Pavlov e populismo penale: inasprire le pene. Ma già Dante: le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

Da diversi anni il nostro sistema politico, seguendo i media e l’indignazione popolare, risponde alle tragedie introducendo nuove fattispecie di reato e pene più severe. Ma l’unico beneficio di assecondare l’onda emotiva che accompagna questi drammatici eventi è raccogliere consensi e nessun risultato in termini di deterrenza

Ogni volta che viene commesso un omicidio efferato, specie se si tratta di femminicidio o di omicidio stradale, puntualmente si leva alto il coro che chiede l’inasprimento del regime sanzionatorio o l’introduzione di nuovi reati.

Se questo comportamento può essere comprensibile se proveniente dall’opinione pubblica, si comprende meno se praticato dalla politica, la quale dovrebbe tenere a bada la voglia di rincorrere lo sdegno del popolo che chiede giustizia o vendetta, dal momento in cui il suo compito è quello sì di ascoltare i pensieri, le preoccupazioni e le paure dei cittadini – magari scoprendo che le leggi già ci sono però si tratta solo di porre mano ad esse- ma non di potenziarli e di alimentarli parlando “alla pancia” della gente.

Eppure accade spesso proprio questo, quando, al verificarsi dell’evento drammatico, cavalcando l’ondata di sdegno popolare, l’intera classe politica annuncia, tramite pompose dichiarazioni in tv e via social, proposte di legge volte ad aumentare le pene o addirittura ad introdurre nuove fattispecie di reati.

Nelle ultime settimane questo è successo più volte, sia dopo l’omicidio di Giulia Tramontano, la povera ragazza assassinata dal fidanzato a Senago, nel Milanese, sia dopo l’incidente di Casal Palocco, alle porte di Roma, che ha causato la morte del piccolo Manuel.

Nel primo caso, percepita l’indignazione (giusta e comprensibile) che l’opinione pubblica aveva manifestato nei confronti dell’assassino, il Consiglio dei Ministri, pochissimi giorni dopo l’omicidio, ha varato un disegno di legge contro la violenza sulle donne, il quale si concentra quasi interamente sulla prevenzione (predisponendo, ad esempio, l’arresto in flagranza differita entro le 48 ore per stalking), senza però tenere conto che l’assassino di Giulia non era uno stalker e non era mai stato raggiunto da misure cautelari né tantomeno da denunce, e che dunque, come ha affermato la ministra Roccella “nessuna legge avrebbe potuto salvare”.

La medesima situazione si è determinata dopo la tragedia di Casal Palocco, con il ministro Salvini che ha annunciato subito la necessità di inasprire le pene in tema di sicurezza stradale, introducendo modifiche al Codice della strada. Anche in questa circostanza, così come avvenuto nel caso dei rave la scorsa estate, la volontà  politica è stata quella di cavalcare il caso mediatico, non tenendo conto, tuttavia,  che, come ha sottolineato Gianluca De Rosa sul Foglio, solo alcune delle misure annunciate da Salvini entreranno nel nuovo codice, dal momento in cui le sanzioni per chi guida sotto effetto di stupefacenti o in stato di ebbrezza sono già molto pesanti, ed il vero problema (lo dimostrano i dati) riguarda la carenza di controlli e non l’assenza di norme.

 

Matteo Salvini

 

È importante, inoltre, sottolineare che, la legge sull’omicidio stradale, introdotta nel 2016 dal Governo Renzi, anch’esso assecondando l’onda emotiva e le pressioni mediatiche che chiedevano una legge apposita, non ha comportato un deciso calo delle vittime autostradali o delle persone ferite a causa degli incidenti, dimostrazione di come la durezza sanzionatoria o la previsione di nuove fattispecie di reati non comporti benefici e non assicuri alcun effetto di deterrenza.

 

Matteo Renzi

 

Ecco perché si può (anzi si deve) dire che l’uso del diritto penale per scopi propagandistici è un comportamento che dimostra le palesi ed ormai enormi difficoltà del sistema politico odierno, sempre più sommerso e auto-soffocato dalla continua necessità di ottenere (o mantenere) consensi in un periodo storico ormai consolidato di campagna elettorale permanente, di operare in maniera logica e razionale, senza possedere quella capacità che dovrebbe caratterizzare la classe politica, vale a dire l’abilità di porre in essere delle misure diverse per il bene collettivo, spogliate dall’emotività che invece coinvolge l’opinione pubblica, e di affrontare fenomeni sociali pericolosi con una impostazione più profonda e meno semplicistica, quasi da riflesso condizionato.

Ma il tema non riguarda esclusivamente il diritto penale e l’introduzione di nuove fattispecie di reato, bensì apre una questione decisamente più grande, ossia l’errata convinzione, ormai sempre più frequente, del nostro legislatore, che si possano ottenere risultati solamente attraverso la legiferazione di nuove norme (ne è un esempio il caso del Decreto dignità del 2018, per cui si vollero raggiungere obiettivi che non nuove leggi, ma solamente la crescita economica avrebbe portato).

Cercare continuamente, quindi, di dare risposte alle tragedie che si verificano mediante l’emanazione di nuove norme può determinare l’effetto contrario, dal momento in cui, come scrive il giurista Natalino Irti nel suo libro “Viaggio tra gli obbedienti”, l’eccesso di norme equivale a nessuna norma.

 

Natalino Irti

 

A tal proposito, non può, ogni volta che si parla di introdurre nuovi reati e di inasprire le pene già previste nel nostro codice, non venire in mente lo scritto polemico di Vilfredo Pareto, “Il mito virtuista e la letteratura immorale”, in cui il grande intellettuale ed economista, nel periodo in cui in Europa, nei primi anni del ‘900, imperversavano rigide ondate di moralismo, invitava il governo italiano a non seguire quell’oltranzismo intollerante e perbenista, ma piuttosto di occuparsi delle tematiche serie che toccavano seriamente l’Italia. Pareto, sempre in quello scritto troppo poco letto, poneva l’attenzione sul rischio che l’eccesso di norme restrittive possa (potesse) determinare l’incremento di sentimenti anarchici e, di conseguenza, l’inosservanza delle norme stesse.

 

Vilfredo Pareto

 

Ci sarebbe poi da fare, ma lo faremo un’altra volta, un discorso sulla proliferazione delle leggi: negli anni Ottanta Craxi si fece paladino della battaglia per una robusta delegificazione (dove si può, invece di una legge un atto amministrativo), e infatti gli anni successivi ci furono cancellazioni di migliaia di leggi (il famoso falò di Calderoli).

 

Alessandro Manzoni

 

Non abbiamo sottomano le statistiche al riguardo, ma l’Italia notoriamente è il paese in Europa che ha una intera foresta legislativa, dove al cittadino comune è difficile orientarsi, piena com’è di una miriade di sentieri spesso interrotti. Prima si accennava a padre Dante. Un altro grande Italiano, Manzoni, nella memorabile descrizione della peste milanese, ha spiegato il meccanismo della famose gride: il cui senso, tradotto in termini contemporanei, era: non erano applicate e forse neanche conosciute, e allora venivano intensificate e aggravate, ma con risultato quasi nullo.

 

Dante

 

Rispondere a un fenomeno con il riflesso pavloviano di fare una nuova legge o di inasprire quella vigente tra l’altro comporta una visione della società di tipo giudiziario o carcerario, invece di puntare su altri sistemi: la scuola per esempio, campagne di pubblicità progresso, campagne straordinarie di formazione, educazione, sensibilizzazione. I social, tanto demonizzati, sarebbero un formidabile strumento a questa opera di civismo, socialità, umanità. Vengano mobilitati psicologi, sociologi, educatori in iniziative comuni e capillari nel Paese.

In conclusione, lo ribadiamo: può rivelarsi illusorio e soprattutto drammaticamente efficace scoprire, dopo aver fatto una nuova legge, o averla aggravata, che l’effetto deterrente non c’è stato.

D’altra parte, sono le statistiche a dirlo: non c’è una relazione chiara e soprattutto univoca tra inasprimento delle pene e diminuzione dei reati.

 

Francesco SpartàGiornalista

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