Sen. Scurria: ecco quel che ho visto in Israele

Una delegazione di sedici parlamentari di diversi Paesi europei, tra cui alcuni del Parlamento italiano, ha compiuto una missione in Israele. Abbiano chiesto di raccontarci la sua esperienza al sen. Marco Scurria, esponente di Fratelli d’Italia, già europarlamentare, senatore e segretario della commissione Politiche dell’Unione europea e presidente del Transatlantic Friends of Israel (Tfi). Gli altri italiani sono Mariastella Gelmini (Azione), Lia Quartapelle (Pd), Marco Deostro (Lega), Alessandro Alfieri (Pd).

La missione è stata organizzata dall’American Jewish Commitee con lo scopo di comprendere la situazione venutasi a creare dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre.

Senatore Scurria, era la prima volta che si recava in Israele?

No, ci sono stato anche alcuni anni fa, quando dirigevo una Ong che operava nel campo di servizi socio- sanitari e culturali. Prevedeva tra l’altro uno scambio con i kibbutz e la possibilità per i giovani italiani di fare colà delle esperienze conoscitive e formative.

Ritornato a Tel Aviv, avrà trovato una situazione completamente diversa…

L’aeroporto era un deserto, c’era un’atmosfera del tutto dissonante, quasi surreale, rispetto alla effervescenza e al dinamismo che caratterizzano lo scalo israeliano.

Ma si avvertiva concretamente un pericolo andando in giro? Ho visto che indossava un giubbotto antiproiettile

Beh, il pericolo c’è sempre, ma era un pericolo remoto. Appena arrivati in albergo, in vista del primo meeting, ci hanno spiegato accuratamente che cosa fare, tutte le precauzioni da prendere.

Siete stati ad Askhelon, città vicina alla striscia di Gaza e abituata a convivere con gli attacchi missilistici. Ha visitato con la delegazione l’ospedale, qui parlando con i suoi interlocutori, avrà incrociato più volte il loro sguardo. Cosa le hanno trasmesso quegli occhi più delle parole?

Abbiamo visitato l’ospedale più vicino alla Striscia di Gaza, il responsabile, che aveva la casa situata proprio al confine, si è salvato per miracolo. L’ospedale era tornato a una normale attività. Questo ospedale ha formato il 70 per cento dei medici palestinesi.

Ma quale sensazione ha avuto parlando con il personale sanitario, con i malati, che cosa ha percepito nei loro sguardi?

L’espressione più visibile, che si legge negli occhi di questa gente, è quella di una assoluta incredulità per quello che era accaduto.

Poi avete visitato il Kibbutz di Be’eri, ci può dire che elementi ha raccolto?

Sono conclusioni amare. Il 7 ottobre, questa la convinzione diffusa che ho raccolto, oltre all’eccidio e ai massacri, è morta la speranza. Anche gli israeliani meno pessimisti la pensano così. Abbiamo superato la guerra mondiale, abbiamo superato altre guerre, dicono, ma stavolta? C’è un problema da risolvere.

Quale?

Non sanno chi sia l’interlocutore, e in realtà al momento non c’è un interlocutore con cui imbastire un dialogo, tentare un accomodamento, fare la pace

Non c’è l’Autorità nazionale palestinese?

Figuriamoci! l’ANP non ha mai condannato l’attacco di Hamas del 7 ottobre. E dunque di che cosa parliamo?

Tornando alla visita nel kibbutz di Be’eri ci racconti qualche particolare significativo

Siamo entrati nelle case dove erano stati massacrate uomini, donne e bambini. Si avvertiva palpabile la sensazione di stare in un posto dove era passata la morte. E quel che era rimasto sembrava un cimitero di vivi, nei cui occhi si vedeva lo spavento e il terrore.

Davanti a scene come queste, a muri cadenti e case sventrate, vengono alla memoria alcuni versi di Ungaretti: di queste case/non è rimasto/che qualche/brandello di muro/Di tanti/che mi corrispondevano/non è rimasto/neppure tanto/ma nel cuore nessuna croce manca/è il mio cuore /il paese più straziato.

Ci sono altre situazioni drammatiche che ha visto?

Abbiamo visitato il paese di Beerato, e ci ha particolarmente colpito il modo in cui la popolazione vive: lanci di missili quotidiani, mentre la gente lavora o cammina per le strade. C’è, è vero, un sistema di monitoraggio e di dislocazione di rifugi possibili: ma quando suona l’allarme i cittadini hanno 15 secondi per correre a rifugiarsi…

Vorrà dire 15 minuti…

No no, ha capito bene: 15 secondi per salvarsi. Insomma, per questa gente l’aspettativa di vita può essere di 15 secondi.

Senatore, ha avuto modo di incontrare politici palestinesi?

No, gli incontri erano tutti interni al Paese di Israele

Ma l’idea che si è fatto anche dopo questo viaggio qual è? É possibile un accordo, non dico una pace, ma almeno un allentamento della tensione e del conflitto?

La vedo difficile. Anche perché resta aperta la questione degli ostaggi. Ci sono 130 ostaggi da liberare, e su cui non ci sono notizie, neanche Hamas è in grado di darle. Tra questi ostaggi ci sono bambini, malati terminali bisognosi di cure: su questa vicenda il buio è assoluto.

E parlando più in generale delle prospettive di convivenza tra Israele e palestinesi?

Due popoli due Stati è la via imprescindibile e irrinunciabile da perseguire. Israele ha diritto a esistere come Stato ed esisterà sempre, e così anche i palestinesi, liberati però dalla camicia di forza oppressiva di Hamas.

Ora una domanda di geopolitica: l’Italia, che nel contesto mediterraneo ha una indubbia posizione di credibilità e di affidabilità, che ruolo potrebbe svolgere anche per contribuire a una stabilizzazione definitiva dei rapporti in Medio Oriente, nel segno della libertà e del rispetto reciproco tra gli Stati di quell’area?

Il governo italiano, può aiutare, come già sta facendo la presidente del Consiglio Meloni, invitando i Paesi arabi moderati a favorire una leadership palestinese che non sia schiava di Hamas. C’è tutto un campo diplomatico, politico, direi anche morale su cui lavorare in favore di una distensione. Bisogna insomma tener conto del fatto che c’è una dimensione che va oltre la guerra.

 

Simone Massaccesi Redattore

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