Paolo Cucchiarelli, tu sei un grande esperto di misteri d’Italia oltre a Ustica e a Piazza Fontana ti sei dedicato in particolare al caso Moro su cui hai scritto due libri. La vicenda Moro è cruciale nella recente storia italiana e ci dice molto sul nostro Paese, sulla sua classe politica e sul suo grado di autonomia e sulla stessa agibilità democratica. Cosa hai scoperto di nuovo? C’è qualcuno che ti ha messo i bastoni tra le ruote?
I due libri, Morte di un Presidente (2016) e L’ultima notte notte di Aldo Moro (2019) rappresentano l’unica lettura alternativa rispetto alla vulgata giudiziaria, pubblicistica e storica del rapimento, della prigionia e della uccisione del Presidente della Dc, perché srotolano una storia del tutto diversa e mai tentata finora; una vicenda che registra la presenza preminente di strutture clandestine dell’intelligence americana, l’utilizzo di diverse prigioni, una sostanziale conoscenza del tutto da parte di tutti i partecipanti alla vicenda, intendendo con questo il fatto che lo Stato sapesse dove era Moro e i Br sapevano che lo Stato conoscesse tutto l’essenziale. Una terribile e snervante partita a carte scoperte. Una storia incredibile ma vera, come ha segnalato più volte Maria Fida Moro, la primogenita di Aldo scomparsa purtroppo pochi mesi fa. Altro elemento innovativo è che la trattativa ci fu, giunse a buon fine ma Moro venne assassinatoper un intervento esterno nel momento della liberazione all’alba del 9 di maggio del 1978 in un garage della Guardia di Finanza, che aveva ricevuto la segnalazione sulla prima prigione di Moro in via Massimi 91, in un immobile dello Ior, e aveva offerto la penultima prigione prima dell’ultimo spostamento a Roma ospitando Br e Moro che attendeva appunto di essere liberato in uno stabilimento, Il Gabbiano di Fregene, che ospitava d’estate gli uomini della Guardia di Finanza e il loro dopolavoro estivo.
Fonti di alcune di queste novità sono tre persone che spesso incrociano le loro rivelazioni: il Professor Peppino De Lutiis, il maggiore studioso delle vicende dei nostri servizi segreti che raccolse una precisa confidenza durante una pausa di una audizione davanti la Commissione stragi presieduta da Giovanni Pellegrino; il Prefetto Vincenzo Parisi che a lungo fu Capo della Polizia e del Sisde, un vero e proprio “uomo dei segreti” della Prima Repubblica.
Anche Licio Gelli, in una intervista pubblicata da Il Fatto poche ore dopo la sua morte, ha confermato che Moro venne portato l’ultima notte in un immobile vicino via del Corallo gestito dalla GdF all’epoca, un immobile del Demanio, oggi utilizzato dal Senato della Repubblica. Gelli aggiunge altri particolari che si incrociano con le precedenti fonti. Tre fonti convergenti costituiscono, anche per la magistratura, un elemento di prova. C’è ancora molto da raccontare sulle ultime ore di Aldo Moro. Il prossimo libro su cui sto lavorando Ustica&Bologna. Attacco all’Italia affronterà quello che è accaduto prima di via Fani e il 16 marzo 1978 e anche questo conterrà molte novità sia su chi si mosse per arrivare a quell’agguato sia sulla dinamica della giornata. Ogni agguato – e via Fani lo è in maniera esemplare – ha tre elementi essenziali: rapidità, 3 minuti circa; spietatezza, 5 morti ed un rapito, e gli inganni: questi ancora a quasi 50 anni dai fatti resistono ancora ma qualcuno cadrà con questo ultima inchiesta sulla vicenda Moro.
Per quanto riguarda i tuoi libri la famiglia Moro ti ha dato qualche riscontro? hai avuto occasione di confrontarti con loro?
I riscontri cari e importanti sono venuti da Maria Fida e Luca Moro, il destinatario di tante delicatezze nelle lettere del Presidente. Il resto della famiglia tace o meglio sembra aver intrapreso la strada della conciliazione e della pacificazione anche a costo della rinuncia a capire. La famiglia Moro è uscita profondamente divisa dai 55 giorni. Sarebbe importante capire perché e per cosa.
Noto anzi da parte di Giovanni Moro un certo fastidio per un cold case infinito, un po’ come il caso Kennedy negli Usa e forse questo parallelismo si rivela illuminante per capire la reale dinamica di via Fani.
La fonte Contessa che in punto di morte rivelò quanto appreso per presenza di ambiente e nell’ambito del suo lavoro di intelligence al servizio di strutture Usa e israeliane. Contessa è un eminente uomo di cultura con una variegata produzione ed era compagno di classe di Alessio Casimirri nonché molto interno al mondo di Potere operaio. Le rivelazioni di Contessa sono state tutte riscontrate positivamente. Una delle tante è che il penultimo luogo di prigionia di Moro in attesa della liberazione è un immobile, con negozio di stoffe al piano terra, all’incrocio tra via dei Falegnami e via Sant’Elena 8, nel ghetto di Roma. Quest’ultimo luogo era già stato individuato nell’ambito dei lavori della Commissione Stragi come una importante base Br a due passi da dove venne lasciato il messaggio n.1 delle Br, con annessa foto di Moro. In questo immobile Moro scrive quel messaggio, probabilmente l’ultimo, in cui impreca contro i maggiorenti Dc e ringrazia le Br per la prossima liberazione. Contessa ha illustrato altre verità, alcune veramente difficili da accettare, ma sicuramente illuminanti per capire le molte mani intervenute nella vicenda.
Oltre a questi due libri c’è anche un recente docufilm intitolato “Non è un caso”, Moro che è ispirato ai risultati della tua inchiesta. Si tratta di un film “carbonaro” che circola a scartamento ridotto, quasi solo in cineclub e quasi mai in cinema di grandi catene. Lo stai portando in giro? E quali riscontri hai avuto? sicuramente avrai anche incontrato degli ostacoli, chi fa opposizione?
Non è un caso, Moro è un dokufilm autoprodotto e auto realizzato per evitare manipolazioni e differenziazioni dal testo dei due libri che lo hanno ispirato. Ci sono stati tentativi di “acquistare” l’inchiesta filmica ma sono stati respinti ed ora Tommaso Minniti, il regista e io giriamo l’Italia per presentarlo li dove ci viene permesso. Il film sgomenta, commuove, tocca corde profonde ma certamente noi rompiamo le scatole a fronte dei grandi mezzi messi a disposizione per Bellocchio cui è stato demandato il compito (o se lo è auto attribuito) di sotterrare per sempre la vicenda Moro. Chi legge i libri e chi vede il dokufilm capisce, tocca con mano una ben diversa verità e la sua visione cambia per sempre, ho visto facce sgomente, commosse, turbate nello scoprire quante cose gli sono state nascoste, cose che sono negli atti ufficiali perché tutto il materiale utilizzato è pubblico, ufficiale, frutto delle perizie e del lavoro della polizia scientifica nel 1978.
È quel materiale a raccontare una ben diversa verità. Io l’ho solo riesumato e Minniti l’ha trasposto nel film. Gli ostacoli sono stati innumerevoli. Il dokufilm è ignorato dai grandi circuiti ma non ce ne lamentiamo: ci bastano gli applausi e lo sguardo felice di chi ci ha intercettato a Roma, Milano, Torino e in tante città d’Italia dove andremo ancora rispondendo ad ogni invito ci venga.
Altra cosa su cui si è scritto molto sono le modalità di svolgimento del sequestro. I brigatisti sostengono di avere agito in autonomia, anche se varie risultanze suggeriscono la presenza di due commandos e parlano un attacco rivolto alla macchine di Moro e della scorta proveniente da due direzioni diverse. Secondo te, la narrazione dei brigatisti in che misura è è attendibile? ti senti di confermare il contributo di soggetti esterni al momento del sequestro?
Ogni volta che vado in via Fani, e ci sono stato centinaia di volte negli ultimi decenni, mi turba il vedere che uno spazio così piccolo possa contenere un segreto tanto vasto ed importante come quello della partecipazioni non di altri soggetti diversi dalle Br ma di altre componenti internazionali ai fatti di via Fani. Si, c’è dell’altro, ma è una cosa semplice, senza fitcion che è il cancro della realtà: lo Stato e le Br hanno una convergenza di interessi nel far rimanere via Fani e l’intera vicenda una storia solo italiana. Così non è, ma la convergenza di interessi è stata solida, ampia, pervasiva e durevole; spezzarla non è facile. Ci sono soggetti esterni internazionali e ho capito in tanti anni che la maggior parte dei depistaggi dei servizi italiani mira a celare la presenza internazionale: i fascisti di On per Piazza Fontana si addestravano nelle basi Nato. Me lo spiegò anche Cossiga in una intervista che gli feci per l’Ansa per cui ho lavorato per quasi 30 anni. “I servizi devono coprire anche a fronte di 80 morti se c’è da difendere l’interesse dello Stato”. E l’interesse è quello di coprire la presenza di altri Stati, fatto che comporterebbe scontri e contrasti che l’Italia non è in grado di reggere. Sandro Pertini rivelò ad un attonito collega del Corriere della sera che in uno scalo a Tripoli c’era stato un tentativo di danneggiare l’aereo per farlo precipitare in volo. È allora ora che si fa? chiese il giornalista. “E che facciamo? dichiariamo guerra alla Libia?”, rispose l’allora capo dello Stato.
Dilemmi di questo tipo si sono succeduti molte volte nella nostra storia recente. E per questo la mia ricerca ha come cifra proprio la presenza internazionale nei fatti eversivi e nelle stragi. È la parte più oscura ben più della italiana (in realtà Usa) P2. Ci sarà nel nuovo libro la spiegazione degli incastri internazionali che finora non si sono mai potuti dimostrare proprio per questa convergenza di interessi. È un caso che Mario Moretti abbia titolato il suo unico libro “Br: una storia italiana”. Non è una storia solo italiana. Ci sono state presenze, aiuti, alleanze, intromissioni, infiltrazioni, convergenze di interessi che oggi sarebbe scomodo presentare e giustificare. Se un capo della galassia Br si reca in viaggio negli Usa un mese prima per chiedere aiuto ai servizi americani per l’omicidio Moro (sì proprio cosi!!!!!!) si capisce bene che la chiave è internazionale e nessuno, né lo Stato, né le Br ne vogliono parlare.
Nell’ultimo periodo c’è stato un profluvio di articoli sul caso Moro. Recentemente è uscita un’intervista al generale Iucci il quale a un certo punto era stato incaricato di creare una sorta di forza speciale armatissima che sarebbe dovuta servire a liberare l’ostaggio, che però non entrò mai in funzione. Poi abbiamo letto un articolo di Gherardo Colombo, ma ce ne sono ancora altri. Secondo te questi recenti contributi aggiungono qualche cosa di nuovo a quello che si sa sulla vicenda?
Il profluvio di articoli e interpretazioni è direttamente proporzionale ai “buchi” logici e documentali presenti nella vicenda e continueranno anche se i protagonisti in vita sono sempre meno, purtroppo. Nel dokufilm abbiamo tre testimonianze rilevantissime di Tina Anselmi (raccolta anni fa) di Don Fabio Fabbri, l’assistente di Don Cesare Curioni che seguì passo passo la mediazione vaticana, l’unica che alla fine resistette, e di Claudio Signorile, all’epoca vice Segretario del Psi, che ha fatto affermazioni mai fatte prima proprio perché, credo, in linea, con la lettura dei libri e del dokufilm. Aspettiamo qualche rottura del silenzio a sinistra perché i Dc hanno scritto e detto molto. Ognuno può aggiungere qualcosa, il problema è dove si debba collocare quel tassello che emerge. Io mi ritengo un artigiano che costruisce il suo mosaico ed il problema è proprio dove si debba inserire quel tassello che emerge per contribuire a rendere intellegibile il mosaico generale. Anche via Fani per come vennero raccolte le testimonianza è un film senza montaggio, cioè non sappiano in quale parte del film quella testimonianza si debba inserire. È come se avessimo migliaia di frammenti di pellicola ma non il film che ci fa capire come andarono le cose. Qualcosa in più ci sarà nel prossimo libro.
(PRIMA PARTE)
Gianluca Ruotolo – Redattore, avvocato