Aleksandr Dugin, ideologo di Putin: Intervista alla professoressa Daniela Steila

L’ideologo russo Aleksandr Dugin è scampato, lo scorso 20 agosto, a un attentato-nel quale è rimasta uccisa la figlia-nella periferia di Mosca. Da filosofo legato all’estrema destra, semisconosciuto, Dugin è diventato protagonista delle prime pagine dei giornali occidentali assieme alle sue teorie. Per comprendere meglio questa figura e il suo impatto sul Cremlino e sul mondo occidentale abbiamo intervistato Daniela Steila, professoressa di Storia della Filosofia russa.

Come nascono le teorie nazionalistiche di Aleksandr Dugin?

Dugin è un esponente della destra radicale russa con solidi legami internazionali. Il suo è un pensiero molto variegato, che tiene insieme elementi diversi di cui il nazionalismo è soltanto un aspetto. Da giovane ha frequentato un circolo “dissidente” di occultisti interessati a pensatori esoterici e fascisti; più tardi, nel fermento ideologico della perestrojka, si è schierato con l’organizzazione ultra-nazionalista e antisemita Pamjat’ ed è stato poi tra i fondatori del partito Nazional-Bolscevico, esperienze che ha via via abbandonato per creare il movimento “Eurasia”. Marlene Laruelle, che lo ha studiato approfonditamente, lo ha definito “il principale costruttore di un neofascismo à la russe che è sia dentro sia fuori i circoli del potere”. Con i suoi lavori (più di 30 monografie e manuali), ma anche trasmissioni radio, apparizioni televisive, interventi sul web, ha cercato infatti di rivolgersi sia alla controcultura giovanile, sia all’establishment politico.

Quali sono i loro principi ideologici?

Quella di Dugin è dichiaratamente una “meta-ideologia”, che tiene insieme il tradizionalismo di René Guénon e Julius Evola e la rivoluzione conservatrice tedesca degli anni ’20 e ’30 con l’eurasismo e il pensiero conservatore russo, elementi della tradizione ortodossa con teorie occultiste e paganesimo. Eduard Limonov, suo sodale nel partito Nazional-Bolscevico, lo ha definito “il Cirillo e Metodio del fascismo” per aver introdotto e adattato il fascismo alla Russia. In effetti per Dugin la rigenerazione della Russia non è tanto legata ad un’identità etnica o culturale, ma all’affermazione geopolitica dello stato russo e della civiltà euroasiatica che esso deve incarnare. Con questo la Russia dovrebbe realizzare la cosiddetta “quarta ideologia”, che Dugin propone come superamento del liberalismo, del comunismo e del fascismo, ma che è molto vicina proprio a quest’ultimo come una sorta di conservatorismo post-liberale.

In queste idee si trovano riferimenti ad una razza superiore?

Dugin riprende l’idea della “razza spirituale” da Julius Evola. L’Eurasia sarebbe una sintesi razziale di Bianchi e Gialli, in cui è destinata a predominare la Russia ariana. Anche su questo aspetto, tuttavia, il pensiero di Dugin è estremamente eclettico. Per esempio distingue tra razze-soggetto, come i Russi, e razze-oggetto, come gli Ebrei, però ha sostenuto dal punto di vista geopolitico una piena alleanza con Israele, facendo un’ulteriore distinzione tra gli ebrei “buoni” che stanno appunto in Israele e quelli “cattivi”, cosmopoliti. L’ideale che Dugin ha espresso più volte è quello di un grande impero bianco e cristiano, da Lisbona a Vladivostok, fiero delle proprie tradizioni e liberato dalle influenze americane.

Esisteva già una forte ideologia nazionalista nell’Unione Sovietica?

Il nazionalismo è una tradizione presente sia in Russia, sia in Unione Sovietica, come in tutta la cultura europea. Di recente Giovanni Savino ha pubblicato un volume interessantissimo proprio dedicato al nazionalismo russo del primo Novecento (Napoli, FedOAPress, 2022), ma ancor prima si possono identificare elementi più o meno “nazionalisti” nello slavofilismo o nel panslavismo ottocenteschi. In Unione Sovietica il nazionalismo russo è stato sostituito per lo più dal patriottismo sovietico, che si è sviluppato soprattutto intorno alla “grande guerra patriottica” e alla sconfitta del nazismo. Dugin ha però molto poco a che fare con questa tradizione. Nonostante il suo richiamarsi all’eurasismo, che è un movimento culturale degli anni ’20, ripreso e modificato da Lev Gumilev negli anni ’60, le teorie di Dugin hanno importanti legami con il pensiero europeo occidentale.

Il popolo russo s’identifica nell’ideologia di Dugin?

È difficile oggi delineare un’ideologia in cui il popolo russo si identifichi. Di certo non è il pensiero di Dugin, che è riuscito a imporsi come figura di riferimento all’estero assai più che in patria. Il momento del suo massimo successo interno risale probabilmente ai primi anni ’90 quando insegnava nelle più alte istituzioni militari a Mosca, grazie al suo manuale di geopolitica che ebbe allora grande diffusione. Tuttavia Dugin non è mai riuscito a entrare stabilmente nel sistema accademico russo, dove ha avuto una collaborazione soltanto temporanea con l’Università statale di Mosca, né direttamente nelle istituzioni. La stessa indubbia fortuna del termine “euroasiatico” nel discorso russo contemporaneo è completamente sfuggita al controllo ideologico di Dugin.

La stampa ha spesso indicato Dugin come l’ideologo di Putin. Che impatto hanno avuto le sue idee sulle scelte del presidente russo?

Dugin si è proposto spesso come il “consigliere del principe”, esercitando in effetti qualche influenza alla fine degli anni ’90 soprattutto su esponenti del partito di Zhirinovskij. Nei confronti di Putin, ha assunto una posizione inizialmente critica, perché gli sembrava un leader troppo pragmatico e post-ideologico. Con l’uso sempre più frequente del termine “eurasista” da parte dell’amministrazione presidenziale, a partire dal 2010, e soprattutto con l’annessione della Crimea nel 2014 si è potuto ipotizzare un avvicinamento. Ma è stato lo stesso Dugin a incrementare l’immagine di sé come ideologo del potere, soprattutto all’estero. In realtà, proprio nel 2014, il suo invito a “uccidere gli Ucraini” gli è costato la posizione di direttore del suo centro di studi collegato all’Università di Mosca.

La recente campagna militare è voluta nell’ottica della costruzione dello Stato euroasiatico?

Direi di no. L’invasione dell’Ucraina è giustificata, nei discorsi di Putin, da un progetto di riunificazione del “mondo russo” che comprenderebbe anche Ucraini e Bielorussi, sulla base di una ricostruzione priva di attendibilità storica. Dal punto di vista ideologico Putin insiste sull’immagine della Russia accerchiata, in guerra con il cosiddetto “Occidente collettivo”, portatore di decadenza morale e nihilismo antireligioso, ma per sostenere queste posizioni usa un armamentario di idee composito e duttile. È curioso che un nemico giurato del relativismo postmoderno, come Putin, sia in realtà incline a usare elementi ideologici variegati purché servano a rivendicare l’eredità “millenaria” della Russia e il ruolo geopolitico che ne conseguirebbe.

 

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