Sulla via di Damasco: la Siria issa una nuova bandiera. E gli sconfitti si chiamano (anche) Russia ed Iran

La vittoria delle forze ribelli, sostenute da un’alleanza inedita, rappresenta un punto di svolta per la popolazione, che intravede la possibilità di un Paese più democratico. Ma sarà realmente così? Ne parliamo con Mariano Giustino, corrispondente dal Medio Oriente di Radio Radicale, nel nuovo episodio del format Skill Pro

Dopo oltre un decennio di conflitti, la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria apre nuovi scenari per il paese mediorientale. La vittoria delle forze ribelli, sostenute da una vasta e inedita alleanza, rappresenta un punto di svolta per la popolazione, che intravede la possibilità di una Siria più democratica e inclusiva. Ma sarà realmente così? Ne abbiamo parlato con Mariano Giustino, corrispondente dalla Turchia di Radio Radicale, nel nuovo episodio del format Skill Pro.

Mariano Giustino, intanto ci spiega che cosa è successo lo scorso weekend in Siria?

In Siria è accaduto questo: Damasco è stata consegnata alle forze ribelli senza conflitti. La sconfitta strategica della Russia e dell’Iran è pesante ed evidente. L’opposizione siriana ha annunciato che formerà un governo di transizione inclusivo e collettivo con forze jihadiste di Hayat Tahrir al-Sham, guidate da Al-Jolani, con tutte le altre milizie ribelli alleate della Turchia e con tutte le componenti etniche e sociali del Paese.

Anche i cristiani siriani hanno festeggiato la caduta del regime, assieme a tutto il popolo siriano. L’intera opposizione anti-Assad, in dodici giorni ha rovesciato il tiranno con la partecipazione di tutti: dalle forze jihadiste di Al-Jolani alle milizie arabo-sunnite turkmene dell’esercito nazionale siriano – sostenuto e comandato da Ankara – e con la partecipazione dei curdi, dei cristiani, dei russi e dei diversi milioni di sfollati costretti a fuggire dalle loro case a causa di 13 anni di bombardamenti russi e iraniani.

Abitanti di Damasco agitano la bandiera rivoluzionaria dopo la presa della capitale siriana - Foto AP Photo/Hussein Malla/LaPresse Siria
Abitanti di Damasco agitano la bandiera rivoluzionaria dopo la presa della capitale siriana – Foto AP Photo/Hussein Malla/LaPresse

Questo cambiamento è considerato dalla popolazione siriana – al momento – un’opportunità per costruire una Siria basata su democrazia e giustizia e che garantisca i diritti di tutti i cittadini. Da oggi, però, entrano in gioco diverse incognite in un paese lacerato, come sappiamo, da divisioni etniche e religiose, e per di più sotto la guida di un’organizzazione che supporta Al Qaeda.

Il futuro dunque è nebuloso. Intanto le mire di Erdogan per un protettorato curdo nel nord della Siria si stanno realizzando. Erdogan vede una grande opportunità anche per realizzare due dei suoi grandi obiettivi, che sono fondamentali per la politica interna: il ritorno in Siria di almeno due milioni di rifugiati e la sicurezza dei confini, che Ankara considera molto cruciale visto l’allontanamento dalla sua frontiera sudorientale delle milizie curde delle unità di protezione del popolo (YPG). Adesso quindi è ovvio che anche sui curdi nascono molte incognite e molte incertezze sul loro futuro, visto che sono avversati sia dalla Turchia sia ancor di più da Hayat Tahrir al-Sham.

Cosa ci dobbiamo aspettare invece dall’Occidente?

L’Occidente non si è impegnato un granché, se non con la coalizione anti-Isis a guida americana e l’alleanza con i curdi. L’Europa è stata fuori dalla partita siriana fino adesso e, ancor di più, faticherà ora se non mostrando disponibilità a collaborare per ricostruire una Siria ormai distrutta.

Il giornalista Mariano Giustino - X - Siria
Il giornalista Mariano Giustino – Foto da X

La Turchia, invece, sarà uno degli attori principali nella transizione della Siria, perché è la vera vincitrice di questa guerra. Ankara sin dall’inizio ha voluto il rovesciamento di Bashar al-Assad e ci è riuscita. È intervenuta con almeno quattro operazioni militari, finendo col controllare – attraverso i numerosi gruppi ribelli anti-Assad – tutto il nord occidentale della Siria. E ora vuole includere Egitto, Emirati Arabi e altri partner regionali nell’aiutare i siriani a ricostruire il Paese. Il leader turco ha anche affermato che la Siria non è una minaccia per Israele né per nessuno dei regimi della regione.

Secondo lei, quali possono essere gli ostacoli principali per arrivare finalmente a una pace di un paese duramente martoriato?

La Siria, come dicevo, è lacerata da conflitti etnici religiosi. Ci sono i sunniti, gli sciiti e altre minoranze. Nel nuovo governo nascente dovremmo aspettarci che siano incluse tutte le forze in campo assieme alle minoranze: e questo non era mai avvenuto prima, perché in precedenza sia Russia sia Iran avevano le loro pregiudiziali nei confronti delle forze ribelli, considerandole organizzazioni terroristiche. La Turchia, invece, non lo ha mai fatto.

Ciascun attore presente in Siria (Turchia, Russia e Iran) aveva i suoi nemici, che non erano però i nemici degli altri, e questo ha fatto sì che il processo negoziale per la stabilizzazione della Siria fosse bloccato. Adesso invece si apre davvero un’opportunità, perché al tavolo di un processo negoziale si vocifera che potrebbero sedere tutti. Cosa dobbiamo aspettarci dipenderà proprio da questo, altrimenti c’è il rischio di un nuovo Afghanistan.

 

Simone Massaccesi Redattore

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