Stellantis e l’Italia, Cazzola: la leadership del Gruppo non ha lo stesso spessore di Marchionne

Prima eravamo noi italiani a dare le carte. Stellantis? Una matrioska, e la sede è in Francia. Al governo: la tutela dell'italianità non si fa a parole

Sulle recenti polemiche tra il governo e Stellantis, sulla politiche industriali, sui modelli d’auto, sulla leadership attuale del’ex Fca, ex Fiat, confluita nel nuovo Gruppo con sede non più in Italia ma in Francia abbiamo parlato con Giuliano Cazzola, che ha fatto l’imprenditore, il sindacalista, il parlamentare ed è uno studioso di temi economico sindacali su cui esercita una intensa attività pubblicistica. Con un linguaggio netto e chiaro.

Cosa è cambiato in FCA dai tempi di Marchionne?

La leadership del gruppo non è dello stesso spessore, fantasia e coraggio che aveva Marchionne, il quale è stato molto criticato, a suo tempo, ma aveva rimesso in carreggiata gli stabilimenti italiani. Pomigliano dopo la cura Marchionne divenne uno stabilimento d’avanguardia ma si portò appresso la maledizione di Montezuma/Landini.

Quanto alla FCA, eravamo noi a dare le carte. Ricordo due episodi raccontati in un saggio da Diodato Pirone. Il primo riguarda l’abbraccio tra Sergio Marchionne e Rich Boruff (il responsabile della sezione 685 del UAW, lo storico sindacato dell’auto, nel piccolo stabilimento di Tipton, una cittadina dell’Indiana) dopo che l’operaio, in un breve speech di appena tre minuti, aveva ricordato le due chiusure di quella fabbrica e i due licenziamenti subiti con le precedenti gestioni. L’altro episodio è incentrato sulle parole di Bob King, il sindacalista che, da leader del UAW, negoziò con Marchionne tutta l’operazione con particolare riferimento alle condizioni dei dipendenti. Rivolto ai lavoratori King afferma: “Solo se la nuova berlina sarà un prodotto premium potremo rendere sicuri i posti di lavoro”. In Italia la Cisl si è privata di quel dirigente sindacale (Marco Bentivogli) che negoziò l’accordo di Pomigliano, poi esteso agli altri stabilimenti.

Torino è ancora l’headquarter FCA? E qual è il quartier generale Stellantis?

Parliamo di una matrioska: Stellantis è il nome del nuovo gruppo derivante dalla fusione di FCA e Groupe PSA. Il quartier generale della holding ormai si è  trasferito in Francia anche in conseguenza dei rapporti col governo francese che è presente nel capitale sociale e che è più impegnato del nostro per quanto riguarda la politica industriale e l’innovazione.

La progettazione dei nuovi modelli è in Italia o Francia?

Anche l’intelligenza strategica si è trasferita Oltralpe.

Cosa pensa della vicenda delle 100 mila copie dell’inserto Affari e Finanza mandate al macero da Repubblica per (presunte) proteste da parte francese per un articolo che segnalava uno squilibrio di potere e decisionale tra il coté italiano e il coté francese, a tutto vantaggio della Francia?

Mi è tornata in mente la polemica di Giorgia Meloni con Repubblica: le critiche della premier erano mal poste perché da Palazzo Chigi non è un segno di fair play attaccare un quotidiano. Ma quel fatto che lei ricorda evidenzia una grande coda di paglia della direzione verso l’editore (e ai rapporti di forza all’interno di Stellantis). Del resto la reazione dei giornalisti verso il direttore denunciava questa mancanza di indipendenza. Io non so niente di più di quanto ho letto, ma non credo che Elkann non fosse stato informato da Molinari del contenuto dell’articolo e che forse lo ritenesse utile per mandare un messaggio al socio. Poi alla reazione di PSA, la responsabilità è stata scaricata sul direttore, che ha dovuto rimediare all’ultimo momento nell’unico modo possibile.

Il governo italiano sta tutelando l’italianità di Fiat e FCA? I posti di lavoro degli stabilimenti italiani sono a rischio?

La tutela dell’italianità non si fa a parole o alzando la voce e neppure entrando a far parte del capitale sociale. Abbiamo già dato con l’ex Ilva. La questione vera rimane quella della competitività degli stabilimenti, un obiettivo che va costruito nel tempo. Mi pare che ci siano prospettive diverse tra gli stabilimenti nel Sud e ciò che è rimasto a Torino. Ma che Stallantis venga a battere cassa in Italia non mi pare un buon segno. Noi siamo carenti sul piano delle progettazione e non convenienti su quello del montaggio, perciò la prima attività è finita in Francia, la seconda in Polonia, Tunisia e altrove.

Pensa che il governo italiano debba chiedere impegni precisi agli Elkann? Quali?

C’è un enorme problema di saturazione degli impianti. Il governo ha chiesto di raddoppiare il numero delle auto prodotte, ma ciò richiederebbe lo spostamento delle produzioni da altri paesi, come fece a suo tempo Marchionne dalla Polonia. Un po’ di respiro potrebbe esserci se fosse rivisto il piano automotive e i relativi tempi proposto dall’Unione europea durante una sbornia ambientalista come quelle che si sono prese in un passato recente. Ammesso e non concesso che l’auto elettrica costituisce il futuro del settore, non siamo indietro con le infrastrutture, le batterie e quant’altro occorrerebbe

Perché John Elkann, che vive a Torino, appare così disinteressato alla tutela del management italiano e delle produzioni in Italia?

Qualunque imprenditore si attiene ad un ragionamento di convenienza. Nell’era della globalizzazione non esistono patrie. Sono gli industriali a cantare quell’inno che era degli anarchici all’inizio del secolo scorso: “Nostra patria è il mondo intero….”: L’Italia ha accumulato troppi handicap. La Confindustria denuncia che molte imprese industriali dichiarano di aver avuto difficoltà di reperimento di personale nelle politiche di assunzione. La carenza di manodopera fa da freno alla produzione, sull’attività delle grandi imprese industriali. La “famiglia Elkann” è stata ricevuta dalle più alte autorità dello Stato facendo grandi promesse per il mercato italiano, senza però fornire indicazioni precise sui nuovi modelli che dovrebbero rilanciare la produzione e l’occupazione.

Cosa pensa del cambio dell’Alfa Romeo da “Milano” a “Junior”, dopo che il ministro Urso aveva definito inappropriato se non illegale chiamare “Milano” un’auto che viene prodotta in Polonia, con seguente commento dell’a.d. Jean-Philippe Imparato: noi non facciamo polemiche, pensiamo agli affari

Giustamente i miei amici del Foglio chiamano il ministro Adolfo URSS. La Ford produceva tra il 1968 e il 1976 per il mercato nordamericano un’auto che si chiamava Gran Torino molto quotata – tanto da divenire, anni dopo, la protagonista di un film di Clint Eastwood.

 

Mario NanniDirettore editoriale

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