“I coccodrilli di Ratzinger”, una lezione anche di verità e di giornalismo

Il nuovo libro di Giovanna Chirri, la giornalista vaticanista che diede al mondo nel 2013 la notizia che Benedetto XVI lasciava il pontificato.

I coccodrilli di Ratzinger.  Chi non ha pratica dei termini tecnici del lavoro giornalistico, davanti a un titolo così suggestivo e così azzeccato, è indotto a pensare a intrighi, cospiratori, ricattatori che spinsero il mite Benedetto XVI a lasciare, diventando così il primo papa dimissionario dell’età moderna.

Ma nel gergo giornalistico, i coccodrilli sono articoli  che si scrivono in anticipo su eminenti personalità  in modo da averli pronti in caso di morte. Quando Giovanna Chirri diede al mondo per prima la notizia che Benedetto XVI rinunciava al pontificato, il suo vice caporedattore si mise con lei a tavolino a redigere una lista di pezzi da scrivere su Benedetto XVI.

La collega Chirri fece subito osservare al suo “superiore”: ma ci sono i pezzi che ho scritto già negli anni e ho continuamente aggiornato. Sul papa, si sa, non si scrive solo “un” coccodrillo ma vari coccodrilli: uno, complessivo, che di solito va ai giornali medio piccoli che pubblicano una pagina, ma poi ce ne sono altri , monotematici, che riguardano i vari aspetti del pontificato: i viaggi, le encicliche, i libri che ha scritto ecc.. Giovanna Chirri di coccodrilli ne aveva scritti tanti, perciò le sembrò quasi ovvio proporre: tiriamoli fuori dalla cassaforte e trasmettiamo quelli.

Una parola! Non si trovarono. Scrive la giornalista nel suo libro appena uscito: “Con il senno di poi avrei dovuto capirlo  il giorno in cui ho scoperto che avevano perso i coccodrilli di Ratzinger. Ma non era il giorno adatto per una riflessione sui destini del giornalismo”.

Questa frase è un po’ la chiave interpretativa ma anche la guida narrativa delle vicende che Giovanna Chirri racconta nel libro, in cui si capisce che intanto ha dovuto faticare per vincere una scommessa con se stessa: è riuscita a raccontare con chiarezza e un certo distacco da cronista la sua vicenda umana e professionale: dal colpo planetario della notizia data in anticipo su tutti, a scene e storie di emarginazione, fino al pensionamento anticipato; ma  al tempo stesso ha sublimato amarezza ed emozioni in una riflessione interessante e dolente sul degrado del giornalismo oggi, sulla corsa effimera verso “non notizie” spacciate per scoop, sull’impigrimento da Internet che frena la ricerca e la curiosità di stare “sul campo”.

Non resistiamo alla banale e purtroppo fondata osservazione che in America Giovanna Chirri avrebbe vinto il Premio Pulitzer. Invece siamo in Italia dove funziona di più il “nemo propheta in patria”. Per carità, ha avuto congratulazioni dai suoi “superiori” e colleghi, ha avuto anche una gratifica (qualche migliaio di euro), è stata intervistata da giornali e tv anche e stranieri; ma nessuna promozione, nessun avanzamento di grado, come sarebbe avvenuto nel settore militare dove in casi come questo scattano “promozioni sul campo “.

E per colmo d’ironia, e forse di invidia,  ci fu chi perfino cercò di ridimensionare la portata dello scoop con la speciosa quanto ridicola motivazione che “tanto prima o poi il direttore della sala stampa vaticana la notizia delle dimissioni del Papa alla fine l’avrebbe data”.

Ma  preferiamo sorvolare su questo paesaggio di miserie umane, e invece riportare, per quanti non le conoscano o non le ricordino bene, le sequenze dei momenti in cui maturò la decisione di papa Ratzinger.

Lasciamo la parola all’autrice: “L’11 febbraio 2013 è festa in Vaticano per l’anniversario dei patti Lateranensi. Papa Ratzinger tiene un concistoro per i decreti di canonizzazione di alcuni santi, tra cui i martiri di Otranto. La sala stampa fa orario festivo e siamo appena entrati, quando alle 11 ci arrivano dal monitor le immagini del papa, del cardinale Angelo Amato e di mons. Guido Pozzo, davanti a loro molti dei cardinali presenti a Roma. Il cardinale prefetto della congregazione per le cause dei santi parla a lungo in latino, poi tocca a Benedetto XVI che annuncia il 12 maggio come data per la canonizzazione dei martiri di Otranto.

Sento ‘duodecim’ e scrivo la notizia della canonizzazione. Benché il concistoro a quel punto debba essere finito, il papa resta seduto e comincia a leggere, sempre in latino, da un foglio bianco che tiene in mano. Dice subito due cose: non ha convocato i cardinali solo per i decreti delle canonizzazioni ma deve dire una cosa “importante per la vita della Chiesa”; e poi: sta diventando vecchio: ‘Ingravescente aetate’. A queste parole è come se una mano mi afferrasse la gola e mi gonfiasse un palloncino dentro la testa: la ’Ingravescentem aetatem’ è il documento con cui Paolo VI tolse ai cardinali ultaraottantenni il diritto di eleggere i papi, sono parole di pensionamento.

Benedetto continua a parlare nel suo latino che per fortuna mi suona molto più comprensibile  di quello del card. Amato, parla a lungo, dicendo di non avere più le forze per governare la barca di Pietro in un mondo sempre più veloce. Spiega che in coscienza ha deciso di lasciare, che i cardinali dovranno tenere un conclave per l’elezione del successore e stabilisce l’inizio della sede vacante alle 20 del 28 febbraio”.

E ora vediamo le reazioni dell’autrice: “Io sento ma è come se non sentissi, continua a mancarmi il fiato e le gambe mi tremano da seduta. Comincio a telefonare a raffica cercando aiuto e conferme. In Vaticano, dove ovviamente tutti avevano altro a cui pensare, nessuno mi risponde. Sono in preda a una sensazione di terrore che non ho mai provato in vita mia. Intanto papa Ratzinger ha finito di parlare. Alcuni volti dei presenti sono attoniti, mons. Guido Pozzo, vicino a lui, sembra impietrito, diversi porporati hanno lo sguardo fisso e i muscoli facciali immobili. Nel silenzio irreale il decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano, dice, in italiano: “La notizia ci coglie come un fulmine a ciel sereno”. Hai capito eccome, mi dico per rassicurarmi, il papa si è dimesso. Scrivo la notizia, telefono in redazione e dico alla caporedattore che il papa si è dimesso, le spiego che lo ha detto in latino e che per un papa non si parla di dimissioni ma di rinuncia al pontificato”.

Giovanna Chirri poté fare lo scoop mondiale perché sapeva il latino, lo aveva studiato in uno dei licei storici della capitale, il “Visconti”, dove hanno studiato personaggi famosi, un nome per tutti: Andreotti. Ed è un esempio trionfale di come la cultura classica sia una specie di cassetta degli attrezzi anche per professioni come il giornalismo.

Il libro non sono solo racconta avvenimenti e figure della Chiesa ma offre anche chiavi di lettura e risposte a interrogativi. Per esempio, le dimissioni di Benedetto XVI furono una fuga, una resa, un cedimento ai suoi “avversari” interni alla Chiesa, come alcuni dissero dopo l’11 febbraio?

No, dice Chirri, che si professa tra l’altro grande estimatrice di Ratzinger fino all’innamoramento. “Ha scelto in piena libertà, senza costrizioni, E ha vissuto questa decisione come ha vissuto tutto il pontificato, come un servizio alla Chiesa e per l’unità della Chiesa. Più che una resa, dunque, la rinuncia al soglio di Pietro sembra il gesto coraggioso di chi capisce di non essere più in grado di svolgere un compito e fa posto a chi lo potrà svolgere. Non una fuga ma un atto di coraggio”.

Stanislao Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, commentò dopo il gesto di Ratzinger e alludendo agli anni di sofferenze di Giovanni Paolo II, che però non si era dimesso: “Non si scende dalla Croce”. Ma le parole di Benedetto “non abbandono la Croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso” chiudono definitivamente la questione.

La rinuncia certo, osserva Giovanna Chirri, fu un trauma per la Chiesa, per tanti credenti e non credenti affezionati all’idea del papato a vita. “Ma il comportamento etico  di Benedetto XVI  ha impresso uno choc salutare alla Chiesa cattolica”.  E arriva a scrivere: “Se anziché  per rinuncia il pontificato si fosse concluso per la sua morte, la Chiesa  molto probabilmente non avrebbe avuto la stessa capacità di rinnovarsi, di superare vizi antichi e squallori di sempre, di pensare in grande e scegliere per guidarla un pastore e un uomo come Jorge Mario Bergoglio, il primo papa latinoamericano e il primo gesuita nella storia della Chiesa, Il primo che ha scelto di chiamarsi Francesco, come il santo dei poveri, del creato, della pace e del dialogo con l’islam”.

Non sappiamo dire se e in quale misura ci sia continuità o dissonanza tra Ratzinger e Bergoglio, ma un tipo di continuità almeno c’è nell’ apprezzamento di questa scrupolosa vaticanista che conosce come pochi, perché la studia, la storia contemporanea della Chiesa. Sull’attuale pontefice, a cui riserva pagine illuminanti sul suo stile comunicativo, sui “neologismi” del lessico bergogliano, dice in particolare: “Il papa latino americano esce dagli schemi, ignora condizionamenti curiali, si esprime in modo così franco e spontaneo che la capacità  (del giornalista, NdR) di osservare i dettagli, cogliere rapidamente il valore di gesti e parole, collegare, ascoltare, fare cronaca, la vince su qualsiasi soffiata”.

E così sono serviti quanti, anche nel mondo della stampa – e non sono pochi – hanno preso a bersaglio questo papa, cercando di sminuirlo, di delegittimarlo persino, sulla base magari di pregiudizi  o giudizi non meditati. Giovanna Chirri invece indica la via professionale che porta alla verità, che è quella di seguire da vicino, applicando la teoria che un suo capo le aveva consigliato:  la teoria del pomodoro, che in soldoni significa: se durante un evento qualcuno tira addosso al papa un pomodoro, non c’è comunicato che tenga, nulla varrà quanto l’essere stato presente e aver visto con i propri occhi.

E perciò la giornalista vaticana più nota degli ultimi anni, almeno dal 2013, rivendica l’importanza di un metodo, che è quello di far ragionare la propria testa e di diffidare di veline, soffiate, manovre. “L’informazione religiosa e vaticana, dice senza mezzi termini, in Italia continua a subire pesanti tentativi di condizionamento da una o dall’altra fazione o politica o ecclesiale, tentativi che si sostengono anche grazie alle soffiate interessante a giornalisti o testate manovrabili, alcune delle quali ne hanno tratto la propria fortuna”.

Ergo: “Per quanti pezzi di carta ti possano passare, per quante soffiate, per quanti discorsi si possano anticipare, nulla potrà sostituire la tua capacità di capire quello che sta succedendo, se ti avranno insegnato a farlo, e se l’avrai coltivata negli anni”.

È una ammirevole lezione di metodo giornalistico e di ricerca della verità, diciamo anche una petizione filologica  che esorta alla verità dei testi, delle parole effettivamente ascoltate e al dovere deontologico di trascriverle nella loro esattezza.

A questo proposito Giovanna Chirri non fa sconti neanche ai pontefici del giornalismo (visto che si parla di papi), come Eugenio Scalfari, di cui ricorda le interviste a Ratzinger e a Bergoglio), interviste che dovevano avere qualche margine di “creatività” se poi venivano rettificate se non addirittura in parte smentite,  sia pure nel linguaggio felpato e diplomatico della Santa Sede.

Come nel caso in cui a papa Francesco Scalfari fece dire che l’inferno non esisteva. Resta la curiosità di capire perché dopo la prima rettifica, e usiamo un eufemismo, il papa continuasse a farsi intervistare dal fondatore di Repubblica.

Mi limiterò a dire che alle lezioni al master di giornalismo non esiterei a indicare Scalfari come modello per la chiarezza della scrittura, la robustezza della prosa, la capacità imprenditoriale (ha fondato l’Espresso e la Repubblica); ma, con tutto il rispetto, avrei qualche scrupolo a consigliare il suo metodo di intervistare: le risposte degli intervistati si danno, si devono dare così come le hanno dette, non si aggiunge né si inventa, sia pure con le migliori intenzioni.

Questo libro, oltre alla evidente utilità per conoscere da vicino i pontefici  – Giovanna Chirri si è occupata di tre papi, anche di Wojtyla, di cui racconta i viaggi – è anche una bell’esempio di come un giornalista può essere “testimone del tempo”. Un testimone che racconta ciò che ha visto senza trascurare gli aspetti meno esaltanti di questa professione e del mondo su cui scrive.

Con toni dolenti e amari, Giovanna Chirri mette in guardia contro il degrado di questa professione, preda di pressapochismo, intrighi, superficialità, piccole e grandi miserie: un mondo dove “la scorrettezza dilaga e l’onestà sembra diventata una cosa di cui vergognarsi”. Le parole sono pietre, e qui vengono scagliate contro un ambiente, un modo di pensare, un modo di praticare la professione,  non contro persone determinate; verso di esse l’autrice ha applicato una sorta di damnatio memoriae, che tuttavia non oscura del tutto fisionomie e nomi fino al punto di renderli irriconoscibili.

Pur pensionata anzitempo, Giovanna Chirri continua a occuparsi di tante cose, ma soprattutto del mondo dove ha lavorato per 30 anni, e non ci sta ad assistere passivamente a certi fenomeni di imbarbarimento. Se la prende anche con Internet che sta facendo perdere la capacità e il divertimento nel cercare la notizia.

Ecco la parola chiave, la parola che può ancora salvare questo mestiere: far diventare la ricerca delle notizie un divertimento, animati dalla curiosità di sapere.

In  conclusione, un libro che si legge con avidità.

C’è una musica di fondo nelle pagine che non è propriamente un inno alla gioia, ma basta cambiare chiave, e il cielo un po’ si rasserena, e perfino le invettive contro il mondo giornalistico si stemperano nelle pagine finali, che sono un inno alla bellezza. Riferendosi alla “Pietà” di Michelangelo e alla Basilica di San Pietro con il suo colonnato di Bernini, che per la sua forma arcuata pare simboleggiare un abbraccio, Giovanna Chirri rivolge questa esortazione finale al lettore:

“Lasciati abbracciare dalla bellezza, impara a sognare grazie alla bellezza, perché è la bellezza che consola il mondo e ognuno di noi. E tutti noi, perfino i giornalisti, ne abbiamo bisogno”.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

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