Ministero della Cultura, da Spadolini a Sangiuliano: metamorfosi di un costume

Non è che la toppa conclusiva -a dire il vero un po’ in ritardo- messa con la scelta di una persona dignitosa come il nuovo ministro Giuli aggiusti i troppi cocci lasciati sul terreno dalla vicenda Boccia-Sangiuliano conclusasi con le dimissioni del ministro. Basti pensare, che nelle scorse settimane, tanto più in vista del G7 dei prossimi giorni, l’Italia ha avuto l’onore di essere sulle pagine dei giornali di tutto il mondo non come il paese col più grande bacino di cultura, ma come il paese delle Boccia e dei Sangiuliano…

Quasi il “Diario notturno” di Flaiano

Della vicenda del ministro Sangiuliano si sono occupati e si stanno occupando, specie quanto agli aspetti di colore, costume e quant’altro – anche troppo – i giornali. Basta dire, a questo proposito, che sembra che una mano invisibile abbia voluto pescare da note e racconti brevi del “Diario notturno” di Flaiano, amalgamandoli in uno straordinario racconto o soggetto di film di un redivivo Flaiano, che però va sotto la voce che i giornali femminili chiamano “Vicende di storia vissuta”.

Ennio Flaiano

Certo, Flaiano non poteva prevedere cosa può avvenire in casi analoghi in presenza dei social e della abilità tattico-strategico-manovriera di una sorta di influencer femminile contemporanea, che fisicamente rinnova quasi, allungandone l’altezza, i fasti di Anita Ekberg.

Pertanto, della “Flaianitudine” inconsapevole vissuta dal ministro con la signora il cui cognome, Boccia, richiama quello di una sorta di boccia da bowling tirata contro i fragili ed esili birilli del ministro e dello staff che gli gravitava intorno, i lettori per ora hanno visto la provvisoria conclusione con le tardive, ma onorevoli dimissioni del ministro. Si è diffusa poi nei palazzi del potere, politico e non solo politico, una sorta di allerta: “attenzione al virus delle influencer”. Per il virus dell’influenza abbiamo il vaccino, mentre quelle per quello delle influencer e degli influencer (per le ministre donne) il vaccino purtroppo non si è ancora creato. Speriamo che la ricerca si metta in moto. Credo di aver detto anche troppo su un tema che non è l’esatto oggetto di queste riflessioni.

I veri nodi amministrativi del caso Boccia-Sangiuliano

Mi sento indotto a scrivere, specie in qualità di presidente dell’Academy Spadolini di cultura e politica, per non poca parte perché quel Ministero della Cultura, proprio da Giovanni Spadolini, cui nell’anno precedente era stato affidato in qualità di ministro senza portafoglio, fu fondato nel 1975.

Gennaro Sangiuliano

Da Spadolini a Sangiuliano, attraverso tanti colpi di boccia, potrebbe essere intitolato il soggetto della vicenda. Anche se troppi, pur bravi, giornalisti, non hanno colto un’altra questione: quella che riguarda gli aspetti istituzionali, di alta amministrazione, di procedimenti amministrativi, che fa da contorno alla vicenda. Guarda caso, tutto si sta svolgendo mentre è in corso, in quel Ministero della Cultura, in cui ai tempi di Spadolini c’era ben altro ordine e ben altra etica, una completa rivoluzione organizzativa.

Sulla base di un DPCM che ha abolito, forse, la figura più opportuna presente in quel ministero, ovvero quella del segretario generale, sostituendola con quella di quattro capi dipartimento, dai quali dipendono una dozzina di direzioni centrali (si pensi che il ministero di Spadolini ne aveva 2!) al vertice e una ventina tra musei nazionali e altri luoghi istituzionali. I maliziosi sostengono che il capo di gabinetto non volesse sentire accanto a sé l’ombra di un altro vertice del ministero come è un segretario generale.

Giovanni Spadolini

Guarda caso, il tutto approntato, specie con la finalità di rinominare nelle postazioni dirigenziali, ovviamente, figure di fiduciari o affini. D’altronde, da tempo (purtroppo a introdurre il “sistema delle spoglie all’italiana” ci ha pensato Franco Bassanini allora ministro della funzione pubblica nel governo Prodi nel 1997) l’articolo 97 della Costituzione sancisce la separazione tra politica ed amministrazione, oltre all’imparzialità di quest’ultima. Seguito dall’articolo 98, secondo il quale i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione. La norma costituzionale di fondo su cui si era basato Spadolini nella prima istituzione del Ministero, figlia della miglior cultura liberale, a cominciare da quella scolpita da Silvio Spaventa ne “La giustizia nell’amministrazione”.

La vicenda, quindi, si è svolta e si sta svolgendo in un sostanziale vuoto di potere in seno alla cornice istituzionale e amministrativa del Ministero, in una delicata fase di transizione, da qualche residuo della permanenza in vigore dell’articolo 97 all’Italia del pieno sistema delle spoglie nel 2024. Ma, potrebbe chiedersi il lettore, cosa c’entra questo con la vicenda Sangiuliano? La risposta è semplice. Le istituzioni e le amministrazioni hanno spesso un senso e un fondamento, e se hanno apprestato, ad esempio, i gabinetti dei ministri, configurati come uffici di diretta collaborazione, li hanno configurati anche per provvedere a tutelare l’immagine e i comportamenti istituzionali dei ministri.

Per essere più crudi: possibile che una, due o tre settimane fa, a qualche capo di gabinetto, capo segreteria, segretario particolare o portavoce, non sia venuto in mente rivolgersi al Ministro dicendo: “Signor Ministro, forse con questo eccesso di presenze para-istituzionali di questa signora Boccia si può correre qualche rischio!”.

Possibile che nessuno abbia messo in guardia il ministro da questo? Eppure i gabinetti si chiamano così anche perché si occupano pure di “lavoro sporco”, per un verso, e per altro verso non sono come i ristoranti, e non è che sono fatti da camerieri (con tutto il rispetto per la categoria), ma dovrebbero essere fatti da soggetti che hanno quel minimo di coraggio per mettere in guardia il ministro, per prevenire una situazione difficile. Forse i troppi gabinettisti di quel ministero erano un po’ distratti, per un verso dal dare ragione sempre al ministro, magari lavorando in un gabinetto con lo spirito con cui si lavora in un ristorante. Per altro verso dal come spartirsi, anche in funzione degli interessi del ministro, le nuove caselle di vertice e di sotto-vertice dirigenziale maturate in seno al ministero a seguito del DPCM di riorganizzazione, per il quale tanto era stato in precedenza sollecitato e ottenuto il parere del Consiglio Di Stato.

L’occasione di ripensare alla figura di Spadolini nel centenario del 2025

E così, mentre impazzavano le presenze para-istituzionali a tanti eventi culturali sostenuti dal ministero, della signora Boccia – mentre il pettegolezzo, più o meno fondato, discendeva per li rami da Dagospia fino ai grandi giornali, il ministro rimaneva sostanzialmente solo, a quanto è dato dedurre. Nessuno gli diceva qualche “No”, lo metteva in guardia, gli ricordava qualche aspetto di etica pubblica fra quei tanti gabinettisti presi a riattrezzare il “Ristorante” del ministero come più e meglio interessava a loro. Lungi da chi scrive attribuire responsabilità specifiche a singoli capi, capetti o gabinettisti. Perché, ovviamente, come dicevano i nostri nonni: “Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”. E il ministro ha pianto anche davanti alle telecamere del TG1.

Ma non si comprende il senso più profondo di questo strano scandalo all’italiana ai tempi dei social se non si comprende la questione di apparati e staff che dovrebbero stare a contribuire a tutelare l’immagine e un certo rigore etico da parte dei ministri. Nell’Italia dei social può capitare anche in altri ministeri l’insinuazione di qualche signora abile con i social, o nei ministeri retti da signore può capitare l’insinuazione di qualche signore abile con i social. È da sperare che, se maturasse il rischio di casi analoghi, gli staff dei ministri o delle ministre interessate siano in grado di prevenire, mettere in guardia, incanalare l’opera e l’azione del ministro o della ministra in questione.

Non era certo questo quello che poteva prevedere Giovanni Spadolini nel 1975 quando aveva apprestato un ministero a dotazione e provvista molto più ristretta. Due direttori generali in tutto a Roma, a fronte degli 11 previsti dalla riorganizzazione. Però, Spadolini, a differenza di buona parte della classe politica odierna, specie ma non solo nella destra al governo, non solo aveva un forte senso dell’etica pubblica, non solo aveva un senso della separazione fra politica e amministrazione e dell’imparzialità dell’amministrazione. Ma è legittimo pensare che potesse prevedere che, oltre ai ministri stessi, anche gli staff sono chiamati a stare all’erta di fronte all’insorgere di eventuali patologie.
Ora, quasi come in una sorta di pena del contrappasso per il povero ex ministro Sangiuliano, lui stesso ha deliberato che il centenario più importante con le varie attività ad esso connesse nel 2025 sarà quello della nascita di Giovanni Spadolini. Così il cerchio si chiude da Sangiuliano passando per quella sorta di indovinello racchiuso in un enigma che è il ministro Giuli. Torna, in questo momento, insistente la memoria di un vero grandi ministro, presidente del Consiglio, professore ordinario di storia e direttore del Corriere della Sera come fu Giovanni Spadolini. Per ora come deve fare chi ha sana sensibilità istituzionale cogliamo i pochi aspetti positivi emersi alla fine di questa strana e triste vicenda politico istituzionale e di costume.

Non so se è stato giusto da parte del presidente del Consiglio Meloni non umiliare il ministro Sangiuliano, non imponendogli subito le dimissioni. Il quale con una lettera dimissioni carica di senso della propria dignità è riuscito a recuperare quel senso della disciplina e dell’onore richiesto da chi riveste delle cariche pubbliche. Quanto al nuovo ministro Giuli, che pur è un ottimo giornalista e una persona specchiata, esso eredita un ministero un po’ terremotato specie dalla ammuina in corso nelle scorse settimane e nei giorni che seguiranno alla luce delle nuove nomine. Va però riconosciuto che è stato un buon soggetto dell’ordinamento istituzionale del ministero della cultura, in quanto a capo di un museo centrale come il Maxxi. Percorrendo, a rovescio, il tragitto di chi lo precedette al Maxxi, Giovanna Melandri, che prima fu per due governi ministra della cultura e presidente del Maxxi. L’essere stato parte dell’ordinamento istituzionale culturale gli ha consentito qualche esperienza di curriculum più significativa ai fini di svolgere l’incarico di ministro. Guardiamo avanti

 

 

Luigi Tivelli Presidente dell’Academy Di Cultura e Politica Giovanni Spadolini

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