La fatica di Sisifo è un topos della letteratura colta del mondo occidentale, coltivato magistralmente da Camus (Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo, Bompiani, 1947) per raccontare – da ateo – la malinconia del destino umano, inutile come la rincorsa del condannato a trascinare lungo il pendio di un monte un grosso masso per poi vederlo rotolare nuovamente dalle stesse pendici e riprendere in eterno la fatica. Inutile, appunto.
Nelle molte frequentazioni letterarie più antiche, notevole quella di Lucrezio (De Rerum Natura) che interpreta il mito come simbolo della frustrazione di un politico che aspira a cariche pubbliche ma che non riesce a raggiungere il necessario consenso per conseguirle. Insomma: il mito della fatica inutile ha affascinato parecchio e ha simboleggiato molte cose, dallo sforzo vano dell’uomo per raggiungere la conoscenza assoluta, all’importanza delle motivazioni nella fatica del lavoro, che pesa di più se appare inane.
Ma forse, concentrandoci sull’umana trasfigurazione di Sisifo impegnato nell’immane fatica a sostegno del masso che sale ma poi ridiscende, abbiamo perso per strada i connotati del personaggio, che non era proprio uno stinco di santo, ma un tipaccio perfido, ingannatore, furbissimo ed anche spione.
Intanto domandiamoci perché venne ingaggiato nello sport funestissimo del trascinare la pietra: in realtà era una terribile punizione inflitta da Zeus. I fatti furono questi: Zeus, che era notoriamente un dio erotomane, viene visto da Sisifo nell’atto di concupire una bella ninfa di nome Egina, figlia del dio fluviale Asopo, il quale ultimo chiese a Sisifo notizie della figliola persa alla vista. Abituato a monetizzare a suo vantaggio ogni opportunità, in cambio della spiata il nostro chiede al dio minore – e ottiene – una sorgente di acqua perenne (tra l’altro faceva il re di Efira e l’acqua gli serviva). Naturalmente la spiata piacque poco a Zeus che, appena venne a conoscenza dei fatti, irrogò al fedifrago la nota sanzione. A giusta ragione, allora, Sisifo si ritagliò uno spazio di tutto rispetto come spione eccellente.
Chi può essere oggi, nel tempo dell’intelligenza artificiale, il discendente in via diretta di Sisifo? Ma non v’è dubbio: il nostro smartphone, protagonista di quella deriva pericolosa del “capitalismo della sorveglianza” (Zuboff, Luiss Unipress, 2019), che ruba identità, pezzi di vita, neuroni, per rivenderseli, fingendo di concederci contro prestazioni che sono per lo più allucinatorie. E se pensiamo che la categoria “commerciale” entro cui agisce principalmente circoscrive l’azione dello spione digitale, ci sbagliamo di grosso: basterà dare un’occhiata al ruolo di controllo politico che lo smartphone svolge nell’area asiatica, non solo quella dichiaratamente autoritaria come la Cina, ma anche in Paesi che aderiscono al modello liberal-democratico come Singapore, per comprendere l’aria che tira. Un’aria che ha già avuto modo di far provare all’Occidente un che di mefitico fin dai tempi dell’intromissione a gamba tesa nelle campagne elettorali americane (e non solo) di Cambridge Analytica nel 2016, e che ha messo in pre-allarme l’Europa alla vigilia delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento, per preservare il voto da inquinamenti di cyber-terroristi.
A proposito di spioni, che dire dei cosiddetti trojan usati nelle intercettazioni telefoniche e ambientali che buttano in pagina nudità di vita di persone senza aver cura di separare la notizia essenziale dal voyeurismo gossiparo, per pura pornografia giudiziaria?
La descrizione, molto puntuale, del fenomeno arriva da Alberto Cisterna: “Il drenaggio massiccio di esclamazioni, divagazioni, speranze, paure, invidie, minacce, sollecitazioni, maldicenze, insomma il meticoloso censimento e la meticolosa trascrizione delle parole… rischia di cadere nelle fauci di un moloch tecnologico che vigila incessantemente, analizza, restituisce report senza alcuna enfasi, senza alcuna sfumatura, e che stila gelide relazioni.” E aggiunge: “L’ideologia del controllo securitario genera un potere che, in ultima analisi, tende a rendersi esente da ogni limitazione e pretende di non rispondere ad alcun altro potere”. (A. Cisterna, Trojan e vittime collaterali, il Messaggero, 13 maggio 2024).
Insomma: siamo nelle mani di Sisifo, quello cattivo, spione e profittatore, che in più si è adattato alla coazione a ripetere e non finisce più.
Pino Pisicchio – Professore di Diritto Pubblico comparato. Già deputato in numerose legislature, capogruppo parlamentare, presidente di Commissione, sottosegretario. Saggista