Adriano Olivetti, la vocazione della fabbrica al di là del profitto

Ricordo di un imprenditore illuminato e di un modello industriale innovativo

Nei primi anni ’30 del Novecento in un paesino piemontese, molto prima che si potessero anche solo minimamente immaginare le attenzioni che oggi sono rivolte alla tutela e al benessere dei lavoratori, Adriano Olivetti tentò di realizzare il proprio sogno imprenditoriale.

L’aspirazione di questo “pragmatico visionario” era quella di congiungere impresa, territorio e società, unendo queste tre realtà in un processo sociale condiviso: lo sviluppo culturale ed economico della comunità.

Il pensiero olivettiano, influenzato dalle teorie politiche dei fratelli Rosselli, si fondava sulla sintesi di due principi fondamentali: solidarietà e giustizia sociale. Olivetti, infatti, capovolse il concetto di produzione, emancipando il lavoratore dall’alienazione del lavoro, poiché riteneva che il fondamento dell’impresa non potesse essere l’uomo al servizio della tecnica, bensì avrebbe dovuto essere la tecnica al servizio dell’uomo.

Negli scritti di Olivetti ritroviamo una rara sensibilità circa le condizioni dei lavoratori che, secondo l’imprenditore piemontese, avrebbero dovuto percepire il proprio lavoro con gioia e non con tormento: «tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, che non giovi ad un nobile scopo».

Nell’idea olivettiana il fine ultimo dell’impresa non può essere circoscritto al mero raggiungimento di un profitto economico, bensì la fabbrica avrebbe dovuto essere un mezzo di progresso e innovazione che, anche producendo profitto, avrebbe permesso all’operaio di non realizzarsi unicamente come lavoratore, ma di sviluppare in toto la propria personalità.

Ivrea, nel secondo dopoguerra, divenne così un’oasi di diritti sociali e welfare aziendale. Tra le principali conquiste vi furono: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, nove mesi di congedo maternità con il 100% della retribuzione, funerali pagati per tutta la famiglia, asili per i figli dei lavoratori e parità salariale tra donne e uomini, insieme a continui corsi di formazione e perfezionamento, oltreché attività culturali e ricreative come: mostre, biblioteche e cinema.

La responsabilità sociale dell’impresa, secondo il modello Olivetti, era quella di prendere su di sé l’onere di sviluppare il proprio territorio, creando i presupposti affinché potessero progredire insieme capitale e forza lavoro. Come ebbe modo di dichiarare nell’Assemblea degli Azionisti del 1955, Olivetti riteneva che il successo e il progredire di ogni azienda industriale è basato ‘’sull’armonica e continua collaborazione dei quadri direttivi con quelli esecutivi” e che “soltanto attraverso la concordia e lo sforzo produttivo di tutti è possibile progredire, creare nuovi prodotti, migliorare l’efficienza tecnica e amministrativa, sviluppare la vendita.”

Su questo si fonda l’esperienza olivettiana, un’esperienza che ha saputo coniugare in un’armonica simbiosi comunità e profitto.

 

Lorenzo Della Corte –Giornalista pubblicista

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