I media, nuova cappa che riveste il mondo, appoggiandosi sulla rete dei
meridiani e dei paralleli, come una nuova pelle, rimandano ad una nuova
era antropologica, in cui le notizie sono istantanee e quindi prendono
l’aspetto, della instabilità, della moda in senso ampio.
Un succedersi continuo di segnali, che per la loro velocità, che si approssima (si fa per
dire) a quella del suono (quella della luce è ancora inarrivabile) non ci
concede nessuna pausa di riflessione, né in etica, né in estetica, inducendo
alla proliferazione degli analecta, raccoglitori e compilatori, che cercano di
rallentare il tempo, separando il grano dal loglio e istituendo una linea
ermeneutica elitaria, che spezza in due la piramide sociale, divenente
(più che divenuta) sempre più verticale nella parte superiore, sempre più
orizzontale quella inferiore.
Tanto che diventa ipotizzabile un suo tattile sezionamento in due parti, che potrebbero, per il venire meno della
porosità intermedia, divenire non comunicanti. Il tratto comune diventa la paura, paura di non essere, paura di
non avere, a sufficienza, per andare in alto;
la paura di perdere l’effimero che si ha, per rimanere dove si è. Una paura
“intellettuale” in alto, una paura “viscerale” in basso.
La nostra narrazione antropologica parte dall’ominide che non si accorgeva nemmeno di essere,
vivendo in una biologia totale, che non era né vita né morte, ma un frettoloso
passaggio in cerca di cibo, nella panacea di un sesso, senza intermittenza.
L’uomo come tale nasce, paradossalmente, con la scoperta della morte, da
cui derivano tutte le attività mentali elevate, di nomenclatura, di agricoltura,
di cronometria, di architettura.
Tutte misure che portano all’amplificazione della memoria, fino all’invenzione della scrittura, che è
il vero salto di qualità, quello che ingloba tutto e struttura la scoperta della divinità (fatta di tavole
della legge, bibbie, codici ermetici, libri vedici…) fino alla filosofia e alla scienza,
facendo iniziare la storia, della commedia e della tragedia, che lasciano il posto
alla ragione, come capacità di computo del vero come specchio del reale, fino
alla prova contraria, in opposizione al dogmatismo. Post, è tutto.
E non è che l’inizio, dell’abolizione delle distanze e di un deperimento del tempo come
entità a se stante, che neanche l’alternarsi giorno/notte, con la differenza di
meridiani, che a partire da Greenwich, che distacca ogni oriente da ogni
occidente, riesce più a fermare, con un online a tempo pieno, sconvolgente,
passati presenti futuri, in un melange, in cui servono e serviranno nuove
regole di noetica.
Ci dobbiamo giocare, continuamente, i tre periodi ipotetici,
della realtà, della possibilità, della irrealtà, ad essere emulsionati velocemente,
per cui non bastano i ragionamenti logici classici, ma urgono nuovi strumenti
che abbiano un alert e un timing, adeguato, a non calpestare le mine, cadere
nei gorghi, a non sbattere nei pieni, perdersi nei vuoti; tutte cose che non
vengono dal caso o dalla necessità, ma che vengono dalla nostra volontà,
facendo collassare positivismi e occultismi, nuove trame di neo sincretismi e
neo catarismi.
Siamo noi che dobbiamo stare al centro: intelligere.
Francesco Gallo Mazzeo – Professore emerito dell’ABA di Roma. Docente di linguistica applicata nuovi linguaggi inventivi delle arti visive al Pantheon Institute Design & Technology di Roma e Milano