Dante, quante cose, non tutte buone, si sono fatte in suo nome. Parla il linguista e accademico della Crusca Rosario Coluccia

In altri casi i risultati sono eccellenti. Tra questi spiccano, tra i più significativi in assoluto, due recenti edizioni del testo della «Divina Commedia», entrambe degne di grande attenzione e destinate a rimanere nel tempo.

La ricorrenza del 2021, che ha ricordato al mondo i 700 anni trascorsi dalla morte di Dante Alighieri, ha generato numerosissime iniziative, scientifiche e non scientifiche, non tutte di primo livello. Per alcuni il nome di Dante è stato una specie di passepartout buono per tutte le occasioni. Nel nome di Dante si sono organizzate mostre ripetitive, fatti convegni effimeri, tenuti dibattiti senza novità, in cui spesso ci si è limitati e riverniciare vecchi contenuti in nuove forme.

In altri casi i risultati sono eccellenti. Tra questi spiccano, tra i più significativi in assoluto, due recenti edizioni del testo della «Divina Commedia», entrambe degne di grande attenzione e destinate a rimanere nel tempo, pur nella diversità dell’impostazione e dei risultati che ne derivano. Alludo all’edizione in tre volumi (I. «Inferno»; II. «Purgatorio»; III. «Paradiso») a cura di Giorgio Inglese, Firenze, Le Lettere, 2021; e a quella (per ora limitata all’«Inferno», in attesa dei prossimi «Purgatorio» e «Paradiso»), a cura di Elisabetta Tonello, Paolo Trovato, con la collaborazione di Martina Cita, Federico Marchetti, Elena Niccolai, commento di Luisa Cuomo, Limena (PD), libreriauniversitaria.it Edizioni, 2022.

Ogni editore della «Commedia» deve misurarsi con una complicazione che rappresenta una delle questioni più intricate della filologia mondiale. Dell’opera capitale della nostra letteratura e della nostra lingua non è rimasto neppure un rigo scritto direttamente da Dante. Di quel testo che tanto ha influito sulla storia e sulla coscienza degli italiani sono rimaste solo copie, trascritte dai copisti a partire dagli anni Trenta del Trecento. Dante morì subito dopo aver terminato l’ultimo canto del «Paradiso», chiuso dal verso notissimo «l’Amor che move ’l sole e l’altre stelle», chiusa che esalta l’amore, principio e anima dell’universo, al cui ritmo appartiene ogni essere umano. E non poté in nessun modo conoscere (né, tanto meno, controllare) le modalità attraverso le quali il suo testo si diffuse nel tempo e nello spazio, con copie manuali tutte diverse l’una d’altra (come succede ancor oggi ad ogni oggetto complesso costruito artigianalmente, non se ne possono creare due assolutamente identici). La stampa, che fornisce copie tutte uguali del testo stampato, era di là da venire. Il testo dantesco veniva ricopiato a mano e ogni volta, inesorabilmente, subiva dei cambiamenti.

Perduto in maniera irrimediabile il testo autografo uscito dalla penna di Dante, la difficoltà fondamentale per l’allestimento dell’edizione critica (cioè scientifica, fondata su principi di logica) della «Commedia» risiede nella presenza di un numero elevatissimo di testimoni: circa 580 manoscritti integrali (che diventano quasi 800, se aggiungiamo quelli incompleti), ognuno dei quali contiene 14.233 endecasillabi che abbondano di errori, di fraintendimenti, di varianti. Le diversità andrebbero tutte confrontate tra loro, allo scopo di avvicinarsi, il più che sia possibile, al testo originale uscito dalla penna di Dante. Varianti da scrutinare secondo criteri di qualità, puntando a distinguere quello che è dantesco da quello che è dei copisti.

L’edizione che fino ad oggi è stata di riferimento nel mondo scientifico è quella a cura di Giorgio Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966-1967 (condotta con il favore e con la sistematica revisione di Gianfranco Contini), più volte ristampata, apparsa immediatamente dopo il 1965, settimo centenario della nascita di Dante; a conferma che le ricorrenze centenarie non sono solo ritualità celebrative ma possono essere occasioni in cui vengono alla luce indagini di lunga lena, nel solco di solide tradizioni. A questa edizione di Petrocchi, fino ad oggi canonica, si affiancano ora quella di Inglese e di Trovato che, è facile prevedere, provocheranno non la conclusione ma l’aumento delle discussioni sul testo della «Commedia», proprio grazie agli amplissimi spunti di metodo in esse contenuti.

In tanto fervore di ricerche, altri lavori di primo livello continuano a occuparsi della lingua di Dante. Per iniziativa dell’Accademia della Crusca e dell’Istituto del CNR «Opera del Vocabolario Italiano» nel 2015 sono in corso i lavori per l’allestimento di un «Vocabolario dantesco» (VD, www.vocabolariodantesco.it) destinato a raccogliere l’intero patrimonio lessicale contenuto nelle opere di Dante, a partire dalla «Commedia». Il VD, liberamente accessibile online, commenta tutte le parole significative attestate nelle centinaia di manoscritti che tramandano il testo di Dante, mostrando come quel testo fondamentale, modello di lingua e di sentimenti per milioni di italiani, è stato letto nel corso dei secoli.

Dante non ha scritto solo in italiano, ha usato anche il latino, in opere fondamentali tra cui spicca il «De vulgari eloquentia», il più importante trattato di linguistica del Medioevo. Perciò è quasi naturale che sia nato il «Vocabolario Dantesco Latino» (VDL, www.vocabolariodantescolatino.it), che ha come obiettivo la realizzazione di uno strumento lessicografico dedicato al latino di Dante, parallelo e collegato al VD, con criteri, strumenti e procedure a esso omogenei. Si arriva così a ottenere, per la prima volta nella ricerca scientifica mondiale, una rappresentazione completa e unitaria, sotto il profilo lessicografico, della cultura bilingue di Dante, che scriveva sia in italiano che in latino.

La ricerca di omogeneità che accomuna VD e VDL costituisce fattore di estrema importanza, esprime la volontà di reciproca interazione tra le due imprese. Dai due siti si può risalire direttamente, attraverso la rete, a banche dati e corpora testuali  (un blocco enorme di fonti italiane e latine), che permettono nuove strategie di interrogazione dell’opera di Dante e nuove prospettive di ricerca, ben oltre le annotazioni storiche, semantiche e bibliografiche fornite dalle singole voci dei due Vocabolari. Tutto a disposizione di chiunque, per ricerche di ogni tipo.

Per iniziativa dell’Accademia della Crusca e della Società Dantesca Italiana nei giorni 13 e 14 dicembre si è svolto a Firenze il Convegno internazionale di studi «Le lingue di Dante. Nuovi strumento lessicografici: il VD e il VDL», che ha visto la partecipazione di studiosi italiani, europei e americani. La sessione della prima giornata, svolta nella sede della Società Dantesca Italiana, il Palagio dell’Arte della Lana, a un passo da Piazza della Signoria, si intitolava: «L’officina latina di Dante»; quella della seconda, svolta nella sede dell’Accademia della Crusca, la Villa medicea di Castello, dove a metà del Cinquecento il Vasari poteva ancora ammirare la «Nascita di Venere» e la «Primavera» di Botticelli oggi agli Uffizi, si intitolava «Percorsi nel lessico dantesco fra latino e volgare».

L’impostazione allargata e filologicamente ben fondata delle due imprese consente di ampliare il numero di atte­stazioni che riguardano voci rare o poco usate, a volte ne retrodata anche consi­stentemente la prima occorrenza o testimonia uno specifico uso. Grazie a questa impostazione, VD e VDL riescono a recuperare fatti lessicali e semantici poco conosciuti e finora poco rappresentati negli strumenti dell’italiano antico e del latino medievale. La lingua di Dante si staglia nella sua storia, nella varietà interna, nella prospettiva di lunga durata che ha segnato nei secoli la lingua italiana. Tutto ciò hanno messo in evidenza, con documentazione originale e inappuntabile, le relazioni di studiosi affermati e di più giovani bravissimi ricercatori ascoltate durante il Convegno.

La presenza di molti giovani, agguerriti e determinati, induce a ben sperare. La ricerca su Dante continua, produce risultati mai visti, con benefici per l’intero Paese.

 

 

 

 

Rosario ColucciaAccademico della Crusca, Professore emerito di Linguistica italiana

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