Perché è finito un partito come la Dc, che ha avuto una così illustre storia, una prestigiosa classe dirigente, che ha prodotto uomini di Stato? Perché si è dissolta una formazione politica che ha segnato la rinascita del Paese dopo i disastri della guerra mondiale e ha fatto rinascere – non da sola, si capisce – la democrazia in Italia?
Perché un partito che aveva un radicamento territoriale capillare in ogni angolo del Paese, dopo 50 anni ha ceduto di schianto e si è come liquefatto? E la sua eredità politica dov’è finita? È finita la Dc ma ci sono ancora i democristiani, percepiti spesso polemicamente come mentalità tipica di chi cerca la mediazione, o decide di non decidere, come ha osservato Flavia Piccoli, la figlia di Flaminio?
Sono interrogativi che richiedono un convegno, di quelli lunghi e impegnativi. E se ne potrebbero aggiungere altri: si può, o è una chimera, ricostituire un partito se non “come la Dc” almeno di forte ispirazione cristiana?
Sono queste le principali domande con cui Andrea Camaiora, Ceo e founder del Gruppo The Skill, ha avviato una riflessione – in parte in presenza in parte in videocall – con alcuni esponenti che nella Dc e nelle istituzioni hanno avuto ruoli di rilievo.
A questi quesiti Camaiora ne ha aggiunto poi un altro, volutamente provocatorio, rivolto agli invitati: cosa potevate fare meglio per evitare il crollo? Dove avete sbagliato?
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Si sono cimentati nelle risposte Gianfranco Rotondi, Roberto Formigoni, Vito Bonsignore, Flavia Piccoli, Luigi Grillo, Francesco Tufarelli e Alessandro Duce.
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L’analisi del Grande Crollo della Dc
Si è focalizzata sul periodo ‘92-‘94 , terribile triennio in cui non c’è stato solo lo scoppio di Tangentopoli, l’uccisione di Falcone e Borsellino, la elezione a sorpresa di Scalfaro, dopo l’azzoppamento di Forlani candidato ufficiale della Dc alla presidenza della Repubblica, le bombe della mafia nelle città, il governo tecnico di Ciampi, il crollo dei partiti di governo.
Ma sono cambiate le leggi elettorali, e la Dc ha affrontato questa delicata e tempestosa fase con una classe dirigente inadeguata (gli aggettivi che sono stati usati sono in particolare due: timida e insipiente, e poi poco coraggiosa). Mino Martinazzoli, che fu definito in quegli anni fatali il Romolo Augustolo della Dc, è stato raffigurato come un commissario liquidatore di una tradizione e di un partito; il curatore fallimentare e l’esecutore testamentario di un partito lacerato, stremato, sbandato.
Martinazzoli, uomo peraltro di grande fascinazione intellettuale e di profonda dirittura morale, era più un teorico che un gestore, e questa sua carenza si è rivelata decisiva nei momenti del crollo della Dc, che già aveva su di sé i segni di una corrosione interna. C’era il tarlo mortale del correntismo sfrenato, le correnti organizzate come tanti partiti nel partito erano giunte al punto di farsi una guerra di posizione dichiarata, come si notò in modo clamoroso durante le elezioni presidenziali del 1992, quando la Dc aveva come candidato ufficiale il segretario del partito Arnaldo Forlani, e la corrente andreottiana capitanata nelle manovre degli scrutini da Cirino Pomicino non faceva mistero di fargli la guerra. E ne impedì la elezione, spianando la strada a Scalfaro, che si rivelò il becchino della cosiddetta prima Repubblica.
La Dc inoltre aveva sì, come tutti gli altri partiti di governo, la ferita di Tangentopoli, ma subiva anche i postumi di una perdita mai completamente elaborata, l’assassinio di Moro e la mancanza di guida di un leader carismatico, che risolveva e sbrogliava matasse politiche difficili. Un leader che in una delle sue strazianti lettere dal covo di quelli che poi sarebbero stati i suoi assassini, in uno di questi giorni di 44 anni fa, era arrivato a vaticinare giorni funesti per il partito da cui si sentiva abbandonato.
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Entrando nell’analisi delle cause, dalla consultazione dei citati esponenti Dc, sono emerse alcune, conclusioni , certo provvisorie e meritevoli di approfondimento politico e storiografico:
Per esempio: la vicenda di Tangentopoli ha inciso sul crollo della Dc ma non è stata una causa scatenante e nemmeno forse la causa principale. Lo stesso si può dire per gli altri partiti di governo, tranne la sinistra Dc, sostiene Bonsignore. La sinistra Dc anzi fu sospinta ad allearsi con le forze di sinistra per creare aggregazioni politiche nuove, per esempio l’Ulivo.
Ma sulla sinistra Dc pesa un’accusa ancora più esplicita da parte di Bonsignore: quella di aver fatto asse con l’allora presidente Scalfaro su una linea giustizialista, che decise chi fossero i buoni da salvare e i cattivi da sommergere. Il decreto Conso, per esempio, che prevedeva la depenalizzazione dei reati di finanziamento pubblico dei partiti – il grimaldello con cui il pool di Milano scardinò i partiti di governo e che Scalfaro poi rifiutò di firmare – fu affossato durante una riunione al Quirinale. E Scalfaro, che in un primo momento si era dichiarato favorevole, cambiò idea: Borrelli e Violante non vogliono, racconta Bonsignore riferendo una fonte.
Scalfaro, che il deputato Dc definisce “il gran sacerdote di tutti i processi”, fu salvato dai comunisti per la vicenda dei 100 milioni (fondi Sisde) e ringraziò. Su Scalfaro Bonsignore rincara poi le critiche osservando: il più importante consigliere dell’allora capo dello Stato chi era? Non certo Michele Zolla come si è spesso creduto, ma l’architetto Sapio, già parlamentare del Pci, che aveva seguito Scalfaro quando era presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sulla ricostruzione dell’Irpinia terremotata.
A proposito di Conso: sul finanziamento, su una sua riforma, si poteva fare qualcosa tantopiù che Craxi aveva fatto il famoso discorso alla Camera, che è stata erroneamente definita una chiamata generale di correità, in realtà era un appello alle forze politiche perché si mettessero attorno a un tavolo per studiare una via d’uscita?
Secondo Luigi Grillo, si poteva fare qualcosa.”Ricordo bene il memorabile intervento di Craxi alla Camera nel 1993, in cui il segretario socialista affrontò di petto il fenomeno del finanziamento pubblico dei partiti e le sue degenerazioni, dicendo che era una cosa che riguardava tutti i partiti. E infatti aggiunse questa frase: chi sostiene il contrario si alzi e lo dica in quest’aula e i fatti si incaricheranno di dichiararlo spergiuro”.
Nessuno si alzò. I generali dc invece di prendre atto e collaborare a una soluzione del problema preferirono stare sulla sponda del fiume aspettando che passasse il cadavere, che in quel caso era quello di Craxi. Poi ci ha pensato la procura di Milano a occuparsi dei socialisti e degli altri partiti.
Secondo Grillo, la Dc fu miope. Invece di prendere atto del discorso–denuncia di Craxi e affrontare di petto il problema preferì arroccarsi, mettersi sulla sponda del fiume.
Di più. Dopo che Craxi ebbe finito il suo discorso – racconta Bonsignore – De Mita non mollò un attimo Forlani, per impedirgli di fare dichiarazioni o prendere qualche iniziativa.
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Un’altra causa che più di uno dei partecipanti ha messo in campo è “l’insipienza della classe dirigente della Dc in quegli anni”. Martinazzoli – dice Luigi Grillo – non ha mostrato coraggio nel difendere il patrimonio politico e culturale della Dc.
È la tesi anche di Vito Bonsignore che esplicitamente dice: “Andreatta e i suoi cari insieme a Scalfaro e alla magistratura milanese hanno fatto un colpo di Stato”.
“L’insipienza dell’allora classe dirigente” – ha notato a sua volta Formigoni – si nota anche in questa circostanza: poche settimane prima dell’avvio dell’inchiesta di Mani pulite, il Parlamento aveva cancellato il reato di finanziamento dei partiti proveniente dall’estero. Un regalo – commenta l’ex presidente della regione Lombardia – ai comunisti, che erano stati finanziati da anni dall’Urss, cioè dal nemico dell’Occidente. E mettendo un carico da 11 Formigoni accusa il suo ex partito di allora di non essersi adoperato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta su un fenomeno che ha cambiato la storia del nostro Paese; il fenomeno “è il colpo di Stato della magistratura contro il sistema dei partiti, che avevano garantito il progresso e la rinascita democratica del Paese”. Tante commissioni d’inchiesta, ha notato Formigoni, sono state fatte prima e dopo in Italia, ma questa che era indispensabile, no.
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L’autocritica generazionale di Formigoni
Tra le ragioni del crollo della Dc, ci sono anche ragioni di carattere internazionale, illustrate da Formigoni. Gli Usa che erano stati sostenitori della Dc per anni, quando è crollata l’Unione sovietica nel ’91, hanno deciso che non c’era più bisogno della diga anticomunista, di cui la Dc era stato per anni l’ avamposto italiano. E la Dc fu messa da parte.
C’entra anche il processo di secolarizzazione nella decadenza e nella caduta della Dc? Secondo Formigoni, no. E porta l’esempio della Germania, dove la secolarizzazione c’è stata ma la Cdu non è sparita. La conclusione dell’ex presidente lombardo, che si dichiara ancora per il centrodestra anche se è diviso e disunito, e non vede grande futuro per partitini, capi e capetti, è un’autocritica generazionale: “Metto sotto accusa la mia generazione. Cosa abbiamo fatto per far rinascere un partito di centro di ispirazione cristiana”?
Un’autocritica apprezzata da Tufarelli, che ha peraltro lamentato una carenza attuale sul versante della formazione politica, facendo questo esempio: guardiamo gli staff a livello ministeriale: o sono persone di famiglia, conoscenti, o sono funzionari della Camera e del Senato.
Per Rotondi, la Dc è stata rovinata dall’abbandono del proporzionale , che creava anche un equilibrio tra le correnti, e dalla introduzione delle elezioni dirette dei sindaci, presidenti di Provincia e di Regione. Con l’abbandono del proporzionale la Dc ha firmato la sua condanna. Rotondi ha poi avuto un pensiero per Arnaldo Forlani, segretario Dc e presidente del Consiglio, più volte ministro ed europarlamentare, deputato, che ha la veneranda età di 96 anni: un partito che esprime il capo dello Stato “non trova il modo di onorare questa grande figura di Servitore dello Stato, e non lo si va neanche a trovare”. Quasi ad attenuare la sensazione di ingratitudine, da parte delle istituzioni, Rotondi cita un ex grande Cancelliere tedesco: Kohl certo è stato trattato peggio. La Merkel ha collaborato con la moglie per farlo interdire.
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Se non la rinascita, almeno l’aggregazione dei piccoli partiti di centro può servire? Manca un leader.
Può essere, questo, un modo per ricostruire la Dc? Anche Rotondi, come Formigoni e Piccoli, è scettico su questa prospettiva; e Camaiora, inserendosi nella discussione, ricorda che da sempre la matematica e la politica non vanno d’accordo: due più due non fa quasi mai quattro, spesso tre.
E poi c’è un aspetto che Formigoni soprattutto annota: manca un leader. I leaderini esistenti certo si potrebbero aggregare, insieme potrebbero conseguire anche qualche risultato e sperare di avere un peso nella politica italiana. Ma che ce ne facciamo di partitini così? Oggi capi e capetti di questi partitini si dichiarano di centro, vantano chi più chi meno una timida ispirazione cristiana, ma sono ininfluenti.
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Le cause del crollo della Dc si trovano anche Oltretevere
Tra le cause del Grande Crollo c’è chi, come Flavia Piccoli Nardelli, deputata del Pd, ha inserito l’Oltretevere. La crisi della Dc non si può spiegare con Tangentopoli, che è stata solo un pezzetto delle cause reali. La crisi è più profonda. E’ una crisi che nasce anche Oltretevere. Da quando sono spariti i luoghi di formazione della classe dirigente, come l’Azione Cattolica.
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È possibile una rinascita della Dc?
Secondo Flavia Piccoli è rimasto un patrimonio di valori, dei De Gasperi, Fanfani, Moro, Sturzo, Piccoli, valori che ovviamente vanno coniugati con i tempi nuovi. Bisogna fare un lavoro serio per elaborare una proposta, una iniziativa, che non deve essere necessariamente di marca democristiana, ma una iniziativa ancorata ai bisogni reali, che non dimentichi quello che è stata un fattore importante di progresso del Paese: l’ascensore sociale.
Luigi Grillo crede sia difficile rilanciare il partito pur avendo un patrimonio culturale unico. C’è però il Ppe, come punto di riferimento, in Italia si dovrebbe sventolare la sua bandiera.
Ricostruire non è facile neanche per Bonsignore: ci vogliono tempi lunghi per riproporre i valori della Dc, ma prima, in ogni caso, si dovrebbe stilare una mappa dei poteri veri che ci sono in questo Paese.
E lo storico Alessandro Duce cosa ne pensa?
Intanto osserva che il centro in Italia è stato annientato , centrodestra e centrosinistra hanno fatto di tutto per eliminare come forza e come peso le forze di centro. Hanno eliminato le forze politiche di quell’area però, paradossalmente, ne hanno ereditato le scelte, e ne praticano le politiche. Insomma ne hanno semplicemente preso il loro posto.
E a proposito del richiamo al Vaticano, Duce ricorda che la gerarchia ecclesiastica ha favorito la presenza dei cattolici in tutte le formazioni politiche, per cui la Dc non ha avuto più il monopolio della rappresentanza politica dei cattolici.
Certo – afferma Duce – è difficile, se non impossibile, che possa rinascere un partito dello spessore della Dc. Solo chi non conosce le radici di un partito così può credere che sia una operazione facile o possibile. È problematico pensare di dar vita a un partito con la stessa celerità con cui sono sorti fenomeni partitici recenti (Forza Italia e 5 Stelle). Anche se – e Duce non si lascia sfuggire di notarlo – è un curioso paradosso della storia che nel momento in cui con il crollo della esperienza sovietica è crollato il comunismo, i partiti che avevano combattuto tutto questo in difesa della libertà si siano trovati oggetto di attacchi giudiziari, che li hanno portati al declino se non alla scomparsa.
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Che fare allora? Lasciare che questo patrimonio ideale si disperda definitivamente?
Rotondi la vede così: quello che possiamo fare è una intensa attività culturale. E citando una frase di Martinazzoli, che lo chiamava affettuosamente “Rotondino”, dice: occorre costruire una prospettiva, sviluppare un’azione culturale, piantando metaforicamente nuovi alberi. La vecchiaia – diceva Martinazzoli – è l’età in cui si piantano alberi che non vedremo crescere.Ricostruire la Dc? Flaminio Piccoli ci mise la faccia, andò a trovare Berlusconi, quando non era ancora sceso in politica, gli parlò per due ore riuscendo a convincerlo a iscriversi alla Dc. Ma poi le cose andarono in altro modo.
Ricostruire la Dc mi pare impossibile. Nell’elettorato c’è una domanda di Dc, ma noi il partito non lo vogliamo fare. Gli fa eco il professor Sandro Duce, secondo il quale in Italia c’è un’aspettativa di Dc, c’è un elettorato in attesa di un messaggio, c’è un elettorato che si astiene e non va a votare ( così Luigi Grillo). Una domanda di Dc insomma esiste ma occorrono leader, mezzi, idee un gran lavoro da fare.
Il paradosso ma non tanto: la Dc… esiste!
Per controcanto, un po’ seriamente e un po’ sul filo del paradosso, è aleggiata anche questa tesi: la Dc è finita? Ma quando mai! La Dc non è morta. La Dc continua a esistere (nel Pd), ha deputati, senatori, ministri, esprime il presidente della Repubblica, osserva Duce. Più esplicito Bonsignore: la sinistra Dc si è mangiata i comunisti; se li fanno rientrare (dopo la scissione che ha portato alla nascita di “Liberi e uguali”, NdR) ci sarà forse un riequilibrio.
Gli oligarchi? ci sono anche in Italia
Un cenno quanto mai attuale, che richiama l’invasione russa dell’Ucraina, è di Bonsignore: si parla tanto di oligarchi russi. “Ma da noi forse non ci sono gli oligarchi? E le privatizzazioni organizzate sul ‘Britannia’ a chi sono andate? A gente iscritta al Pd: Benetton, De Benedetti, Colaninno”.
Le conclusioni del professor Duce
È toccato al professor Duce provare a trarre le conclusioni ( ovviamente provvisorie). Ha ricordato il patrimonio e le conquiste della Dc, il partito che ha pilotato il Paese, De Gasperi e il Trattato di pace (conferenza di Parigi), la Dc che ha introdotto l’economia di mercato, ha fatto decisive scelte sul piano internazionale (Unesco, Onu), e ha portato l’Italia ad aderire alla Nato, a essere tra i fondatori dell’Europa…
“C’è stato – ha aggiunto Duce, riprendendo alcuni concetti espressi dai presenti – un golpe giudiziario ma c’è stata anche l’accettazione della colpevolezza da parte del gruppo dirigente del partito”. Sono stati cauti e improvvisati riformatori, cambiarono il nome del partito e hanno sostituito il ceto parlamentare e politico. Tutto ciò, secondo una tesi di Cossiga, è stato anche effetto di una delle onde lunghe della tragica vicenda di Moro.
Ci sarà un supplemento di analisi.
Mario Nanni – Direttore editoriale