“Per invertire la china del declino americano Trump cambierà la declinazione dell’America First: altro che isolazionismo, avrà un rinnovato protagonismo sullo scenario internazionale che farà bene a tutto l’Occidente”. Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato, commenta con Bee Magazine il discorso di insediamento del secondo mandato di Donald Trump.
La senatrice sa che la nuova Amministrazione sarà “sfidante” per l’Europa su molti dossier, a partire dal Green Deal, ma “mi inquieta, e molto, l’inconsistenza europea, la dilagante corrente di pensiero per cui dovremmo coltivare il rapporto atlantico a seconda delle Amministrazioni. È un approccio sbagliato, che può danneggiare l’Europa. Servono più pragmatismo e molta meno retorica e ideologia”. Quanto ai dazi: “Ci sono le condizioni per soluzioni win-win e Trump ha già dimostrato un’attenzione speciale per il nostro Paese. Infine, conclude Craxi, “la bandiera a stelle e strisce su Marte è la stessa ambizione di Kennedy per approdare sulla Luna. Trump farà uno sforzo per far cessare i conflitti principali ma la vera sfida è creare le basi per un nuovo ordine internazionale”
È stato un discorso tutto all’attacco, muscolare, con forti accenti religiosi. Oggi comincia l’età dell’oro, America First, saremo più grandi e forti che mai, tutto cambierà molto velocemente: “Il declino dell’America è finito”. Dio lo ha salvato dall’attentato “to make America great again”. È un atteggiamento che porterà risultati? E sono promesse credibili?
Nella società americana c’è il desiderio di poter ritrovare le certezze di un tempo. Annunciare la fine del declino americano è innanzitutto un messaggio di speranza, indispensabile per chi si appresta a governare. Anche perché le teorie sul declino hanno corroso anche all’interno gli Stati Uniti: infatti, hanno avuto ricadute non solo sul piano geopolitico ma un impatto, anche al netto dei dati economici, su larghi strati del Paese. Ma per invertire la china Trump cambierà radicalmente la declinazione stessa dell’America First: altro che isolazionismo, c’è nei fatti la presa d’atto che l’interesse statunitense, le sfide alla potenza americana, richiedono un rinnovato protagonismo sullo scenario internazionale e questo è un bene per tutto l’Occidente. Il suo atteggiamento, criticato e criticabile, però qualche risultato lo ha già portato e lo porterà – pensiamo anche al fragile accordo di Gaza – e solo il tempo ci dirà se e quali promesse saranno ridimensionate.
Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale al confine sud con il Messico, promesso che tratterà le gang criminali, spesso di origine straniera, come terroristi e annunciato la “remigration” dei clandestini. Siamo alla vigilia di una stretta sull’immigrazione senza precedenti?
Ci saranno iniziative di grande impatto, non solo per ragioni elettorali. Se pensiamo al confine messicano, il tema non è solo migratorio. Esiste una vera e propria emergenza, un dramma civile, con i cartelli della droga operanti al confine che stanno avvelenando e uccidendo un’intera generazione di giovani americani: è sufficiente fare due passi per le strade di San Francisco o Los Angeles per cogliere la portata del fenomeno. È un problema reale: basta ricordare le parole che pronunciò nel 2021, nel suo viaggio in Messico e Guatemala, l’allora vicepresidente, Kamala Harris, poi bollate ottusamente da certo mondo progressista come “di destra” ma che non erano altro che una presa d’atto. Per quanto concerne quelle che, impropriamente, sono state definite “deportazioni” di migranti illegali, non mi sono ancora chiari piani e modalità, anche se penso che queste riguarderanno innanzitutto soggetti criminali usciti da ospedali psichiatri entrati illegalmente negli Stati Uniti.
“Drill baby drill”. La fine del Green Deal, l’esportazione dell’energia americana, l’oro nero liquido sotto i loro piedi, saranno problemi per l’Europa?
La nuova Amministrazione americana sarà sfidante per l’Europa su questi e molti altri dossier. Tuttavia non mi preoccupa la posizione di Trump, con il quale dovremo saper confrontarci, ma mi inquieta, e molto, l’inconsistenza europea, il fatto che ci sia una dilagante corrente di pensiero che teorizza che dovremmo coltivare il rapporto atlantico a seconda delle Amministrazioni. È un approccio sbagliato, che può danneggiare l’Europa. Servono più pragmatismo e molta, molta, meno retorica e ideologia.
I fatidici dazi arriveranno. Trump cercherà di dividere l’Ue e trattare con i singoli Paesi? E come dovremmo reagire?
Premesso che l’Italia non ha nulla da temere, anche perché già in passato Trump ha dimostrato di avere un’attenzione speciale per il nostro Paese, il rischio di una bilateralizzazione dei rapporti esiste, ancor più se l’Unione europea si chiude a guscio, se fa prevalere gli istinti e non le ragioni. È interesse di tutti evitare uno scontro sui dazi, e lo si fa parlando e negoziando. L’interscambio Europa-USA nel 2023 ha sfiorato gli 850 miliardi di euro, con un saldo commerciale a favore dell’Europa di 156 miliardi di euro, con la sola Italia che ha registrato un saldo di 40 miliardi di euro. Ci sono tutte le condizioni per soluzioni “win-win”. Piuttosto, penso che l’Unione e gli Stati membri dovrebbero porre a loro volta il tema del riequilibrio della bilancia commerciale a realtà come la Cina.
“Ci riprenderemo il canale di Panama” è una smargiassata o una minaccia?
Anche qui le dichiarazioni di Trump vanno inquadrate nel più ampio contesto internazionale alla luce del progetto di contenimento della Cina, che accomuna tutte le Amministrazioni statunitensi da Obama in poi. E per capire le sue esternazioni, bisogna conoscere la storia. Theodore Roosevelt avviò la costruzione del canale e questo fino al 1979 è stato, in virtù di un Accordo, territorio statunitense. Poi nei vent’anni successivi abbiamo avuto un controllo congiunto alle autorità panamensi, prima della definitiva cessione a quest’ultime nel 1999. Negli ultimi lustri Panama è finita in mani cinesi.
In che senso?
Mi riferisco all’espansione economica di Pechino sul canale. E gli investimenti da parte della Cina sottintendono sempre un ragionamento geopolitico. Questo gli Usa, non Trump, non possono accettarlo. Sempre in quest’ottica vanno inquadrate anche le incaute esternazioni sulla Groenlandia: le mire russe e cinesi sull’Artico sono una delle sfide geopolitiche più significative del nostro tempo.
La bandiera a stelle e strisce su Marte. La citazione degli ostaggi israeliani che tornano a casa. L’ambizione di essere ricordato come “pacificatore e unificatore”. Che cosa l’ha colpita di più del discorso dell’insediamento?
Il sapiente mix tra valori e programmi, il riconnettersi, seppur con un linguaggio duro e provocatorio, a tradizioni e filoni di pensiero o stagioni che hanno segnato tratti anche importanti della storia americana. La stessa ambizione di piantare la bandiera su Marte non è poi così diversa da quella coltivata da JF Kennedy, il quale nel 1961 si presentò Congresso impegnando gli Stati Uniti a raggiungere l’obiettivo di far atterrare un uomo sulla Luna prima della fine di quel decennio. Ci riuscirono. Ecco, quella corsa tra Usa e Urss, pur nel diverso contesto internazionale, non è poi diversa da quella odierna tra Usa e Cina per il primato e la supremazia tecnologica. Quanto ad essere ricordato come pacificatore e unificatore mi auguro, per tutti noi, che possa raggiungere la sua ambizione. Sono convinta che ci sarà uno sforzo per far cessare i conflitti principali ma a mio avviso la vera sfida per chi vuole passare alla Storia è quella di creare le basi per un nuovo ordine internazionale.
Federica Fantozzi – Giornalista