Cara Giorgia. Lettera da un avversario sincero

La testimonianza di chi da ragazzo militò nelle file dell’ultradestra

Gentile Giorgia Meloni, sono un giornalista con 50 anni di carriera (ho iniziato a 19) e per questo mi sento autorizzato a rivolgermi a te con il “tu” di colleganza. Spero che di tale libertà il prossimo “capo del Governo” non se ne abbia a male. Intanto una premessa, cui segue una nota biografica mia personale; utile, ritengo, per far capire meglio le ragioni di questo mio scritto.

Con una precocità che certo non ti è sconosciuta, ma in età ancora più verde della tua, io ho cominciato a frequentare circoli politici a soli 12 anni, seguitando a farlo, sebbene sempre più saltuariamente, fino ai 17.

Potrebbe stupirti che i miei sodali di quel periodo, che copre la seconda metà degli anni ’60, appartenessero a raggruppamenti riconducibili alla destra più radicale: Giovane Italia, Movimento Integralista Europeo, Civitas Dei.

Un mélange di “fisicità” e militarismo tipici di quella destra che, con un vitalismo di cui più tardi ho potuto comprendere quanto ne fossero malriposte le finalità, aveva formato una sorta di osmosi con pulsioni ideali ispirate, o forse nel mio caso è più giusto dire pilotate, da “orientatori”. Costoro tra una mossa di aikido, un canto marziale e una sigaretta, mai negata (purtroppo) neppure al mini militante ancora imberbe, mi imbonivano con scritti di maître à penser che si chiamavano Julius Evola, Corneliu Zelea Codreanu, Mircea Eliade, Oswald Spengler, persino Fernando Pessoa, autori che naturalmente non ero in grado di capire, se non in modo vago e confusionario.

Il ragazzino, che pensava di essere diventato adulto perché gli avevano fatto leggere qualcuna di quelle pagine, tanto oscure quanto suggestive per una mente in formazione, veniva impiegato per opere di sicuro meno intellettuali ma forse più utili alla causa. Pulire i locali di quel certo partito, andare a comprare il panino o le fatidiche sigarette al capetto di turno e, soprattutto, imbiancare con decine di litri di tinta a calce le pareti, ciclicamente sudice, delle varie sedi. Il distacco da quel mondo avvenne quando mi resi conto che in realtà ero molto meno lontano da quella che si soleva definire sinistra di quanto lo fossi da quel giro di reazionari e nostalgici, molti dei quali (non tutti, ma la maggioranza) gente grezza e incolta, con l’ossessione dei “rossi”. E poi gente priva di umorismo e senso del ridicolo, in ciò perfettamente in linea con quello che era stato il carattere dominante del duce.

In realtà per me l’inizio della svolta avvenne dopo la Guerra dei Sei Giorni, uno dei più grandi successi della storia militare di sempre. Proprio in quel periodo del conflitto arabo-israeliano rimasi colpito dalla partecipazione della popolazione romana a una sottoscrizione per l’acquisto di un’ambulanza da mandare in Israele; cominciai allora a rendermi conto che la mistica filo-germanica e antigiudaica che avevano provato a farmi assorbire in quelle sedi era un sentimento che sempre meno potevo condividere. Così come mi sentivo francamente avverso alle motivazioni pro arabi. Non puoi ricordarlo, ma certo non ti sfugge che a quel tempo, in molte manifestazioni della destra era del tutto normale sentir scandire slogan a favore dei palestinesi e di Al-Fatah, sebbene non mancassero “camerati” che, al contrario, almeno in privato erano grandi estimatori dello Stato ebraico; se non altro per la comprovata efficienza del suo apparato militare.

Insomma, il mio distacco dai movimenti della destra romana fu graduale ma continuo, però senza grandi traumi. Per un paio d’anni restai fuori dagli interessi politici, preferendo dedicarmi allo studio, al divertimento e alle ragazze. Con le quali, in quel clima post-sessantottino, non era troppo difficile relazionarsi. Così dal fascista che ero o che credevo di essere stato mi trovai a osteggiare nettamente molti dei princìpi ispiratori del mondo che pure avevo frequentato.

Poi, dopo un lungo periodo trascorso in Canada (oltre un anno), la decisione di iscrivermi a Lettere, dopo che nel frattempo avevo cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo. Alla Sapienza, però, pur essendo la mia facoltà quasi esclusivamente dominata dalla sinistra e da formazioni più o meno vicine al Pci, non subii la suggestione del “grande partito operaio”. Ero e nel complesso mi sentivo (come del resto mi sento tuttora) un tipico esponente della classe media e agiata, ma non egoista e senza complessi di superiorità.

Una borghesia molto più sensibile ai libri e allo studio che alla vita comoda e modaiola che pure avrei potuto condurre. Soprattutto una borghesia che non si sentiva affatto aliena da frequentazioni con persone di ceti meno abbienti, purché fossero sensibili al relativismo e al più convinto progressismo; principi che tutt’ora governano la mia esistenza, ugualmente lontani da ideologie contrapposte e terribilmente simili quali erano stati fascismo e comunismo.

Ti ho raccontato questa lunga storia, gentile Giorgia, per farti capire che, a differenza di molte persone oggi seguaci della sinistra, io ho conosciuto molto bene l’ambiente nel quale ti sei formata. E l’ho fatto in anni in cui una dicotomia tra “camerati” e “compagni” era una realtà che si poteva riscontrare e di cui si leggeva ogni giorno. Per te, che hai cominciato a fare politica “appena” venti (e non quasi sessanta) anni fa ritengo che una tale contrapposizione non abbia più senso; perché non ha più senso (lo hai detto tu stessa) parlare di fascisti e di comunisti.

Forse un po’ alla rinfusa, e spero che me lo perdonerai, da avversario intellettualmente onesto come spero mi si voglia considerare, aggiungo altre questioni sulle quali esorto a riflettere te, tenendo ben chiara la distinzione che c’è fra la tua intelligenza, non solo politica, e quella dei tuoi alleati di coalizione; con loro mi sarebbe troppo difficile anche soltanto aspirare a una interlocuzione.

So che non ti importerà troppo di avere riconoscimenti da me, ma, tanto per “rompere il ghiaccio”, mi sembra giusto darti atto di alcuni punti a tuo favore. Hai detto e ripetuto più volte che con un esecutivo a tua guida non sarà mai in dubbio una indefettibile (uso un termine mussoliniano solo per celia bonaria) consonanza con i princìpi atlantici e una altrettanto convinta adesione a quella che dovrebbe essere la “casa comune” europea. Dico “dovrebbe” perché nei fatti, soprattutto in questi mesi tragici, è più facile riscontrare particolarismi ed egoismi di nazioni che, economicamente più solide, non si stanno peritando di far valere (parlo a una poliglotta, come anche io sono) la massima che recita “la raison du plus fort est toujours la meilleure”.

Anche la posizione severa e coerente con la Nato da te assunta nei confronti della guerra scatenata dal dittatore russo in Ucraina merita un riconoscimento, specie se paragonato alle tante confusionarie e contraddittorie ambiguità fatte registrare da alcuni esponenti di partiti facenti parte del governo uscente. Anche una linea rigorosa e non pretestuosamente garantista, come spesso si è rivelata da parte di certi elementi sia della supposta sinistra che della destra che si dice moderata, sui temi della giustizia mi pare che rispecchi più da vicino il tuo pensiero e me ne compiaccio, poiché è anche il mio.

Circa l’impegno della cosiddetta “destra sociale” (in cui non credo ti dispiaccia identificarti) a favore degli strati più poveri della popolazione italiana, più penalizzati dalla crisi, generale e contingente, non si può negare un impegno del tuo partito e tuo personale; e non solo durante la campagna elettorale. Vorrei però che, fatto salvo il massimo rigore verso gli extracomunitari che delinquono o anche semplicemente infrangono le leggi dello Stato che li ha accolti, il tuo governo accettasse che applicare lo ius soli a chi è nato in Italia, è spesso monoglotta nella nostra lingua nazionale e ha frequentato qui la scuola parrebbe quasi un imperativo etico.

Per FdI, che nei suoi programmi dichiara di avere la libertà tra i fondamenti e i fini del suo operato, vorrei sottolineare una cosa peraltro da te molte volte ribadita: nessuno vorrà conculcare o anche solo ridimensionare diritti conquistati e acquisiti da decenni. Uno su tutti quello delle donne di decidere sulla loro condizione di madri realizzate o mancate, a seconda della loro propria necessità o inclinazione. Se poi il tuo governo agirà fattivamente a favore di quelle donne che dicono no alla procreazione per una esclusiva carenza di mezzi di sussistenza sarà una scelta che non potrà non ricevere il plauso di tutti. Una scelta, del resto, in armonia con lo ius soli da me già richiamato.

Dove mi sento lontano, troppo lontano dalla tua formazione politica nel complesso, ma forse, spererei, non troppo dal tuo sentire personale, è nei rapporti con certi leader stranieri. Non ripeterò gli addebiti che, nella dissipazione verbale tipica delle campagne elettorali, ti sono stati mossi dal centro sinistra e da altri; ossia di essere in rapporti privilegiati con personaggi politici alcuni dei quali (parcamus nomina!), si sono dimostrati francamente osceni.

La Meloni di oggi si accinge ad assumere la guida dell’esecutivo di uno dei grandi paesi d’Europa; potrà farlo mantenendo un alto profilo istituzionale anche sul piano internazionale, soprattutto tenendo conto che a Bruxelles è la presidente del Partito dei Conservatori e dei riformisti europei, nella cui denominazione le parole “sovranista” e “populista” non appaiono né dovrebbero apparire.

Circa altri temi etici e di pertinenza delle libertà individuali, vorrei pensare che certe tue prese di posizione, che risalgono ad anni passati o che hai enfatizzato durante la recente propaganda politica, non rispecchino o almeno non più pienamente il tuo pensiero. Mi riferisco a questioni le quali, per chi dichiara di aver fatto scelte a favore del libero arbitrio ispirandosi al principio dell’inclusività e non delle imposizioni o delle proibizioni dall’alto, non possono e non devono essere non dico abolite ma neanche ridimensionate o anche semplicemente stigmatizzate.

Tutti i cittadini devono sentirsi liberi di seguire le proprie scelte e i propri orientamenti, su tutti i fronti in cui può dovere o volere agire un individuo, nella misura in cui quelle scelte non si pongano in contrasto con quelle, che possono essere di segno opposto, effettuate con pari diritti da altri cittadini. Ciò vale per questioni cruciali come gli orientamenti sessuali, le adozioni, le famiglie omogenitoriali, le leggi sul fine vita, il testamento biologico e altri temi che vanno sempre nel solco delle libertà individuali e che sicuramente non possono sfuggirti.

Altri punti potrei toccare, ma mi limito a due che per la mia sensibilità sono estremamente importanti. Uno riguarda la libertà per un credente (quale io non sono), di qualsiasi fede egli sia, di poter corrispondere liberamente alla propria spiritualità e ritualità, ma senza che ciò possa essere in conflitto con la Costituzione e le leggi dello Stato. Aggiungerei, anche, senza che si possa esercitare proselitismo di sorta, indipendentemente dalle confessioni.

A tale proposito, ben sapendo di potermi guadagnare la taccia di “islamofobo” da parte di spiriti pseudo libertari che sono arrivati a difendere persino gli integralisti islamici (sunniti, sciiti, wahabiti, ecc. ecc. che siano) mi dichiaro completamente d’accordo con chi ha preso e prende posizione contro l’esibizione di veli, chador, attestazioni di fede in luoghi pubblici non deputati al culto, e simili falsi diritti, che non di rado rispecchiano realtà statuali per me aberranti, come a mio avviso si possono riscontrare in regimi teocratici quale, ad esempio, quello iraniano.

Oltre le religioni, però, l’ultimo tema di vitale importanza è quello ambientale. Oggi a livello pressoché planetario non c’è studioso o esperto, che faccia capo a un centro di ricerca degno di tale nome, il quale non metta l’accento sulle condizioni drammatiche in cui versa il nostro ambiente e, non del tutto ma in larga parte, specialmente per colpa di noi che ci abitiamo. Soprattutto delle nazioni più ricche e avanzate, che con apparente egoismo e senza riguardo per la rinnovabilità, stanno bruciando ingentissime risorse naturali, oltre a penalizzare miliardi di persone del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, in stato di perenne deprivazione. Ho detto egoismo “apparente” perché non rendersi conto della gravità del quadro ecologico e ambientale significa per tutti, non solo per chi credesse di continuare cinicamente a sfruttare il Pianeta solo per sé, tagliare con le proprie mani e definitivamente il ramo sul quale siamo in già precario equilibrio.

Metafora per quanto trita sempre efficace, che fa capire quanto in effetti non di egoismo ma di masochismo si tratti. Concludo, da vecchio giornalista, con una “nota di grave demerito” verso certi giornali che, solo per compiacere una supposta ideologia di destra stantia e intellettualmente disonesta (e forse anche altri interessi di natura mercantile) osano svillaneggiare anche con battute di spirito penose e puerili quei ragazzi che, sull’esempio dell’attivista svedese Greta Thunberg, invece di perdere il loro tempo in scempiaggini e gossip da “social media” sentono l’urgenza di adoperarsi per alleviare le sofferenze della Terra, in una difesa che non ha, né potrebbe avere, alcun colore politico.

Cara Giorgia, non so se queste righe potranno arrivarti direttamente e, nell’eventualità che ciò accada, se avrai il tempo e la disposizione di considerarle per quello che sono: l’auspicio di un cittadino che constata che anche in Italia i tempi possono essere maturi per dare vita a un governo sì conservatore, ma non reazionario. Se questo auspicio si avverasse, credo che il governo uscente (al quale, insieme a molti, faccio carico di essere in larga misura causa del proprio sfacelo) penso che potrebbe avere molto tempo per imparare se non altro a esercitare una opposizione costruttiva.

Con stima, C. G.

 

Carlo Giacobbe – Giornalista, già corrispondente da varie Capitali europee ed extraeuropee

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