Sappiamo bene che la classe politica italiana è molto distratta sulle vere questioni che interessano il presente e il futuro del Paese, come ad esempio quella dell’intelligenza artificiale (mi pare si preferisca discutere da anni di balneari…).
Ma non meno distratta è sia la classe politica sia l’opinione pubblica su varie questioni che possono intaccare il ruolo della Pubblica Amministrazione. È vero che sul Corriere della Sera Sabino Cassese ha colto con grande appropriatezza una delle questioni che possono sfiancare quella sorta di spina dorsale del Paese che è la PA. Quella del rischio di occupazione politica o parapolitica delle posizioni dirigenziali, addirittura anche di seconda fascia nella PA, tramite un Dpcm passato quasi sotto silenzio che estende ad libitum quel sistema delle spoglie (spoil system) introdotto malamente nella seconda metà degli anni ‘90 da un governo di centrosinistra.
Questa sorta di aggressione più o meno consapevole alla funzionalità e al buon andamento della Pubblica Amministrazione è accompagnata però da altri fattori e iniziative che incidono non poco sulla PA. Sta passando infatti sotto silenzio tra le altre la questione della responsabilità contabile degli amministratori pubblici e del connesso giudizio di responsabilità della Corte dei Conti. Una responsabilità che viene limitata al dolo, essendo stato cancellato tra i requisiti di questa sorta di “reato contabile”, la colpa grave.
Peccato però che il limite fra dolo e colpa grave, per quanto riguarda la responsabilità contabile sia molto labile. Se, infatti, un amministratore, un sindaco, un direttore generale fa con grave colpa palese spreco di conti pubblici, come può non essere perseguibile in alcun modo? Tra l’altro, nei giorni scorsi, la CGIA di Mestre ha quantificato in 180 miliardi gli sprechi delle amministrazioni pubbliche.
In questo quadro dimostrare il dolo, non è cosa facile. Il fatto è che da tempo abbiamo a che fare con una sorta di idola tribus, o idola fori: “la paura della firma”. A parte che è un po’ strano che un pubblico amministratore abbia in sé e per sé paura della firma, non è che per evitare la paura della firma si aprono le stalle e quegli strani buoi che sono le casse dello Stato e dell’amministrazione possono in qualche modo essere sparpagliati a casaccio, ad esempio con finalità di ricerca del consenso, eccetera.
Anche l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio rientra in questa strana tendenza ad aprire le stalle delle amministrazioni centrali e locali. Senza addentrarsi in disquisizioni di diritto penale, va evidenziato però che molto probabilmente era meglio modificare la disciplina e la fattispecie dell’abuso d’ufficio, che è anche uno di quei “reati sentinella” che consentono di cogliere, pure nelle inchieste equilibrate, reati ben più gravi.
In sintesi, l’estensione del sistema delle spoglie, la sostanziale abolizione degli anticorpi che la Corte dei Conti può fornire rispetto ad una sana responsabilità contabile, l’eliminazione tout court dell’abuso d’ufficio, configurano un triangolo non certo virtuoso. Che può creare seri e gravi buchi nella rete delle pubbliche amministrazioni e del loro rapporto con i cittadini. Il fatto che tutto ciò avvenga nella grande distrazione dell’opinione pubblica è un segnale d’allarme non da poco.
Tutto ciò incide gravemente su quel principio del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione sancito dall’art.97 della Costituzione. Speriamo che qualcuno non voglia che chi amministra i nostri soldi abbia sempre di più le mani libere e sia sempre più coperto da una sorta di “immunità amministrativa”.
Luigi Tivelli – Già consigliere parlamentare, capo di gabinetto, scrittore, presidente dell’Academy di politica e cultura Giovanni Spadolini