Verso le Europee, il problema del populismo

Intervista al prof. Fabio de Nardis

Populismo, sovranismo ed euroscetticismo. Temi che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo decennio e che possono influenzare la nostra società. I movimenti populisti oggi sono presenti in Europa e nel tempo potrebbero avere una voce più importante in capitolo. Ne abbiamo parlato con Fabio de Nardis, professore ordinario di sociologia politica alle università di Foggia e del Salento.

Perché sono nati così tanti movimenti populisti ed euroscettici negli ultimi anni?

Ormai il problema dell’euroscetticismo è abbastanza atavico ed è legato anche a come l’Europa si è costituita. L’Ue tende a essere non un’unione politica nel vero senso della parola ma più che altro economica.

Contando che buona parte della legislazione parlamentare è espressione del mandato europeo è logico che l’Ue non venga percepita solo come una semplice cessione di sovranità ma anche come causa dell’austerità economica.

Prendiamo ad esempio il pareggio di bilancio, un’operazione costituzionalizzata ed abbastanza controversa che riguarda il nostro Paese. Crea condizioni per cui il principale output del prelievo fiscale del nostro Paese non viene destinato ad altre politiche.

Questo cosa comporta?

Di fronte a cicliche crisi economiche è più facile che le persone che vivono disagi economici possano affidarsi a personaggi sovranisti ed esclusivisti. É importante poi specificare che i sovranisti sono quei populisti che tendiamo a collocare maggiormente a destra, non perché la sovranità sia un concetto di destra ma perché i soggetti appartenenti a quell’ambito politico se ne sono fatti portavoce.

L’emersione di soggetti di questo tipo è sintomo di crisi di sovranità negli Stati nazionali. In momenti del genere è più facile che possano nascere soggetti politici che si propongano come difensori della sovranità nazionale contro i poteri transnazionali o sovrannazionali.

Per quanto questo possa sembrare un fenomeno recente l’euroscetticismo non è poi così “nuovo”… possiamo identificare un’origine?

L’euroscetticismo nasce nel momento in cui si costituisce l’Ue nella sua fase ultima. Ha un’origine trentennale ma i partiti o movimenti che se ne facevano portavoce avevano tratti etno-nazionalisti.

Pensiamo ad esempio alla Lega Nord in Italia, si trattava di movimenti marginali o di estrema destra. Negli ultimi anni sono diventati però maggioritari. Si tratta di un cortocircuito derivato dalla crisi economica del 2008 che ha accelerato un disagio sociale generalizzato portando il moltiplicarsi di soggetti critici verso i mercati mondiali dei quali l’Ue si faceva portavoce.

Non si tratta solo di soggetti di destra, in passato in Italia il M5s aveva assunto prospettive euroscettiche. In Spagna l’euroscetticismo è stato espresso da Podemos, pensiamo in Grecia poi a Syriza: entrambi partiti di sinistra.

Quali sono i rischi alle prossime europee se i movimenti populisti o di estrema destra otterranno voce nel Parlamento europeo? Ci saranno ripercussioni sull’Ue?

Dubito che diverranno maggioritari a livello europeo, è più facile che il Ppe abbia la meglio: e parliamo di un gruppo tutt’altro che euroscettico.

I soggetti populisti hanno una determinata forza finché stanno all’opposizione, quando raggiungono il potere tendono a normalizzarsi nelle relazioni con l’Ue, al di là del pensiero dei propri sostenitori.

Cosa può fare l’Europa? Dovrà concentrarsi su altro oltre che sulle politiche economiche austere e cercare di garantire una certa parità?

Non dipende solo dall’Ue. Noi viviamo la variante ultima del modello di produzione del capitalismo che è stata definita “neolibertista”. In realtà non esiste un unico neoliberismo ma diversi tipi che puntano a creare forme di governo che depoliticizzano. Pensiamo al fatto che la maggior parte dei parlamenti non legiferano.

Il Parlamento viene svuotato dalla rappresentanza e le leggi sono quasi tutte di produzione governativa. Gli esecutivi sono di fatto notai di decisioni prese fuori dai Parlamenti: dal G7 e G8, dalla Banca mondiale, il Fondo Monetario e in ultimo l’Ue. Non è un caso che si cerchi di potenziare il potere esecutivo rispetto al legislativo.

É difficile che dall’Ue possa arrivare uno sprint d’apertura verso il sociale. Certo il Pnrr – per quanto è stato diversamente tradotto dagli Stati nazionali – è stata una misura più espansiva, anche se a tempo.

In Germania si pensa di mettere un limite all’AfD (un partito tedesco di estrema destra, NdR). Una decisione molto forte che potrebbe però avere ripercussioni…

Credo che le forme di repressione risolvano in maniera limitata i problemi. Si può rendere illegale un soggetto politico ma ciò non limiterà l’esistenza di sostenitori di quel soggetto: troverebbero altre forme di organizzazione. Eliminare un partito politico rischia di renderlo fuori controllo lasciando come cani sciolti i simpatizzanti.

La Germania ha un sistema molto stabile e ha sviluppato anticorpi contro i partiti populisti e alla fine gli stessi soggetti politici continuano a gestire il potere tedesco. Non c’è stato l’exploit di nuovi movimenti che nel giro di 5 anni hanno raggiunto alte percentuali.

C’è un caso abbastanza interessante ma al contempo preoccupante: quello di Milei, che qualcuno definisce il primo regime anarcocapitalista. C’è il pericolo che un modello del genere arrivi qui?

Il modello Milei è socialmente ed economicamente pericoloso. La crisi dell’Argentina del 2002\2003 è stata frutto di politiche anarcocapitaliste – anche se orchestrate dal Fmi – e Milei non può con metodi del genere risollevare le sorti del proprio Paese. La storia insegna che da crisi economiche si esce solo e unicamente con un intervento forte da parte dello Stato.

L’anarco – capitalismo funziona per la creazione di ricchezza non ponendosi il problema della distribuzione di ricchezza. Si tratta di un’impostazione che crea instabilità nei mercati e nell’economia. Può funzionare nell’espansione economica ma non nelle crisi.

Sono i giorni del ritorno di Trump, un populista che è stato portato alla Casa Bianca grazie ad Internet per certi versi. Che spinta dà Internet al populismo?

É lo strumento principale di espansione del messaggio populistico ma anche di altri tipi di messaggi. Internet veicolato attraverso i social network “binarizza” i pensieri dividendo il mondo in posizioni avverse e portando alla polarizzazione delle opinioni.

Attraverso il filtro di un pc o un telefono si dà sfogo alle pulsioni anche senza essere informati: pensiamo a green pass, vaccini o guerre, sono temi sui quali andrebbero fatte analisi approfondite. Molti di questi argomenti sono ripresi poi dai media tradizionali con lo stimolo dato dai social.

Tv e carta stampata non producono più opinione ma raccolgono i rumors che arrivano dai social. Molte trasmissioni non problematizzano ma cavalcano queste situazioni. Il populismo beneficia di situazioni quasi “manichee”: bene contro male o èlite contro massa, lo stile di comunicazione dei social è congeniale a una situazione del genere.

 

Francesco FatoneGiornalista

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