Di qui al 5 aprile, quando si aprirà il congresso del leghismo post-moderno in salsa sovranista, Matteo Salvini ha un solo problema: cosa fare con il generale Roberto Vannacci. O meglio, cosa dargli. Ovvero: se nominarlo vicesegretario della Lega (lasciando al loro posto gli altri tre vice Alberto Stefani, Davide Crippa e Claudio Durigon) attirandosi gli strali di mezzo partito; o incoronarlo commissario in Toscana, carica a cui il militare con le stellette terrebbe forse perfino di più, così dicono. Il generale è abituato a scuotere gli alberi sul suo cammino e i 500 mila voti rastrellati alle europee lo ricoprono come una corazza da qualunque lancio di balaustre dal ventre del Carroccio. Ma le sue posizioni sovraniste e centraliste divergono dallo spirito federalista originario. Come e se collocarlo è un bel dilemma, anzi un incubo, una minaccia alla quieta navigazione congressuale del Capitano, determinato a farsi reincoronare senza polemiche di sorta. Seguendo una rotta studiata meticolosamente da uno che se ne intende come Roberto Calderoli. Con un solo buco nero da colmare, previa indicazione del più alto in grado, ovvero la sorte del generale.

Metti Vannacci, togli Vannacci
Il problema è che il Vannacci è un sovranista hegeliano, di quelli che “lo Stato è sostanza etica consapevole di sé”, mentre i leghisti duri e puri nascono secessionisti, maìtre à penser la buon anima di Gianfranco Miglio; e crescono come sovranisti con Salvini, che ha trasformato la ex Lega Nord in partito nazione: facendo storcere la bocca ai veterani, gli iscritti senior, quelli che si fregiano del grado di Soci Ordinari Militanti, acronimo SOM, forti di un diritto di voto sugli organismi dirigenti privilegiato rispetto ai semplici sostenitori. Irritarli proponendo una cadrega di peso per il Vannacci (considerato troppo di destra e poco sensibile ai diritti dei popoli) può causare un sacco di grattacapi. Non dargli nulla, anche di più. Da qui il coniglio dal cilindro da far spuntare come una sorpresa: una semplice nomina a commissario toscano del Carroccio per Vannacci, che risulterebbe tanto più gradita da una pletora di militanti preoccupati di vedere salire il generale sulla tolda di comando nazionale. Per concedere questa brioche al volgo – Maria Antonietta docet – il Capitano deve convincere non il congresso, ma l’assemblea federale che si riunirà dopo per formalizzare le nomine apicali. Senza considerare che la modifica di Statuto richiesta per far partecipare anche i sostenitori alla scelta degli organismi dirigenti (candidati sindaci, segretari di provincia fino a salire) potrà essere letta come un’altra mano tesa al generale. E’ questa una delle cose che saranno messe ai voti al congresso, dove (Giorgia permettendo e legge sull’Autonomia sorvolando) non si parlerà d’altro che del Vannacci e dei Patrioti. Con una postilla grande come una casa: il tavolo delle elezioni regionali, dove è il Veneto a tenere banco, la sorte del Doge argomento principe e la Toscana uno degli allegati: in grado però di poter destare attenzioni più spiccate se entrasse in campo di qui a breve come commissario del partito un personaggio stile Vannacci. Molti penseranno potrebbe usare la nomina come rampa di lancio per una candidatura a governatore in grado di terremotare il centrodestra, dove ogni partito ha il suo cavallo in corsa. Ma tant’è.
Salvini, leader accidentale
A parte questo, che non è un dettaglio, strada spianata sul fronte interno per Matteo e standing ovation garantita per la sua terza riconferma come leader trainante senza rivali. Del resto, i conduttori dei talk show, quando la Lega grattava il fondo al 4 per cento facevano a gara per averlo ospite come unico dei politici in grado di far schizzare in alto l’audience. In Rai e Mediaset giravano grafici con le curve degli ascolti legate al minutaggio e quando qualcuno dei dirigenti obiettava qualcosa sull’onnipresente portabandiera del Carroccio, bastava un’occhiata a quei numeri per zittirli. E malgrado le sue tremende scivolate (nel 2019 fece cadere il governo giallo-verde fidandosi di Nicola Zingaretti, che gli aveva detto che si sarebbe andati alle urne) e malgrado l’emorragia di voti, anni prima piovuti dall’alto nell’era d’oro dei populisti, sarà forse grazie alla sua capacità di “bucare” lo schermo e di parlare diretto senza fronzoli, facendosi capire da tutti, che Matteo Salvini è seduto sul trono della lega dal 2013: oggi è il leader italiano più longevo, battendo anche Giorgia Meloni, eletta nel 2014 a capo di Fdi. E da domenica 6 aprile Salvini lo sarà per altri X anni, se si calcola che l’ultimo congresso delle camicie verdi risale al 2017. Quindi si può dire che dopo l’era Bossi e la parentesi di Bobo Maroni, la Lega sia ormai un partito proprietario: la platea degli oltre 400 delegati al congresso federale di Firenze se ne farà una ragione.
Salvini, leader insuperabile
Le modalità di questa (ri)elezione dimostrano che non ci siano concorrenti in grado di sfidare Matteo, malgrado qualcuno dei suoi colonnelli abbia alzato la testa nei mesi scorsi. Chi contestando una deriva troppo di destra (Luca Zaia), chi una deriva troppo meridionalista (i lombardi del governatore Fontana), chi sfidandolo nelle assise regionali, come il capogruppo Massimiliano Romeo, insofferente verso il partito a vocazione nazionale piuttosto che nordista, uscito vincitore dal congresso della Lombardia proprio contro un candidato gradito al leader massimo.
Ma tolte queste intemperanze, nessuno ha il fiato per competere con la vis polemica e l’attivismo del leader. Né Luca Zaia, il più forte al nord, né il più autonomo di tutti, il lombardo Romeo; né il governatore del Fvg, Massimiliano Fedriga detto “il democristiano” proprio per la sua inclinazione a mediare. E dunque, malgrado siano state già presentate cinque mozioni congressuali, malgrado solo la prima finora abbia la benedizione del segretario, quella del vice Alberto Stefani, uomo forte in Veneto, non sono alle viste altre candidature alla leadership. Mercoledì scadono ii termini ma ci vogliono dalle 120 alle 200 firme raccolte in quattro regioni per poter salire sul ring contro Matteo. Auguri e sonni d’oro verrebbe da dire.
Vannacci per Salvini è un giubbotto antiproiettile contro il fuoco amico
Per giocare d’anticipo, il Capitano ha dato la sua benedizione alla mozione “Futuro è identità” di Stefani. Che batte sui tasti dell’autonomia e del federalismo, di una maggiore libertà decisionale delle sezioni regionali, sul controllo delle liste elettorali per le elezioni locali; difesa dell’identità territoriale, valorizzare le tradizioni e le specificità locali, contrastando derive centraliste o sovraniste che potrebbero snaturare l’anima del partito. Non proprio musica per le orecchie di Vannacci, né di molti partiti Patrioti, ma un’alchimia di concetti tesi a non farsi sorpassare a destra, sinistra o al centro, dai vari piccoli protagonisti di un dissenso che va tenuto sempre sotto il tappeto, come una polvere irritante per gli occhi.
Quanto al Vannacci, sia come sia, la linea sarà, salvo scosse telluriche nel profondo nord: meglio farlo entrare a tempo pieno nei ranghi della Lega, come una cintura di sicurezza che eviti voli in solitaria del generale nel cielo elettorale italiano. Sarebbe un buon giubotto antiproiettile per far marciare Salvini senza il terrore di essere sempre sotto il fuoco amico.