Maastricht 30 anni dopo, tra passato e futuro: ciò che è vivo e ciò che è morto

Tra pochi giorni,  il prossimo 7 febbraio, celebreremo il trentennale del Trattato di Maastricht, una tappa fondamentale nel cammino della costruzione della Unione Europea. Viene ricordato più per il vincolo esterno, con i suoi parametri sul disavanzo, sul rapporto debito Pil, sull’inflazione, sul livello dei tassi che come atto politico base della moneta unica attraverso i programmi di convergenza. 

La politica monetaria degli anni Novanta di Banca d’Italia, pur nella difficoltà delle crisi valutarie, è stata indirizzata per rispettare quei parametri. 

Quel Trattato ha posto le premesse per la costruzione dell’Euro, la moneta unica, simbolo di identificazione collettiva di 447 milioni di cittadini europei. 

Un Trattato che poggia sul percorso costruito con il rapporto Werner del 1970 e con l’Atto Unico di Jacques Delors del 1986. 

La spinta al Trattato viene anche da scelte geopolitiche dopo la caduta del Muro di Berlino, avvenimento che segnerà la storia mondiale e i rapporti Est Ovest, la fase di disgregazione dell’URSS e la rapida riunificazione tedesca in cambio della europeizzazione del marco per merito del cancelliere Helmuth Kohl. Quel Trattato fu la migliore soluzione possibile al riemergere della questione tedesca. 

La scelta funzionalista cara a Monnet in un costante equilibrio tra realismo e utopia ha consentito di procedere per piccoli passi, progressivi avanzamenti; rinnovamento continuo e progressivo dei progetti è stato il carburante per la crescita. 

Come non riconoscere che il successo del mercato europeo ha attirato sempre più Paesi nell’Unione accrescendo il numero degli Stati, allargando frontiere, imponendo una moneta unica che avrà bisogno di un governo economico. I passi avanti in questa direzione sono stati finora modesti. Il metodo intergovernativo ha finora prevalso su un governo autenticamente europeo e democratico.

Dovranno essere fatti passi in avanti nella governance europea senza la quale sarà difficile affrontare nuove crisi economiche e sociali. Al deficit di governance economica ha svolto azione di supplenza la Banca Centrale Europea, come è stato con il quantitative easing, che ha saputo affrontare con la guida di Mario Draghi – pur nei vincoli dello Statuto – i momenti di difficoltà per la crisi economica con coraggio e determinazione. La pandemia ha fatto maturare la consapevolezza che le crisi planetarie richiedono sempre maggiore integrazione. 

Il riposizionamento e il riadattamento delle strutture produttive, l’interdipendenza nelle catene del valore, le scelte energetiche, la transizione ambientale, il solco tecnologico che divide le aree del mondo, richiedono un approccio nuovo e diverso di cui cooperazione e solidarietà sono strumenti essenziali. 

L’Europa ha un grande ruolo se afferma i suoi valori che sono quelli dell’ umanesimo cristiano. 

Vi sono stati anche incidenti di percorso e pesanti battute d’arresto come il fallimento del progetto di Trattato di Costituzione Europea – per il voto referendario negativo di Paesi come la Francia e Olanda – perché il governo economico ha bisogno di una Costituzione. 

L’Italia e i suoi governanti hanno saputo guardare lontano. Molti dei protagonisti del Trattato di Maastricht sono scomparsi. Andreotti presidente del Consiglio, Guido Carli ministro del Tesoro, Gianni De Michelis ministro degli Affari Esteri hanno scritto una pagina di storia incancellabile nella fase di negoziazione degli accordi, poi Emilio Colombo nella fase del processo ratifica insieme agli altri 11 Paesi. De Michelis con il vertice italo- tedesco dell’Argentario contribuì a rimuovere gli ostacoli nel cammino per la riunificazione tedesca. 

Alla vigilia della ratifica parlamentare di Maastricht in una riunione della Dc Emilio Colombo, di fronte alle critiche e alle preoccupazioni dei deputati Dc soprattutto per i riflessi sull’agricoltura e sulle aree deboli disse: “Si può dire sì o no”;  “se dovesse giudicare sulla base degli obiettivi che pensava si dovessero conseguire e che si sono conseguiti modificherebbe il Trattato almeno del 50 per cento”;  e ancora “… qualunque possa essere il giudizio delle singole norme è sempre un altro passo sulla via europea … in più contiene tutto il percorso per l’arrivo all’Unione economica e monetaria”. 

Il Trattato era il coronamento di un sogno e insieme l’orizzonte dell’Europa riunita, ma finirà per incidere fortemente sul modello di crescita. Si fissavano le tappe del processo di Unione Economica e Monetaria che dieci anni più tardi, nel 2002, vedeva l’Euro come moneta, poi nel 2004 un poderoso allargamento di Stati membri con riflessi negativi sul processo decisionale comunitario, ma si manifestavano anche le insidie pericolose della globalizzazione. 

Non tutti i Paesi erano nelle stesse condizioni per affrontare il mare aperto. 

Il modello Italia soffriva il suo nanismo imprenditoriale e la sua struttura produttiva di pmi familiari. Purtroppo si verificherà quello che Antonio Fazio aveva individuato come “bradisismo” cioè come abbassamento della crescita non avendo più flessibilità sul costo del lavoro per la perdita di manovra sul cambio! 

Tra il 2000 e il 2003 il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) aumenta in Italia del 9,9 per cento, in Germania  dell’1,7 e in Francia dell’1,5. Tra il 2000 e il 2004 la produzione industriale scende del 2,8. In Francia sale del 2 e in Germania del 3 per cento. Gli investimenti produttivi tra il 2006 e il 2014 sono diminuiti del 27 per cento in Italia  e aumentati in Europa. 

Il dividendo di pace ha portato innegabili benefici. L’Unione ora dovrà affrontare problemi vecchi e nuovi: dalla cessione di sovranità dei singoli Stati alla governance istituzionale europea, dal rafforzamento dei poteri del Parlamento e della Commissione, alle maggiori dotazioni e autonomia di bilancio, dalle asimmetrie fiscali al dumping infrastrutturale, dal debito europeo al recupero e rafforzamento del principio di sussidiarietà. 

Leggi anche: Geopolitica nell’Est europeo, un affresco di Alessandro Duce. 

Lo scenario europeo vede nuovi protagonisti. 

Dopo il ritiro di Angela Merkel, Macron si trova al centro di nuovi equilibri europei sia con il semestre francese sia con le elezioni presidenziali di aprile. Ha la possibilità di coniugare politica interna e politica estera su temi europeisti decisivi. 

Resta sospesa in Francia la riforma delle pensioni bloccata dai movimenti di piazza. La revisione del Patto di stabilità insieme alla transizione ecologica e digitale possono essere le occasioni per affermare una centralità francese coinvolgendo l’Italia, dopo il Trattato dell’Eliseo, più di quanto fatto in passato con l’asse Francia Germania.

Un rinnovato europeismo può essere determinante per ridare slancio all’Unione Europea che ha bisogno di nuovi coraggiosi protagonisti. 

L’autonomia strategica dell’Europa presuppone di riconsiderare la definizione di un esercito europeo. L’attenzione verso l’Africa richiede innovazione nei rapporti nord sud. 

Riuscirà Macron al caminetto dell’Eliseo, come fu fatto prima di Maastricht da altri protagonisti come Mitterrand, Kohl, Andreotti, a far fare all’Europa quel salto in avanti indispensabile a farsi adulta aggiungendo una “idea” alla moneta, al mercato e ai diritti? 

Perché – come disse Kohl a Palazzo Giustiniani – non c’è una via comunitaria senza compromessi. Se riconosceremo di avere commesso errori (Trattato di Maastricht, ndr) non dovremo vergognarci di avere concepito una opera ed ammettere che essa era circoscritta ad un periodo limitato, che comunque ha spianato la strada verso il futuro. 

 

Maurizio Eufemi – Senatore nelle legislature XIV e XV

 

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