Tornare alla cronaca, basta con le “narrazioni”. L’appello di un ex direttore di giornale

Ha finito per prevalere una perniciosa malattia: la narrazione. Che è la parodia della cronaca onesta. Descrivere la realtà per quella che è può aiutare anche la politica a cambiarla Un’analisi allarmata: Il web ha creato un esercito di maestrini del pensiero ( più o meno debole). Ci sono più scrittori che lettori

La vita reale, com’è noto, è infinitamente più sorprendente di qualsiasi, pur sfrenata, fantasia. È forse ragionando attorno a questa considerazione che potremmo avvicinarci a comprendere meglio alcuni aspetti problematici della nostra epoca. A partire dalla crisi dei media tradizionali per proseguire con quelle della letteratura e dell’arte e magari approdare nientemeno che alla politica spicciola.

Allora vediamo.

Perché oggi pochissimi leggono rispetto, ad esempio, a quanti scrivono? Certo, prima dell’avvento dei social un tale, che non avesse altra possibilità di tribuna, la propria opinione la poteva spiattellare al bar, tra amici o magari inviando una letterina ai giornali.

Oggi invece può digitare su una tastiera i suoi pensierini e illudersi di essere letto ovunque nel globo. Naturalmente le cose non stanno proprio così ma l’illusione mette in moto schiere di scrittori “creativi”. Solo che, paradossalmente, in anni in cui l’analfabetismo tradizionale e quello di ritorno (in qualche caso, anche di… andata), stanno spopolando, ci sono più scrittori che lettori.

Naturalmente la colpa non è del mezzo (il web e i suoi strumenti) che pure qualche responsabilità la ha creando illusioni, ma piuttosto di una epidemia di narcisismo incontrollato. La smania di dire la propria opinione sempre e comunque, di commentare qualsiasi fatto, di intervenire su tutto lo scibile ha creato un esercito di nuovi maestrini del pensiero. Che sia debole o del tutto assente fa poca differenza.

E i media tradizionali, in questo bailamme, che cosa hanno fatto? Quale strada hanno deciso di seguire? Ovviamente quella di lisciare il pelo al nuovo giochino, e poi di sbizzarrirsi nel commento e nel cosiddetto approfondimento. Cosiddetto perché spesso approfondisce superficialmente improvvisando, male o per nulla. Dimenticando la ragione per cui erano nati e si erano sviluppati: la cronaca, le notizie. E qui torniamo all’affermazione iniziale.

La cronaca è la vita, è il racconto di quello che accade o, al più, la voglia di ragionare sulle conseguenze che l’avvenimento reale avrà nei suoi sviluppi. Ma se ci si affida alla ipotesi, dunque alla fantasia, per la costruzione di scenari e retroscena si cade in una trappola che alla lunga è mortale. Ci si condanna alla sterilità. Perché un conto è la potenza creativa di chi sa immaginare storie (peraltro imitando la vita reale, come da sempre avviene per i capolavori della letteratura, che proprio perciò sanno spesso rendere la vera atmosfera di un’epoca) o quella dei visionari che indicano alla società e alla politica nuove vie da percorrere.

Ben altra cosa è il chiacchiericcio confuso di milioni di imitatori di voci altrui, di noiosi ripetitori di filosofie demenziali. A Ettore Petrolini dobbiamo una formidabile battuta che sintetizza la questione:  “C’è sempre un idiota che inventa e un cretino che perfeziona”.

Ora è ben vero che i giornali, siano di carta o elettronici, quotidiani o periodici, si sono giustamente evoluti seguendo i tempi e le esigenze connesse. Ma avere snaturato completamente la propria missione, diventando contenitori di ipotesi e commenti prima ancora che di informazioni documentate, ha aperto la via alla catastrofe. E non è vero che il web abbia distrutto i giornali tradizionali perché, operando in tempo reale (non sempre i media elettronici lo fanno davvero…) “brucia” le notizie, ovvero le rende obsolete per la carta che viene stampata e diffusa ore dopo.

Come sempre, anche in questo caso, si tratta di trovare la giusta misura, di raggiungere quell’equilibrio che ha consentito ad esempio ai giornali di sopravvivere egregiamente e anzi di prosperare ben oltre la nascita di quei mezzi potentissimi che sono stati e sono tuttora radio e televisione.

Altro, semmai, è il fatto che il web offra, diciamo così, gratuitamente le notizie che invece in edicola si pagano. Ma questo è un discorso diverso e comunque nulla in realtà è gratuito, come finalmente molti hanno incominciato a capire. Torniamo dunque al pernicioso distacco dalla vita reale che sta dando amari frutti in tanti campi. Non possiamo confondere la fantasia creatrice dell’artista o del genio con la fantasticheria dello sciocco o del truffatore.

La letteratura, con l’abnorme sviluppo avuto in anni recenti dal genere giallo/noir, ha in qualche modo intuito che la china della introspezione, del racconto esasperatamente autobiografico, del giro attorno al proprio ombelico stava portando nel baratro della non lettura.  Ma la quantità di scrittori di polizieschi o di casi giudiziari ha comunque saturato il mercato.

La comprensione della vita reale, la sua analisi e il suo racconto sarebbero alla base della politica. Ma anche qui ha finito col prevalere un’altra perniciosa malattia: la narrazione.

Che è la parodia della cronaca onesta. Il suo stravolgimento sistematico. Ora un cronista può benissimo essere disonesto, disattento, impreciso, incapace. Ma chi si dedica alla “narrazione” cronista non è, semmai è inventore, maestro nello stravolgimento dei fatti, fantasista del pensiero corrotto e corruttibile. Osservare la realtà, comprenderla, raccontarla il più onestamente possibile affinché a qualcuno vengano in mente soluzioni ai problemi è, forse, una delle strade ancora percorribili per uscire da alcuni dei brutti incubi che stiamo vivendo.

 

Maurizio LucchiGiornalista

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