Il primo giubileo della Storia. Celestino V e la Chiesa pacifista ed indulgente

Il tempo di vigilia del Giubileo (2025) ha reso ancora più interessante la presentazione in Campidoglio, presente il sindaco di Roma Gualtieri, di un libro di Angelo De Nicola sul primo Giubileo della Storia, su Celestino V e papa Bonifacio VIII, che lo indisse nel 1300

Parlare di Chiesa non è mai facile; soprattutto quando se ne attraversa la Storia, quella con la S maiuscola, talvolta ingloriosa, ma ineluttabilmente legata agli accadimenti del passato, remoto e prossimo, nonostante la straordinaria capacità di rimanere immune al logorio del tempo.

Tutto origina, si sa, da Gesù di Nazareth che, predicando carità e povertà, per amore del prossimo si immolava alla crocifissione.

 

Papa Celestino V

 

Ma la chiesa, ahinoi, non ha sempre e solo consegnato alla storia (e purtroppo anche a noi) esempi di illuminate virtù. 

È sufficiente leggere la celebre Commedia, definita poi “Divina” dal Boccaccio, per cogliere luci ed ombre della più antica istituzione del mondo. Dante Alighieri infatti, con poche ma precise pennellate, ci restituisce icastici resoconti di quelli che furono i massimi esponenti del mondo cattolico al suo tempo: Celestino V e Bonifacio VIII, Papi della Chiesa Cattolica che definire divergenti risulterebbe eufemistico.

“Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto” sentenzia Dante riferendosi a Celestino V, condannando la rinuncia al soglio di Pietro che per il Pontefice significava grande umiltà e consapevolezza all’onta della codardia ed al conseguente oblio. Il sommo Poeta non perdona; non a caso Curzio Malaparte – giornalista dotato e fascinoso personaggio del ventennio fascista – lo inserisce tra i Maledetti toscani, irriverenti perfino verso l’autorità della Chiesa.

Per riabilitare Celestino V si dovrà aspettare il 2022 e Papa Francesco, a lui affine per cursus honorum ed ideologia. Entrambi figli del proletariato, orientati verso quella che Papa Giovanni XXIII definiva “una Chiesa di tutti, ma vuol essere particolarmente dei poveri e degli oppressi”, e lungi da quei giochi di palazzo che – allora come oggi – tentano di influenzare attraverso eminenze grigie e Richelieu di turno le opinioni del clero e della Santa Sede.

Ma se all’epoca avremmo dovuto accontentarci di Dante – oggi – a raccontarci quelli che furono i retroscena e le vassallate della Chiesa di allora ci ha pensato l’abruzzese Angelo De Nicola col suo ultimo libro Il primo giubileo della Storia, presentato nella Sala del Carroccio in Campidoglio.

Il parterre è per la maggior parte abruzzese: Dario Nanni, presidente della Commissione Giubileo; Giovanni Legnini, vicepresidente del CSM e Roberto Santangelo, assessore alla cultura della regione Abruzzo. Unici romani Camilla Mozzetti, giornalista del Messaggero, ed il primo cittadino della Capitale – nonché padrone di casa – Roberto Gualtieri.

 

Roberto Gualtieri

 

Dopo l’indirizzo di saluto del sindaco, che per il prossimo Giubileo del 2025 ha promesso miglioramenti dei trasporti e delle infrastrutture che noi tutti ci auguriamo di poter constatare quanto prima, ad introdurre l’argomento è stato Dario Nanni, che ha sottolineato come il Giubileo rappresenti quel fil rouge tra Abruzzo e Lazio, posto che fu proprio Celestino V ad istituire la “Perdonanza”, da cui – parrebbe – Bonifacio VIII prese le mosse per indire il primo Giubileo della storia nel 1300.

Ma ad entrare nel dettaglio ci ha pensato Roberto Santangelo, che ha ben descritto le peculiarità e le differenze tra Bonifacio VIII e Celestino V: Papa politico il primo e pontefice della spiritualità e della pace il secondo, tanto da rifiutare la proposta del vescovo De Mazzi di benedire una chiesa che – a suo avviso – avallava la guerra.

È invece Giovanni Legnini ad aprire il vaso di Pandora, spiegandoci come Celestino V abbia scontato la citazione dantesca perché avverso politicamente al Sommo Poeta e che se ancora oggi Roma è centro della spiritualità lo si deve invece al più accentratore Bonifacio VIII.

Insomma, concorda Camilla Mozzetti, Celestino V rappresentava certamente un outsider dal carattere eretico per la dottrina ecclesiastica dell’epoca.

A buona ragione infatti, una volta dimessosi, decise di affidare all’autorità civile la bolla sulla Perdonanza, preservandola dalle grinfie di Bonifacio VIII che desiderava alacremente distruggerla in quanto foriera rivoluzionaria di un’indulgenza che non doveva mai essere pagata.

 

Papa Bonifacio VIII

 

Un bel colpo per la Chiesa Cattolica che, con la vendita delle indulgenze, avrebbe edificato da lì a poco torri eburnee e palazzi dorati, tant’è che Papa Caetani, principe romano dall’animo più vendicativo che caritatevole, confinò Celestino V a Castel Fumone ed istituì il Giubileo.

Ma allora perché, mentre Bonifacio VIII ha mantenuto nel tempo la sua popolarità sinistra e controversa, Celestino V è stato destinato al cono d’ombra?

Sicuramente non è colpa di Dante, che li ha citati entrambi, ma di una Chiesa che è sempre stata più orientata verso i fasti ed i sotterfugi propri del primo piuttosto che verso la caritas del secondo.

Ma è pur vero che se per la giustizia dei tribunali passano anni o decenni, il tempo della Chiesa ragiona in secoli, e solo di recente Papa Francesco ha avuto il coraggio di aprire la porta Santa della basilica di Collemaggio, riabilitando definitivamente la figura di Celestino V e consacrando il “Perdono” come presupposto per la pace. 

Solo adesso la Storia – che come abbiamo visto non fa sconti ad alcuno – restituisce le sue ragioni a Papa Celestino V, quell’eremita che aveva dimostrato al mondo che il potere è un servizio; il problema è che se ci troviamo a ribadirlo dopo 730 anni probabilmente significa che, tutti noi, ne abbiamo ancora tristemente bisogno.

 

Gennaro Maria Genovese – redattore

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