono, e sono la forza di questo libro, oltre alla vis morale e civica mostrata dall’autore. Fatti che reclamano una svolta in senso garantista e riformatore, perché lo Stato di diritto sia una verità vissuta ogni giorno e non solo declamata nei comizi o nei discorsi parlamentari.

E così, come nel gioco dell’oca, torniamo al punto di partenza: Barbano esagera ma ha ragione? Oppure ha ragione ma esagera?

Sembra un gioco di sfumature semantiche. In realtà c’è differenza tra le due domande: perché chiama in causa la stessa impostazione del libro. Sarà il lettore a decidere, in base alla sua sensibilità democratica.

 

Mario Nanni

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