Nel variegato panorama del diritto penale internazionale, il reato universale rappresenta uno strumento giuridico di eccezionale portata, tradizionalmente riservato ai crimini più efferati contro l’umanità. Genocidio, tortura, crimini di guerra: azioni che, per la loro gravità, possono essere perseguite ovunque, indipendentemente dal luogo in cui sono state commesse. Ed è proprio in questa élite di crimini che l’Italia ha deciso di inserire… l’ex maternità surrogata, ora gestazione per altri (GPA).
Un salto logico non da poco, che ha trasformato una pratica legale in diversi paesi occidentali in un “crimine universale“, punibile con pene fino a due anni di reclusione e multe che possono raggiungere il milione di euro. Come se portare in grembo un bambino per altri genitori fosse equiparabile ai crimini contro l’umanità.
Un paradosso giuridico che fa sorridere, se non fosse che dietro questa decisione si celano conseguenze molto concrete per famiglie reali.
I dubbi giuridici
Ma le contraddizioni non finiscono qui. In un paese dove l’adozione viene spesso citata come l’alternativa virtuosa alla GPA, assistiamo quotidianamente a storie che farebbero rabbrividire qualsiasi esperto di diritti dell’infanzia. Come quella raccontata sui social da una madre adottiva, dove una bambina, dopo tre anni di vita serena con i genitori affidatari viene improvvisamente riconsegnata al padre biologico. Perché, si sa, il legame di sangue supera qualsiasi considerazione sul benessere psicofisico del minore.
È curioso come la stessa società che si straccia le vesti per la “mercificazione del corpo femminile” nella GPA, non batta ciglio di fronte a altre forme di sfruttamento del corpo. Viene alla mente il tipico adagio femminile ‘nemmeno pagata’ fuor di metafora.
Ironicamente ci sarebbe da chiedersi dove sono i sindacati quando si parla di un “lavoro ventiquattro ore su ventiquattro per nove mesi senza pausa pranzo, ferie, malattia, infortunio”?
Il legislatore italiano ha creato un mostro giuridico che pretende di estendere il proprio braccio oltre i confini nazionali, mentre all’interno di questi stessi confini continua a perpetuare un sistema che spesso antepone principi astratti al concreto interesse dei minori. Ci siamo convinti che basti una legge dal nome roboante per trasformare una realtà complessa in un semplice bianco o nero.
Ma la realtà, spesso se non sempre è meno complessa della filosofia.
Mentre ci perdiamo in dibattiti sulla moralità della GPA, bambini reali vivono situazioni di profonda incertezza nel nostro sistema di affidi e adozioni. Mentre criminalizziamo chi cerca di costruire una famiglia attraverso la gestazione per altri, permettiamo che bambini vengano strappati da case amorevoli in nome di un legame biologico che troppo spesso diventa una catena.
L’ipocrisia raggiunge il suo apice quando si considera che lo stesso paese che ha elevato la GPA a reato universale fatica ancora a garantire una giurisdizione universale “tout court” per tutti i crimini internazionali. Come se portare in grembo un bambino per altri fosse più grave di certi crimini contro l’umanità.
Un approccio costruttivo
In conclusione, il “reato interstellare di GPA”, come viene ironicamente definito, sembra più un esercizio di ginnastica giuridica che una risposta efficace a questioni concrete. Mentre ci preoccupiamo di punire chi cerca felicità oltre confine, continuiamo a ignorare le contraddizioni del nostro sistema, dove l’interesse del minore – che dovrebbe essere il faro di ogni decisione – troppo spesso si perde nella nebbia di principi astratti e ideologie.
Nel frattempo, continuiamo a preferire la filosofia alla realtà i principi astratti al benessere concreto dei bambini.
È tempo di superare questa miopia legislativa e sociale. Abbiamo bisogno di un approccio più maturo e costruttivo, che parta dal riconoscimento di una realtà complessa e sfaccettata. Il diritto di famiglia e le politiche sulla genitorialità necessitano di una profonda revisione che metta davvero al centro l’interesse del minore, non come principio astratto ma come criterio guida concreto e verificabile.
Serve un cambio di paradigma che superi sia i tabù ideologici sia le semplificazioni legislative. Un approccio che riconosca la complessità delle moderne forme familiari e che sia in grado di tutelarle tutte, senza discriminazioni e senza ipocrisie. Solo così potremo costruire un sistema giuridico e sociale che non si limiti a proibire e punire, ma che sappia accompagnare e sostenere le scelte di vita delle persone, garantendo sempre e comunque il supremo interesse dei bambini.
Il futuro che dobbiamo immaginare è quello di un paese che non ha bisogno di “reati universali” per gestire fenomeni sociali complessi, ma che sa costruire un sistema di tutele universali per tutti i suoi cittadini, grandi e piccoli.
Vincenzo Candido Renna – Avvocato Cassazionista, Compliance and Ethics specialist