“Anche se ne abbiamo da buttar/noi seguitiamo a scavar!”: così cantano in coro i 7 nani del film Biancaneve e i 7 nani nel 1937 mentre si recano festanti a scavare in miniera col piccone in spalla. Hanno diamanti a profusione per vivere di rendita ma scavano di continuo per trovarne altri: è una specie di ossessione da bene di posizione.
Il governo fascista
Nello stesso periodo, gli anni Trenta del Novecento, in Italia e nell’area mediterranea gli archeologi dei quali noi siamo nipotini scavano a profusione col supporto ufficiale del governo fascista.
«Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito. Noi sogniamo l’Italia romana cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale. Molto di quello che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel fascismo»: così Mussolini il 21 aprile 1922 spiega la retorica fascista fondata sul nesso “romanitas”-fascismo. La pianificazione urbanistica fascista prevede che nuovi edifici imponenti gareggino in monumentalità con i resti archeologici romani. Succede a Roma, dove le demolizioni fasciste non risparmiano neppure quartieri immortalati dalla pittura di Raffaello in Vaticano come la cosiddetta “Spina di Borgo”: gli architetti Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli dal 1936 distrussero buona parte del tessuto urbano composto da palazzi dovuti a Bramante, Baldassare Peruzzi, Carlo Maderno per fare posto all’attuale Via della Conciliazione. Il progetto fascista di monumentalizzare i centri storici italiani interessa un po’ tutto il territorio, e in particolare le città dotate di importanti resti archeologici di epoca romana.
A Lecce, per esempio, gli scavi conseguenti alla scoperta (datata all’inizio del secolo) di resti archeologici nell’area dell’attuale piazza Sant’Oronzo riportarono alla luce un terzo dell’anfiteatro augusteo, demolendo edifici storici cinquecenteschi e successivi e optando per un dialogo tra la porzione di anfiteatro riemersa e i nuovi edifici fascisti ancora oggi in uso nella piazza.
Gli scavi di Lucera
A Lucera dal 1935 il bibliotecario e intellettuale antifascista Giambattista Gifuni (attento a largo spettro a ogni testimonianza del patrimonio culturale, non solo all’archeologia) coinvolge un grande archeologo, Renato Bartoccini (aderente al fascismo) per la valorizzazione internazionale dell’anfiteatro che è tra i più grandi dell’area Mediterranea.
A Lucera all’inizio di questo mese la rucola cresceva spontanea nella Fortezza svevo-angioina e perfino sui resti di uno scavo molto pubblicizzato per la valorizzazione di un altro sito archeologico romano, le Terme, inaugurate all’inizio di settembre (la notizia è del 6 novembre, è uscita sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» ed è ancora attingibile sul profilo Instagram del giornale).
Nell’Italia meridionale e non solo emergono di continuo testimonianze archeologiche, se si scava; i media ogni volta vengono orientati ad annunciare che si tratta di scoperte mirabolanti: ma basta conoscere la nostra storia, grazie alla cui ricchezza è fortunatamente quasi scontato scavare e riportare alla luce reperti dei quali, un momento dopo, ci dimentichiamo, dei quali non conosciamo le coordinate, che non vengono tutelati con la manutenzione ordinaria né valorizzati (quanto è vuota questa parola, con la quale tutti ci riempiamo la bocca…), con l’eccezione di esempi grandiosi e acchiappa turisti come quelli romani. Perfino a Milano l’archeologia prende piede nei progetti turistici del Comune: in zona Ticinese, tra via Arena e via Conca del Naviglio, nel 2025 verrà aperto un museo in edifici oggi in disarmo per ospitare i reperti dall’anfiteatro. Tuttavia perfino molti milanesi colti non sanno che, quando passano in quell’area, la Porta Ticinese e le chiese adiacenti custodiscono da secoli una storia dell’arte che, ormai, è sempre più solo appannaggio di noi specialisti.
Eppure, «anche se ne abbiamo da buttar/noi seguitiamo a scavar!»: del 13 novembre è la notizia (rimbalzata sui media nazionali) che annuncia lo stanziamento di milioni di euro perché il Comune di Lecce e la Soprintendenza riprendano gli scavi da Ventennale flagello fascista, allo scopo di riportare alla luce le porzioni non scavate dell’anfiteatro e attirare turisti. “Lecce Romana, primi milioni”, è il titolo in prima pagina sul Nuovo Quotidiano di Puglia.
Non vado a Lecce dall’inizio di settembre, quindi di seguito riferisco di una situazione di poco precedente, con l’eccezione di quanto scrivo a proposito del Teatro romano, la cui situazione è corredata da fotografie risalenti a sabato scorso.
Monumenti tra degrado e incuria
Ho visto piante di ogni tipo attecchire nell’anfiteatro, ventre aperto nel cuore del centro storico del quale ogni amministrazione non ha saputo bene cosa fare. Altri monumenti archeologici nella stessa area di Lecce, costantemente infestata da un turismo sempre più invadente e becero, sono in condizioni di degrado e incuria; il museo del Teatro romano un tempo allestito dalla Fondazione Memmo è chiuso al pubblico e le finestre adiacenti al Teatro mostrano l’assenza totale di cura del patrimonio custodito nelle sale; il Teatro stesso è un deposito e una sorta di tana per gatti che si cibano da piatti di plastica lasciati là col mangime ai quali si aggiungono rifiuti lanciati da residenti e turisti ed erbacce (si badi bene: il Teatro romano e il museo annesso esistono già, non c’è bisogno di scavare per sapere che ci sono: eppure sono inaccessibili e non adeguatamente tutelati dal denaro pubblico); ci sono chiese chiuse; a quelle aperte si accede a pagamento nella maggior parte dei casi; i principali monumenti pubblici ottocenteschi e novecenteschi non sono compresi negli itinerari turistici; è chiusa con un lucchetto, è di privati ed è nota solo a noi accademici la cappella per la quale un sindaco veneziano di Lecce ordinò al celebre Paolo Veronese l’opera più importante dell’intera storia dell’arte a Lecce e tra le più rilevanti arrivate in Puglia, cioè la pala d’altare con San Giacomo minore e san Filippo (oggi alla National Gallery of Ireland a Dublino).
Perfino molti leccesi che hanno convintamente votato la sindaca attuale e, prima, i nostri governanti non sono consapevoli che la parte più fascista di Lecce, quella alla quale dovrebbero tenere di più per la promozione turistica senza bisogno di seguitare a scavare, non è quella venuta alla luce grazie ai picconi ideologizzati, ma proprio quella costruita durante il Ventennio e non compresa esplicitamente negli itinerari turistici: si tratta della porzione urbanisticamente e architettonicamente più consistente, in percentuale, in città. Mi chiedo dunque se parte dei milioni ministeriali sarà destinata a ripulire e a proteggere ciò che già c’è, come per esempio la fascistissima Fontana dell’Armonia, voluta da Mussolini nel 1927 e sempre lordata dal guano dei piccioni, da altri materiali organici e da un uso inadeguato dell’area, senza che se ne segnali con la giusta enfasi ai turisti e ai residenti il ruolo storico e la rilevanza artistica anche nell’ambito del quartiere crocevia in cui è collocata.
Tutela del patrimonio
Auspico che i milioni del Ministero vengano prima o poi destinati a una vera tutela del patrimonio leccese e soprattutto all’educazione del pubblico a cui dovrebbe essere rivolta una solida offerta culturale che non prescinda da ciò che è esistente, visibile, in bella evidenza. Lecce ha una sindaca che si sta circondando di una squadra di noti accademici, stando ai giornali; Poli Bortone già in passato, pur se depositaria di valori di matrice fascista nei quali non posso riconoscermi, ha dimostrato di promuovere con intelligenza una rivalutazione del tessuto urbano storico di Lecce e le arti del teatro come poi non ha più fatto nessuna amministrazione successiva. Potrebbe dunque dedicare una parte consistente delle risorse alla tutela e alla conoscenza storica di ciò che già esiste, di ciò che è già stato scavato, di ciò che è già esposto negli spazi pubblici dedicati anche –come ho scritto sopra- a reperti archeologici che oggi nessuno può vedere, se l’archeologia resterà in cima agli interessi della politica locale.
Staremo a vedere, a Lecce, a Lucera, a Milano e nel resto d’Italia. Sta di fatto che in questo nostro magnifico e disgraziato paese la piaga delle “chiese chiuse” (un’etichetta che dobbiamo a Tomaso Montanari e che uso metaforicamente e metonimicamente per indicare la parte per il tutto) cresce di pari passo al mito risorto della “romanità” picconatrice.
Però no, non sono tornati i fascisti in Italia.
Floriana Conte – Professoressa di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Accademica dell’Arcadia