Un periodo in carcere per i magistrati così che possano capire il potere del quale sono investiti. È una proposta avanzata dall’associazione Amici di Leonardo Sciascia, la cui presidente Simona Viola spiega come potrebbe essere messa in atto questa legge in Italia e chi vi si oppone.
Cosa proponete con quella che chiamate la legge Sciascia-Tortora?
Il disegno di legge si articola in due proposte: la prima è che i magistrati durante il corso di formazione studino, tra le materie di esame, il diritto penitenziario o dell’esecuzione (che al momento manca) e la “letteratura dedicata al ruolo della Giustizia quale strumento di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità umana e del rispetto reciproco tra persone, nonché alle distorsioni dei princìpi dello Stato di diritto che possono derivare dalle deviazioni del sistema giudiziario”, insomma autori di c.d. “letteratura giuridica”.
La proposta si chiama Sciascia-Tortora e nasce da una provocazione alla quale speriamo che il ministro della Giustizia voglia restare fedele: lo stesso Nordio nel 2011, quando era un magistrato, disse “una cosa mi sarebbe piaciuto fare se fossi stato nominato ministro della Giustizia: tra i tanti esami obbligatori per diventare magistrato, rendere obbligatorio l’esame dell’opera omnia di Leonardo Sciascia».
Rileggendo Nordio ci siamo detti che aveva ed ha ragione: Sciascia, così come Manzoni, Verri, Beccaria, o le lettere di Enzo Tortora scritte dal carcere alla sua compagna Francesca Scopelliti, andrebbero riletti affinché ai giovani magistrati durante la loro formazione sia proposta una visione più ampia, anche filosofica, della funzione del giudicare.
La seconda proposta prevede che i magistrati in tirocinio trascorrano 15 giorni in carcere: nulla di trascendentale, in realtà, in Francia lo si fa da decenni ed è universalmente considerata una importante esperienza della vita professionale dei giudici.
Da dove arriva questa proposta?
Questa seconda proposta origina da una provocazione di Leonardo Sciascia, tra i primi all’indomani dell’arresto di Enzo Tortora, ad affermarne pubblicamente l’innocenza e a riconoscere in quell’errore giudiziario tutti i sintomi delle distorsioni del sistema giudiziario. Lo scrittore nel 1983 scrisse, sul Corriere della Sera, che «un rimedio, paradossale quanto si vuole, sarebbe quello di far fare ad ogni magistrato, una volta superate le prove d’esame e vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere tra i comuni detenuti. Sarebbe indelebile esperienza, da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello ogni volta che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza».
Uno dei nuclei del pensiero sciasciano è rappresentato proprio dalla costatazione che il magistrato dovrebbe soffrire del proprio “terribilissimo” potere e portarne tutto il peso, anziché goderne.
Pensate possa essere inserita in una riforma della giustizia?
Pensiamo che Ministro, Governo, Parlamento e Magistratura non abbiano ragione per schierarsi contro questa proposta. Anzi l’iniziativa arriva in un momento in cui la magistratura – che si sente attaccata dalle iniziative del Governo e si sta arroccando nel rifiuto di ogni proposta di riforma – ben potrebbe trovare nella Proposta di Legge Sciascia-Tortora un giusto punto di equilibrio e una facile concessione. Perché la Magistratura dovrebbe opporsi? Già oggi molti PM durante il tirocinio trascorrono una settimana in carcere, senza per questo sentirsi degradati o umiliati.
Mia cugina, presidente di corte d’appello in Francia, ha fatto del tutto tranquillamente, come tutti i suoi colleghi, questa esperienza da giovane e ne conserva il ricordo indelebile e l’importante lezione.
Un’esperienza del genere permetterebbe ai giovani magistrati anche di vedere da vicino la condizione del sistema carcerario italiano, di toccare con mano i “trattamenti disumani e degradanti” riservati alle persone detenute, a causa dei quali l’Europa ha condannato l’Italia.
Magistrati e carcerati: sono due categorie nell’occhio del ciclone ed entrambe protagoniste del vostro ddl: in questo momento c’è il picco di suicidi nei carceri…
I numeri sono drammatici, se il ritmo dei suicidi in questa prima parte dell’anno si confermerà per i mesi a venire, nel 2024 il numero dei suicidi supererà quello di tutti gli anni precedenti.
Il tema dei suicidi in carcere (che coinvolge anche le guardie carcerarie purtroppo) deve essere preso in carico dal sistema giudiziario, di cui fanno parte anche i magistrati.
Ho letto diversi commenti di magistrati alla nostra proposta: uno diceva più o meno “di giorno sì, ma di notte no”. Ma che approccio è quello di rifiutarsi di passare anche le notti in carceri insieme ai detenuti, per poter meglio condividere e comprendere la condizione delle persone detenute?
Penso al prof. Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale, che cessato dalla carica si è trasformato in “avvocato di strada” mettendosi a disposizione dei detenuti delle carceri milanesi, per i quali scriveva le istanze di scarcerazione: da presidente della Scuola Superiore di Magistratura aveva provato, senza riuscirci, a convincere la Scuola e il Csm a far trascorrere ai tirocinanti un periodo nelle carceri. Ecco, credo che il suo esempio sia la migliore risposta alle resistenze espresse da alcuni magistrati.
In realtà è una proposta di tale semplicità e buon senso che non dovrebbe occorrere nemmeno una norma di legge per attuarla: in Francia è una semplice disposizione regolamentare della scuola superiore di magistratura.
Discorsi che si scontrano anche con la stasi sulla legge della tortura: perché si fatica tanto su questo argomento?
Purtroppo le resistenze alle riforme della giustizia emergono in modo sistematico e, direi, speculare fra le forze politiche. Quando le proposte di riforma mirano a mettere in discussione il corporativismo della magistratura e a introdurre strumenti di bilanciamento del suo potere, insorge la sinistra. Quando invece le riforme sono volte a mettere in discussione la pena o il sistema carcerario, le resistenze provengono dallo schieramento di destra, che è lo stesso che, ovviamente, non vede con favore il reato di tortura.
È così remota una riforma della giustizia?
La verità è che la sinistra ama le manette dei giudici e la destra quelle della polizia: e chi ne fa le spese sono lo stato di diritto, il diritto penale liberale e, in definitiva, i cittadini.
Il governo Meloni, appena insediato, ha introdotto numerose nuove fattispecie penali a fronte di carceri sovraffollate e dei numeri sui suicidi che abbiamo detto: ma occorrono invece depenalizzazioni, amnistia e indulto e sistema giudiziario ha bisogno di recuperare credibilità e autorevolezza così gravemente incrinati. Dunque la riforma della giustizia non è solo necessaria, è indispensabile e non rinviabile.
La nostra proposta è un atto di buon senso in questa direzione, che abbiamo messo a disposizione del Parlamento e sul quale spero che convergano tutte le forze politiche: i due parlamentari di +Europa che hanno accettato di raccogliere la proposta si sono impegnati a costituire un intergruppo parlamentare bipartisan, il più esteso possibile, per la sua promozione.
Insieme a Sciascia siamo consapevoli di quanto sia difficile riformare la giustizia, ma allo stesso tempo di quanto non si possa fare a meno di provarci e soprattutto di crederci affinché accada.
Francesco Fatone – Giornalista