L’israeliano e il palestinese. La proposta di pace di Olmert e Al-Kidwa: “Ecco come possiamo salvare i nostri popoli”

L’ex premier israeliano e l’ex ministero degli esteri dell’Anp hanno esposto il loro progetto comune negli studi di La7: “Il 7 ottobre non va dimenticato, e neanche la distruzione di Gaza. Ma dobbiamo andare avanti. Subito il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco, poi l’Idf deve uscire dalla Striscia”. La premessa: riconoscere l’uno il dolore dell’altro

“Non siamo due sognatori, siamo due politici di vecchia data che vogliono salvare i loro popoli”. Sono in due, di due popoli in guerra oggi come quasi sempre negli ultimi 80 anni, eppure parlano la stessa lingua, usano quasi le stesse parole. Sono Ehud Olmert, ex primo ministro israeliano, e Nasser Al-Kidwa, ex ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese, che stanno girando l’Europa proponendo la loro proposta di pace. Ieri erano a La7, all’Aria che tira di David Parenzo.

“Il 7 ottobre non va dimenticato – spiega Olmert – come non vanno dimenticate la sofferenza e la distruzione di Gaza che ne sono seguite. Non dobbiamo dimenticare, ma dobbiamo andare avanti, non possiamo essere ossessionati dal dolore del passato”.

Gli fa subito eco il suo partner palestinese: “La soluzione passa dal rilascio di tutti gli ostaggi, di tutti i prigionieri durante un cessate il fuoco e poi il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza”. La premessa è questa, riconoscere il punto di vista dell’altro, il dolore dell’altro e poi rimuovere il principale ostacolo attuale alla ricerca di una soluzione pacifica: i leader di entrambe le parti.

Olmert Al Kidwa
Nasser Al-Kidwa ed Ehud Olmert con David Parenzo a L’Aria che tira su La7

 

“È possibile immaginare un futuro di Gaza senza Hamas – scandisce Al-Kidwa  –  dobbiamo trovare prima una soluzione interna e poi parlare con i nostri vicini israeliani”. E il vicino israeliano ha parole speculari sul proprio primo ministro: “Netanyahu non è la persona che può fare la pace, credo abbia esaurito il suo compito e deve essere mandato a casa. E speriamo che questo venga presto. Non ha alcuna strategia, l’unica strategia possibile è quella che abbiamo noi. Usciamo dall’ossessione di accusarci d’altro e troviamo la soluzione per uscirne tutti insieme. O Israele continua a occupare per sempre i loro territori oppure lavoriamo per l’unica soluzione possibile: due popoli due Stati”.

David Parenzo, che ha lavorato a lungo per ottenere questa intervista doppia, non nasconde l’emozione: “Confesso che ero molto colpito, penso sia stato importante che in un momento come questo, in cui la situazione a Gaza è ancora drammatica, mentre è  in corso una guerra in Libano e si parla di attacco all’Iran, ci siano due persone così importanti che parlano di pace. Ne parlano e propongono un percorso concreto che parte dalla messa in discussione delle classi dirigenti di entrambi i popoli”.

Quattro punti per arrivare alla pace

La proposta concreta si articola in quattro punti: ritorno ai confini del 1967 più scambio del 4,4% del territorio (lo scambio serve a creare un corridoio che colleghi Gaza alla Cisgiordania in modo da garantire la continuità territoriale); porre Gaza sotto il controllo dei palestinesi e di altri paesi arabi in attesa di elezioni; Gerusalemme doppia capitale, divisa lungo i confini del 1967; la città vecchia di Gerusalemme sotto il controllo di tre Stati più Israele e Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

 

Ma a colpire chi ieri ha visto i due dal vivo non sono state solo le proposte e le parole pronunciate: “Faceva molta impressione vederli vicini nello stesso studio – continua Parenzo –  con un’empatia e una complicità che non mi aspettavo. È stato emozionante e spero possa produrre risultati efficaci”.

Olmert e Al-Kidwa non sono solo due ex ma danno voce a un parte dei loro popoli e lo fanno col sostegno anche materiale di chi crede nelle loro idee e nella necessità di trovare una soluzione che non passi dalla guerra. “Attualmente c’è una obiezione molto forte ad una soluzione pacifica sia tra israeliani che tra i palestinesi”, scandisce Olmert con grande onestà intellettuale. “Ma un anno dopo quello che è successo dobbiamo chiederci tutti: cosa succede ora? Dobbiamo continuare a distruggerci? Se ci sarà una leadership che avrà una visione per il futuro saremo in grado di cambiare strada. So che tra molti palestinesi c’è il desiderio di una soluzione pacifica. Lo stesso auspicio c’è da una grande parte della popolazione israeliana, dobbiamo passare attraverso il dolore di oggi per raggiungere la speranza per il domani”.

I precedenti di Begin e di Sharon

La speranza per il domani, insistono in coro i due, passa attraverso un cambiamento al potere. Cambiamento di persone e di generazione: “Se ci fossero state buone leadership da entrambe le parti non ci sarebbe stato bisogno di noi – commenta con un sorriso amaro Al-Kidwa – dobbiamo passare le responsabilità alle nuove generazioni”. E anche qui Olmert usa parole analoghe: “Secondo me la maggioranza degli israeliani adesso non ha fiducia nel primo ministro. Ci sono tanti bravi uomini e donne che possono prendere le redini dello Stato e accadrà prima di quanto creda la maggior parte delle persone”.

Gaza
La distruzione di Gaza

 

L’ottimismo e la fiducia nella possibilità di trovare una via d’uscita è anche frutto della storia di quella terra. Una storia che Olmert ha vissuto in prima persona: “Nel 1977 quando Begin è stato eletto primo ministro di Israele, chi avrebbe detto che dopo un anno si sarebbe ritirato completamente dal Sinai e sarebbe stato in grado di fare la pace con l’Egitto? E chi avrebbe pensato che Sadat sarebbe venuto a parlare al parlamento israeliano? Allora dicevano: siete matti. E invece è successo. Se qualcuno avesse detto all’inizio del 2005 che Ariel Sharon, allora primo ministro di Israele, io ho avuto il privilegio di essere il suo vice premier, avrebbe detto che che avrebbe smantellato tutti gli insediamenti a Gaza, gli insediamenti che lui aveva costruito, sarebbe stato preso per matto. È invece è successo.  E oggi pensiamo che possa accadere di nuovo perché siamo realisti, perché i nostri cittadini hanno diritto ad avere un’alternativa allo scontro continuo. Dobbiamo smettere di spararci addosso, deve succedere e succederà”.

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