Per capire l’arte ci vuole una sedia

Jan Fabre, dopofestival parte seconda

Cinque monologhi per 4 donne: “Love and beauty arte the powers supreme” (Milano, 10 settembre-14 ottobre 2024, Teatro Out Off)

Per capire l’arte ci vuole una sedia

Pubblichiamo la seconda parte delle recensioni delle performance in corso al Festival dedicato dal maestro belga Jan Fabre a cinque attrici performer della compagnia Troubleyn.

Höttler agli applausi la sera della prima di I’m sorry. Testo: Jan Fabre & Stella Höttler. Costumi, set & regia: Jan Fabre. Music Editor: Alma Auer. Musica: Johann Sebastian Bach, Matthaus-Passion, eseguita dai Wiener Philharmoniker diretti da Wilhelm Furtwängler (1954). Drammaturgia: Miet Martens: Disegno luci e filmati: Wout Janssens. Foto dell’autrice

 

“I’m sorry” è il nuovo mantra del manifesto femminista controcorrente di Jan Fabre. Stella Höttler lo ha ripetuto 90 volte in un’ora, mentre percorreva con le parole il proprio corpo e la propria emotività centimetro per centimetro, organo per organo, sensazione per sensazione, durante la prima mondiale della performance intitolata proprio I’m sorry (“Mi dispiace”) sul palco del Teatro Out Off il 18 settembre.

Höttler è bionda, alta, brava in quello che fa e poliglotta (quest’ultima capacità è una delle doti professionali di cui si scusa: “La mia lingua carnosa e languida sa essere magica e pungente in cinque lingue”); ma si è scusata (in italiano e in inglese) con sé stessa e col pubblico perché è bianca, perché è tedesca, perché ha una pelle sensibile e sottile come quella di una farfalla, perché cura molto il suo corpo, perché ha “il colore normale dei denti curati” ma non scialbati color “bianco-lavandino”, perché le sue spalle e le sue braccia sembrano dipinte da Rubens, perché è eterosessuale, perché è una femminista che non odia gli uomini, perché è intelligente, perché è una performer capace di prove di resistenza estrema dirette da Fabre durante le quali si diverte sommamente:

Höttler in Mount Olympus. To glorify the cult of tragedy, a 24 hour performance (2015). Ideazione e regia: Jan Fabre. Testo: Jeroen Olyslaegers, Jan Fabre. Musica: Dag Taeldeman. Drammaturgia: Miet Martens. Foto: Wonge Bergmann©

 

Sono un fenomeno astronomico che durante le ventiquattro ore dello spettacolo teatrale Mount Olympus se l’è goduta tantissimo saltando per venticinque minuti con la corda con le catene di Prometeo. Tutto il mio corpo piangeva di piacere e nello stesso tempo mi sentivo incredibilmente vulnerabile e forte. Portavo con orgoglio il titolo di Guerriera della bellezza. I’m sorry. […] Durante ogni rappresentazione di Mount Olympus, To glorify the cult of tragedy, ho ballato ogni volta di nuovo di fronte alla morte. Ero una sacerdotessa che come un’ossessa si sacrificava ai ritmi estatici della musica Taranta, eccitata e orgogliosa, grata di vivere.

Una scena di Mount Olympus. To glorify the cult of tragedy, a 24 hour performance. Foto: Wonge Bergmann©

Höttler si è scusata perché riceve standing ovations e recensioni superlative, perché mangia di tutto restando in forma ed è pure ghiotta di cioccolata, perché non ha idiosincrasie alimentari, perché è uno spirito libero, perché ama ed è riamata, perché mostra sul palco una bellezza botticelliana e rubensiana, classica (evidenziata dalle immagini di ogni singola parte del suo corpo descritta lenticolarmente nel monologo, con l’aggiunta di proiezioni speculari e ingrandite dei dettagli sopra i due teli bianchi che erano ai lati della scenografia). Questa avvenenza femminile non risponde a canoni mediatici contemporanei e dunque l’invidia della gente suscita risate e commenti: “le persone pensano spesso che io sia stoned o arrogante”, “negli ultimi anni mi è capitato regolarmente”. “Fingo di non sentirli o vederli ridere. Si sentono superiori ed eccellenti nei confronti della mia vulnerabilità e apertura”.

Perché mai la gente dovrebbe ridere vedendo lavorare un’artista dedita al suo lavoro e con l’aspetto indubbiamente attraente di Höttler? Fabre e Höttler lo hanno spiegato durante i giorni delle recite milanesi. Il testo di I’m sorry è stato formulato compiutamente da Fabre pochi mesi fa, durante una vacanza con la famiglia a Muscat, Oman, tra dicembre 2023 e gennaio 2024. Il monologo, scritto insieme a Höttler, scaturisce da un evento fortuito e fastidioso, accaduto qualche mese prima durante una recita a Budapest di Resurrexit Cassandra di cui Höttler era protagonista unica (Resurrexit Cassandra, evocato direttamente in una scena di I’m sorry, è lo stesso monologo che nella versione per l’Italia Fabre affidò con successo a un’ardente Sonia Bergamasco).

Höttler in Resurrexit Cassandra (2019). Regia: Jan Fabre (con 5 schermi in scala al vero con i quali l’attrice interagisce). Testo: Ruggero Cappuccio. Musica: Arthur Lavandier. Drammaturgia: Miet Martens. Foto: Anastasia Blur©

 

Durante la recita ungherese di Resurrexit Cassandra, Höttler ha pagato uno dei prezzi che pagano di continuo le donne belle, intelligenti e ambiziose: “Per via del mio aspetto esteriore non mi si prende sul serio. Li sento e li vedo ridere”, spiega l’attrice durante I’m sorry. Mentre la performance era in corso, Fabre in platea ha visto due spettatrici anziane e piuttosto corpulente ridere e confabulare di continuo; si è fatto tradurre le conversazioni dall’interprete locale che lo assisteva e si è reso conto con sorpresa che nessun commento riguardava aspetti tecnici, ma che le signore vivisezionavano il volto e il corpo di Höttler criticandone ogni dettaglio. Fabre ha riferito l’episodio a Höttler e, insieme, hanno deciso la sera stessa di scrivere un monologo nel quale un episodio occasionale sarebbe diventato un manifesto nel quale moltissime donne avrebbero potuto riconoscersi, senza provare vergogna di essere sé stesse.

Dopo gli applausi scroscianti a conclusione della prima, l’atmosfera coinvolgeva tutti noi in una commozione venata di ironia per gesti e parole che dovrebbero essere visti e ascoltati da molte signore che si sentono perbene perché la verità dell’arte le spaventa e da molti uomini che hanno paura delle donne che non stanno in un angolo (“stai zitta” e “stai al tuo posto” sono i mantra che molti uomini ripetono alle donne quando osano guadagnarsi un posto alla pari con loro o magari superiore, nel lavoro e nella vita familiare: lo spiegò chiaramente Michela Murgia col libro Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, Einaudi 2021). Questa Ofelia forte e dolce che scivola su un pavimento di foglie autunnali sollevate dai ventilatori sulle note della Passione secondo Matteo di Bach (il cui coro finale fu già straordinaria colonna sonora di Accattone e del Vangelo secondo Matteo di Pasolini e di Casino di Scorsese) dovrebbe girare il più possibile nei teatri italiani per fungere da specchio in cui dovrebbe guardarsi una delle società tornate a essere tra le più retrograde dell’Occidente nei confronti delle donne in virtù dell’avanzare delle destre fasciste. Il Festival all’Out Off è la prima occasione che rilancia fruttuosamente il teatro performativo unico al mondo di Jan Fabre. A seguire, I’m sorry sarà al Campania Teatro Festival (a cura di Ruggero Cappuccio) il 10 e l’11 dicembre in Sala Assoli a Napoli (lo stesso spazio ospiterà prima, il 12 e il 13 novembre, due recite di Io sono un errore con Irene Urcioli, che ho recensito nella prima parte di questo Dopofestival il 17 settembre: https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-dopofestival-5-monologhi-per-4-donne-al-festival-jan-fabre/).

Intanto a Milano Stella Höttler il 19 settembre ha inaugurato con Jan Fabre la mostra Stella alla Galleria Gaburro (fino al 13 ottobre, a cura di Melania Rossi). In uno spazio allestito con disegni e sculture di Fabre e un’installazione video proiettata in loop su vari schermi, Schande übers ganze Erdenreich! (Vergogna su tutto il regno terrestre!), la performer tedesca è di nuovo la profetessa Cassandra in estasi. La mostra ospita anche Smoking Stella, serie di fotografie in multipli originali, in cui Höttler indossa i costumi di scena nel backstage e, su un divano, maneggia in sequenze dinamiche una sigaretta accesa guardando sempre dritto nell’obiettivo analogico di Fabre, che ancora una volta ha innestato le citazioni dalla luce della pittura d’interni fiamminga rinascimentale e secentesca sulla tradizione più recente della fotografia erotica patinata degli anni Settanta.

Jan Fabre, Smoking Stella, 2020, fotografia analogica su alluminio. Edizione di 30, 23.5x35x0.1cm. Foto: Angelos, Jan Fabre. Parallelo42©

 

Alla fine di I’m sorry, gli invidiosi non hanno gli occhi cuciti dal filo di ferro (non dimenticate, del resto, che il Festival Fabre è improntato ai valori dell’Amore e della Bellezza, non al feroce sanguinolento contrappasso dantesco); semplicemente, sono condannati a subire una metamorfosi (un poco kafkiana e molto fabriana) in un animaletto non particolarmente intelligente: “le persone che deridono una stella finiscono in una boccia di vetro come un pesciolino rosso”. Queste parole svelano il significato dell’iconografia del ritratto di Höttler stretta in bustino di broccato, gorgiera secentesca e una boccia con un  pesce rosso in mano sulla foto della locandina di I’m sorry.

Höttler fotografata da Hanna Auer© per la locandina di I’m sorry

 

Concludendo “I’m sorry”, Höttler chiede scusa proprio per la collaborazione professionale con Fabre: “I’m sorry che amo l’artista fiammingo che mi ispira. I’m sorry che l’artista fiammingo è ispirato da me. I’m sorry che amo la sua personalità e il suo carattere. […] I’m sorry che sto lavorando con Jan Fabre”,  profetizzando (come Cassandra) la metamorfosi degli invidiosi proprio mentre lei si accinge a congedarsi:

“Lo vedo davanti a me lo scenario dell’ultima nostra creazione teatrale. Uno spazio recitativo con centinaia di bocce di vetro e in ogni boccia un pesciolino rosso”. Dopo la prima, quasi nessuno è stato trasformato in un pesciolino rosso. Ma se qualcuno dei presenti al mattino si è risvegliato pesciolino in un acquario, ricordi che certe metamorfosi si compiono perché l’arte non è faccenda di persone perbene (Lea Vergine dixit, e sottoscrivo anche stavolta).

P. S. Per chi ne ha voglia, di seguito si trova il link per lo streaming della puntata “2. Etere” di Bolzano 29, a cura di Oliviero Ponte Di Pino e Giulia Alonzo, in cui il giorno della prima di I’m sorry ho parlato dell’arte visiva e performativa di Fabre insieme ai due attori e performer di Troubleyn Stella Höttler e Matteo Franco e a Melania Rossi: https://www.youtube.com/watch?v=nfaZl2zHODw

Messaggio per pesciolini e (soprattutto) pescioline perbene: ci siamo divertiti. I’m sorry.

 

 

Floriana Conte – Professoressa di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Accademica dell’Arcadia

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