Cangaçeiros, un gioco da tavolo diventa uno strumento di conoscenza. È ambientato in un’epoca della storia brasiliana

Cenni storici sul fenomeno dei cangaçeiros, sulla zona arida del sertao e una intervista ad Alessandro Lanzuisi, editore del gioco che si ispira a queste figure di banditi-briganti brasiliani

Nello splendido Palazzo Pamphili di Piazza Navona a Roma, sede dell’Ambasciata del Brasile, c’è stata l’inaugurazione della Mostra sul fenomeno storico dei Cangaçeiros, che sarà aperta gratuitamente al pubblico fino al 14 aprile. Nel corso dell’evento è stato anche presentato il gioco da tavolo “CANGACEIROS” che oltre ad essere un valido strumento per conoscere personaggi particolari di un periodo della storia del Brasile, ha alcune peculiarità.

Ma andiamo per ordine: il pubblico presente in sala è stato suggestivamente trasportato dal professor Luca Bacchini, docente di Letterature portoghese e brasiliana dell’Università La Sapienza di Roma, in quel luogo-non luogo che è il sertão, l’arida terra situata nel nord-est del Brasile, dove hanno avuto, appunto, origine i cangaçeiros.

Il sertão non è solo un territorio fisico ma anche una condizione esistenziale e, quindi, “terreno fertile” per stimolare tutte le modalità dell’espressione umana: letteratura, arte, musica, cinema, fumetto. L’ambiente semi-arido ma non desertico e con una qualche presenza di “verde”, dissetato da poche precipitazioni ma anche umido… La scarsa popolazione, presente con poche abitazioni molto essenziali, dove l’acqua è un bene da cercare e trasportare, è una vera sfida quotidiana all’esistenza di chi ci vive. Anche gli animali presenti hanno vita dura. E, quando manca l’acqua, dal sertão si fugge e gli animali vengono lasciati liberi per cercarla. Potremmo dire che gli abitanti di questo territorio sono dei migranti climatici, forse i primi, data la presenza antica dell’uomo in questo posto.

E possiamo assecondare l’idea che “l’ambiente sertão” è anche, per esempio, assimilabile a certe zone del nostro Paese come la Sicilia o la Calabria. In questo contesto difficile, a cavallo tra l’800 e il ‘900, si acuirono miseria, soprusi e prevaricazioni ad opera dei più ricchi nei confronti dei meno agiati. Si svilupparono, così, fenomeni di ribellione, sotto forma di brigantaggio, ad opera dei cangaçeiros. Inizialmente pagati e organizzati dai fazenderos, i latifondisti che volevano combattere i nativi locali per espandere i propri territori, i cangaçeiros, in un secondo momento, cambiano le loro motivazioni pur conservando il loro stile sanguinario e, diventati indipendenti, si danno alla macchia, come briganti.

Questo tema dei briganti è un fenomeno comune, non solo brasiliano ma mondiale, come peraltro ci dice Eric Hobsbawm nel suo libro “Il secolo breve” dove il banditismo è, appunto, un fenomeno universale che ha trovato espressione non solo in Brasile ma anche in Italia con dinamiche analoghe. In questa regione del Brasile, lontana dal progresso e dalla modernità, abbiamo una serie di problemi che dal punto di vista sociale generano povertà, abbandono, senso di lontananza e di una mancanza del senso dello Stato che lascia campo libero ad una sostituzione di un qualcosa, e di qualcuno, che assume la funzione dello Stato. Contro lo Stato con una legge parallela, aggiunge il professor Bacchini, con norme che prevalgono sulla legge dello Stato e, per questo, il fenomeno del banditismo diviene un fenomeno ambiguo anche per la violenza praticata.

Nell’analizzare questo fenomeno, lo storico si viene a trovare in difficoltà anche perché i dati a disposizione sono pochi. In fondo questi cangaçeiros chi sono? Sono un gruppo di banditi, dove ci sono anche le donne, armati fino ai denti, anzi, le loro molte armi sono sempre ben visibili sulle loro spalle: l’origine etimologica del nome proviene da cangaço che significa letteralmente “giogo”, l’armatura di trazione degli animali da tiro nell’aratura che somiglia tantissimo al legno del fucile e alla tracolla, sempre di legno, usata da questi particolari banditi per portare le armi.

Inoltre, essi portavano un cappello di cuoio di forma particolare, ornato di stelle e croci, o di ninnoli in oro, usati come amuleti e rubati durante le varie scorrerie. Questi banditi riuscirono a tenere in scacco la polizia per oltre un decennio, fino a quando, intorno agli anni ’40 del 1900, furono traditi e giustiziati, sia gli uomini sia le donne, che si erano guadagnate pari dignità come combattenti, soprattutto dopo l’ingresso di Maria Bonita, la compagna di Lampião.

Per rendere esemplare la cattura e l’uccisione di questi sanguinari banditi, tutte le loro teste furono esposte come esempio dell’attività della Volante, la polizia che operava nello stato di Bahia. Ma qualcuno riuscì anche a sfuggire a questo massacro, come Josè Alves de Matos, che si rifece una vita e arrivò all’età di 97 anni fino al 2014.

Tra i cangaçeiros più famosi spicca senza dubbio Virgulino Ferreira da Silva, nome di battaglia Lampião, chiamato anche “re del cangaço” e “governatore del Sertão”, che era una persona colta; Corisco, uno dei più fedeli amici di Lampião che dopo la sua morte, nel 1938, continuò l’attività di guerriglia fino a quando non venne ucciso nel 1940. E ancora: Sebastião Pereira, che iniziò la sua attività nel 1916 a seguito di gravi ingiustizie subite da potenti dell’epoca; Josè Aleixo Ribeiro da Silva, detto Zé Baiano, uno dei luogotenenti di Lampião, brutale e violento, conosciuto anche come la “pantera nera del Sertão”; Joaquim Gomes, detto Cabeleira per i suoi capelli da indio, lisci e lunghi fino alle spalle, temuto e considerato imprendibile.

La figura del cangaçeiro è diventata importante nell’immaginario popolare e circondata da un alone di leggenda tanto che, nel corso del tempo, è stata più volte ripresa come simbolo di rivolte popolari non solo nella cronaca di periodi relativamente recenti di ribellione ma anche narrata nella letteratura, nel cinema e nei fumetti.

Solo per fare qualche esempio, citiamo “Grande sertao”, capolavoro del romanziere Joao Guimaraes Rosa; “O cangaçeiro”, la canzone della cantante folk Joan Baez del 1964, dedicata a Lampiao, il più famoso dei cangaçeiros, “Deus e o diabo na terra do sol” e “Antonio das mortes”, i film cult di Glauber Rocha, il regista del “cinéma novo” brasiliano degli anni ’60. Anche in Italia, nel 1969, uscì il film “O cangaçeiro” con Tomas Milian. E il mondo dei fumetti, con i suoi autori, editori e disegnatori più grandi, ha affrontato, e quindi narrato, il tema dei cangaçeiros: tra questi, oltre a Hugo Pratt, citiamo la Sergio Bonelli Editore con i fumetti della serie “Mister No”.

 

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Intervista ad Alessandro Lanzuisi, editore del gioco da tavolo “CANGACEIROS”

Chi è l’editore di un gioco da tavolo? Come nasce un gioco da tavolo? Chi lavora ad ogni progetto? Quali professionalità? Queste sono alcune delle domande che ci siamo fatti nel corso dell’evento presso l’Ambasciata del Brasile che aveva come protagonista, oltre alla mostra, anche il lancio di questo nuovo gioco da tavolo, di cui è prevista l’uscita in Italia per la fine di aprile. Per avere qualche risposta abbiamo chiesto ad Alessandro Lanzuisi, CEO della “Ergo ludo”, casa editrice anche di “Cangaçeiros”.

Quali sono le professionalità che intervengono nella creazione di un gioco da tavolo?

Per realizzare un gioco da tavolo c’è sempre tanto lavoro, anche se non sempre emerge quando lo si usa. Intanto, affinché un gioco funzioni, c’è tutto un lavoro di struttura delle regole, di creazione del meccanismo di funzionamento che va provato e testato più volte, per arrivare ad una dinamica di gioco, voluta dall’editore, che non presenti “buchi” o falle nel sistema, che abbia una durata non troppo lunga, e questo è un lavoro che può durare anche anni, a seconda della complessità del gioco. Quando poi, come in questo caso, si tratta di un tema storico, c’è anche una parte di documentazione, anche iconografica, per supportare il lavoro dell’illustratore, e per favorire l’emersione di quelle suggestioni che desideriamo trasferire in quel determinato gioco. Ci sono poi l’ideatore del gioco, lo sviluppatore, il grafico fino alla messa a punto del gioco che può andare in stampa. Tutto questo può richiedere anni; nel caso di Cangaçeiros ne sono stati necessari quattro.

Perché avete pensato proprio ai cangaçeiros?

Un amico, appassionato di questo periodo storico della storia del Brasile e di questa tematica che aveva assorbito a sua volta dalle letture di fumetti che hanno trattato questo tema, sia della Bonelli sia di Hugo Pratt, ci ha proposto questa idea. Io l’ho accolta con entusiasmo sia per la curiosità e l’interesse su questo fenomeno storico sia perché, come editore di giochi da tavolo, cerco sempre ambientazioni diverse e mai trattate prima. E questo è importante sia perché ti dà, come casa editrice, una riconoscibilità a livello aziendale, ovvero non fare quello che fanno tutti, ma fare qualcosa che ti distingue, almeno qualche volta. E sia per un piacere personale perché lavorare su qualcosa di storico, di inedito ti prende da un punto di vista emozionale e quindi non sei solo “la macchina che produce il gioco”.

Proporre qualcosa di nuovo è il mantra della vostra casa editrice?

Esattamente! Ci piace essere considerati degli innovatori almeno nella meccanica di gioco se non relativamente all’originalità del tema.

Da quanto ci avete raccontato in questo evento, sembra proprio che gli ingredienti per apprezzare in tal senso questo gioco da tavolo ci siano tutti: avere disegnatori, come Emiliano Mammuccari che ha lavorato con la Sergio Bonelli Editore, che ha prodotto fumetti di elevato valore culturale e narrativo su questi particolari banditi brasiliani che, peraltro, somigliano un po’ ai nostri briganti del sud Italia…Ma, mentre aspettiamo di poterci giocare, ci dici quali sono gli obiettivi che avete per questo gioco?

Ogni gioco ha obiettivi propri ma quella principale, e comune per tutti, è che il gioco diverta. E incuriosisca sull’argomento: se qualcuno, giocandolo, andrà ad approfondire questo periodo storico dei cangaçeiros per noi sarà motivo di orgoglio. Poi, naturalmente, che il gioco piaccia e si diffonda. Che diventi un gioco giocato anche in tanti Paesi, compreso il Brasile dove siamo in trattative. Uscirà sicuramente in inglese, francese, tedesco e spagnolo. E in portoghese per il Portogallo. Che sia un’esperienza di gioco che non muoia lì, nel momento in cui viene giocato sebbene per qualche mese, ma che sia un gioco che resti e che continui ad essere giocato anche tra qualche anno.

Pensi che il gioco da tavolo possa essere uno strumento didattico e pedagogico di pari dignità rispetto ad altri?

Sì, ne sono pienamente convinto. In altri Paesi, come la Germania, esiste il gioco come strumento pedagogico dalla fine degli anni ’70. E in Germania, infatti, si vendono più giochi che in altri Paesi e, i giochi da tavolo sono considerati proprio strumenti culturali tant’è che il nome dell’autore viene indicato sulla scatola di ogni gioco al pari di un autore di un libro o di un’opera frutto dell’intelletto. Molte scuole e università lo sperimentano in questo senso: ho avuto anche io un’esperienza all’Università di Genova, un po’ di tempo fa, grazie ad un professore che sta proprio usando il gioco come didattica e, utilizzando dei giochi a tema storico, i ragazzi si sono appassionati a quel periodo storico approfondendolo con curiosità. Il gioco permette di vivere quel momento storico, favorendo l’immedesimazione non genera solo curiosità e comprensione di questo o quel periodo storico ma agevola la capacità di ciascuno di mettersi in gioco, di conoscere meglio dei lati di se stesso: c’è chi non ama il gioco cooperativo, c’è chi è più aggressivo in certe situazioni…ci sono tante sfaccettature della propria personalità, e di quelle altrui, che emergendo ci aiutano a capire meglio noi stessi e gli altri. E poi, il gioco da tavolo ci permette di stare insieme. Dopo aver sperimentato, a causa della pandemia, l’isolamento e la solitudine, avere la possibilità di condividere momenti belli con le persone, faccia a faccia, è senz’altro una cosa positiva.

 

Silvia SitariGiornalista

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