Il tentativo del presidente Yoon Suk Yeol di proclamare la legge marziale ha innescato la crisi istituzionale più profonda degli ultimi decenni in Corea del Sud, culminata con la destituzione dello stesso Yoon, dopo il voto del 14 dicembre scorso del parlamento di Seul, che si è pronunciato a favore dell’impeachment. I favorevoli hanno raggiunto quota 204, oltre il quorum dei 200 voti favorevoli richiesti (ovvero i due terzi dei deputati), 85 contrari, tre astenuti e otto non validi.
La Corte Costituzionale ha annunciato che l’udienza preliminare sull’impeachment del presidente sud-coreano si terrà il 27 dicembre prossimo a partire dalle 14 (le sei del mattino in Italia), e darà il via a un procedimento che potrebbe richiedere fino a sei mesi di tempo.
Il voto del 14 dicembre è stato il secondo riguardante al messa in stato d’accusa del presidente – sospeso dalle sue funzioni, affidate ad interim al premier Han Duck-soo – dopo che il primo tentativo del 7 dicembre non aveva prodotto la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale, il parlamento sud-coreano, per l’uscita dall’aula dei deputati del People Power Party (Ppp) il partito dello stesso Yoon.
La legge marziale
Il presidente sud-coreano aveva dichiarato la legge marziale la sera del 3 dicembre scorso, in un messaggio televisivo nel quale aveva giustificato la sua scelta come una necessità per “proteggere la Corea del Sud liberale dalle minacce poste dalle forze comuniste della Corea del Nord” ed “eliminare elementi anti-Stato”.
La legge marziale è durata meno di sei ore, e fin dalle prime ore aveva generato forti reazioni, con le proteste dei manifestanti riunitisi davanti al palazzo dell’Assemblea nazionale, nel centro della capitale sud-coreana, e il voto contrario degli stessi deputati. Prima del 3 dicembre scorso, era dall’assassinio dell’allora presidente Park Chung-hee, nel 1979, che nel Paese non veniva indetta la legge marziale.
Le scuse non evitano il caos (istituzionale)
Yoon si è in seguito scusato pubblicamente per il tentativo di imporre la legge marziale, ma il presidente è finito sotto indagine anche per il tentativo di insurrezione. Prima del voto che ha sancito il via libera alla messa in stato d’accusa di Yoon, il Paese era già piombato nel caos istituzionale. Settimana scorsa era stato perquisito l’ufficio di Yoon, anche se documenti e materiali forniti alle forze dell’ordine sono stati “molto limitati”, secondo quanto riportato dall’agenzia sud-coreana Yonhap.
Uno dei risvolti più drammatici ha riguardato, inoltre, il tentativo di suicidio in carcere dell’ex ministro della difesa, Kim Yong-hyun, che deve rispondere delle accuse di insurrezione.
Nella tarda serata del 10 dicembre, Kim ha tentato di impiccarsi nel carcere di Dongbu, a Seul, senza riuscirci. Le sue condizioni sono state definite “stabili” dal ministero della Giustizia, ma il suo ruolo nella vicenda è tuttora sotto i riflettori: la polizia ha sequestrato il cellulare usato dall’ex ministro per comunicare con il presidente, alla ricerca di prove relative dei loro contatti riguardo alla decisione di imporre la legge marziale. Kim è accusato di avere proposto a Yoon di dichiarare la legge marziale e di avere ordinato il dispiegamento delle truppe davanti al palazzo dell’Assemblea nazionale nella notte tra il 3 e il 4 dicembre scorsi.
Chi ordisce un’insurrezione in Corea del Sud è passibile di pene che vanno dai cinque anni di carcere fino alla pena di morte.
Sferzante è stato anche il commento della Corea del Nord, a oltre una settimana dall’annuncio shock di Yoon di imporre la legge marziale. La Corea del Sud, definita “dittatura fascista”, è “sprofondata nel caos”, nel giudizio che si legge sull’agenzia del regime di Kim Jong-un, la Korean Central News Agency, nel primo commento alla crisi politica sud-coreana: “La marionetta Yoon Suk Yeol, a rischio di impeachment, ha proclamato all’improvviso una legge marziale d’emergenza”, è stato il commento di Pyongyang.
“Prevenire il collasso”
In un altro messaggio televisivo, la sera dell’11 dicembre, Yoon era però tornato a difendere la legge marziale che, ha detto, doveva “prevenire il collasso” della democrazia sud-coreana e contrastare la “dittatura parlamentare” dell’opposizione. Yoon ha negato che l’imposizione della legge marziale fosse un atto di insurrezione, puntando il dito contro l’opposizione. L’Assemblea nazionale, dove il Partito democratico ha la maggioranza, “è diventata un mostro che distrugge l’ordine costituzionale e la democrazia”, ha detto Yoon in un passaggio del suo discorso.
E ha anche avvertito che combatterà “fino alla fine”, lasciando intendere di non avere intenzione di dimettersi. “Se sarò messo sotto impeachment o indagato, lo affronterò in modo equo”, ha dichiarato. Yoon, intanto, non sembra intenzionato a fare passi indietro: all’indomani dell’annuncio dell’udienza preliminare presso la Corte costituzionale, il team di avvocati a difesa del presidente destituito ha fatto sapere che Yoon respinge le accuse di insurrezione mossegli contro per l’imposizione, di brevissima durata, della legge marziale.
Stato d’accusa
Oltre a Yoon anche altri alti funzionari sono finiti in stato d’accusa per la legge marziale. L’11 dicembre, inoltre, il parlamento ha votato a favore dell’impeachment del capo della polizia, Cho Ji-ho, e del ministro della giustizia, Park Sung-jae, che sono stati sospesi dalle loro funzioni. Al contrario della procedura di impeachment nei confronti dei presidenti, che richiede la maggioranza dei due terzi dei membri dell’Assemblea nazionale, per gli altri funzionari è sufficiente la maggioranza di 151 voti a favore.
Yoon, intanto, non sembra intenzionato a fare passi indietro: all’indomani dell’annuncio dell’udienza preliminare presso la Corte costituzionale, il team di avvocati a difesa del presidente destituito ha fatto sapere che Yoon respinge le accuse di insurrezione mossegli contro per l’imposizione, di brevissima durata, della legge marziale.
Già prima del voto di sabato scorso, con dodici deputati del Ppp che hanno sostenuto l’impeachment di Yoon, il destino del presidente sud-coreano appariva segnato, con sempre più voci anche all’interno del suo stesso partito che si erano levate a favore di un suo passo indietro. Ora, se la Corte costituzionale si pronuncerà a favore dell’impeachment, Yoon diventerà il secondo presidente della Corea del Sud a essere esautorato dopo Park Geun-hye, nel 2017, e dovranno essere indette nuove elezioni entro sessanta giorni.
Eugenio Buzzetti – Giornalista