Quando buona parte dell’Italia ancora parla in dialetto, all’avvento del boom mancano diversi anni e l’economia italiana è a vocazione agricolo-industriale nel nord e contadina nel sud, con il centro burocratico-amministrativo rappresentato dalla capitale, a quel tempo il Paese si prepara a una forma rudimentale di quello che, una trentina di anni dopo, parallelamente all’avvento del digitale, si sarebbe chiamato infotainment; un ibrido tra informazione e intrattenimento.
Dominus incontrastato delle trasmissioni radio-televisive sarà, per oltre 60 anni, Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, per tutti Mike. Grazie a lui, più o meno consapevolmente, anche il pubblico appena alfabetizzato impara che in inglese la “i” si pronuncia “ai”. Se non sempre, almeno molto spesso.
Il padre Philip, avvocato di successo a New York, veniva da una famiglia di artigiani siciliani originari di Campofelice di Fitalia, uno sparuto paesello nel Palermitano, emigrati nell’800 negli States e stabilitisi a New York, dove sembra che il capofamiglia avesse raggiunto il benessere grazie alla sua abilità di calzolaio. Philip, che aveva potuto andare all’università ma era orgoglioso delle sue origini, in un viaggio in Italia aveva conosciuto la torinese Enrica Carello, dell’omonimo gruppo industriale che produceva fanali per automobili. Il figlio Michael, nato il 26 maggio del 1924, dopo la crisi del ’29 e in seguito alla separazione dei genitori, segue la madre che si ristabilisce a Torino.
Nel capoluogo piemontese il ragazzo, che resta cittadino statunitense (acquisirà la cittadinanza italiana solo molti decenni più tardi), frequenta le scuole fino alla maturità classica, ma non si iscrive all’università. Appassionato di sport e in particolare di calcio (resterà sempre un grande tifoso della Juventus) vorrebbe fare il giornalista; comincia così a scrivere i primi trafiletti, naturalmente anonimi, nelle pagine sportive della Stampa. Nel 1943, subito dopo il liceo, per non cadere nelle mani dei tedeschi fugge in montagna, dove anche grazie alla sua conoscenza dell’inglese comincia un’attività clandestina di staffetta tra i partigiani italiani e gli Alleati operanti in Svizzera.
Nel ’44, forse per una delazione, mentre a Cravegna, vicino a Novara, attende disposizioni dalla Resistenza è scoperto dai tedeschi e arrestato. Lo salva dal plotone di esecuzione il suo passaporto americano; il comando germanico ritiene infatti di potersene avvalere in uno scambio di prigionieri e lo fa internare nel carcere milanese di San Vittore, dove resta per sette mesi, due dei quali in isolamento, e dove conosce Indro Montanelli, di lui maggiore di 15 anni, che in una sua autobiografia racconterà come il giovane Mike assistesse gli altri prigionieri nello scambio di messaggi e informazioni, sotto il naso della Gestapo.
Dal carcere meneghino Bongiorno è portato nel Campo di transito di Bolzano; qui subisce torture per mano di Michael Seifert, tristemente noto come Misha, un aguzzino ucraino naturalizzato tedesco. Successivamente passa in altri lager in Germania e da ultimo in Carinzia. Dal campo austriaco viene fatto uscire definitivamente nel gennaio del 1945, per uno scambio di prigionieri di guerra tra Usa e Germania.
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A guerra finita rientra negli Stati Uniti. A New York ottiene dal Dipartimento di Stato una sorta di tessera stampa governativa, che dandogli accesso a vari organi di informazione gli consente di riprendere a fare il giornalista, anche se non gli garantisce alcuna remunerazione. Ma è bravo e ha voglia di fare e più di una redazione gli offre ingaggi con responsabilità crescenti, dove mette a frutto la conoscenza eccellente delle due lingue. Al Progresso italo-americano il direttore e proprietario Generoso Pope gli affida una serie di ritratti in una rubrica molto seguita dagli immigrati, intitolata Voci e volti dall’Italia.
Cominciano intanto le collaborazioni radiofoniche alla Rai, il nuovo nome che l’emittente fascista Eiar ha assunto dal ’44 con lo sbarco degli Alleati. Il Radiocorriere lo chiama Michele Bongiorno, ma nonostante l’italianizzazione del nome gli resterà ancora per qualche anno un inconfondibile accento yankee. Nel 1948 si sposa con la cantante lirica italo-americana Rosalia Maresca, matrimonio che sarà annullato quattro anni più tardi dalla Sacra Rota, a causa della decisione di lei di non volere figli per non pregiudicare una carriera che, peraltro, resta sempre confinata in ruoli minori, malgrado gli appoggi della famiglia Kennedy, una delle più potenti d’America.
In quello stesso 1952 la stazione radio WHOM, di proprietà di Pope, che trasmette in italiano, lo manda come inviato in Italia, per una serie di servizi sulla ricostruzione del Paese uscito devastato dalla guerra. È la fortuna dell’intraprendente giornalista. Prima di lasciare gli Usa, Bongiorno aveva fatto interviste importanti, compresa una con Enrico Fermi, e realizzato lo scoop di intervistare il presidente Dwight Eisenhower sempre per la radio italo-americana.
Bongiorno viene notato dal giornalista e produttore radiofonico della Rai Vittorio Veltroni (padre di Walter, futuro segretario del Pd, sindaco di Roma, giornalista e regista), che gli offre un contratto di collaborazione al radiogiornale, non prima però di avergli fatto seguire un corso di dizione per eliminare ogni traccia di accento americano. Per il notiziario radio Mike, che se ha perso l’inflessione esotica ha però recuperato il diminutivo inglese che gli resterà per tutta la vita, realizza servizi di varietà, il cosiddetto colore, e telecronache sportive, calcio e soprattutto pugilato.
Il 1953 è l’anno delle sperimentazioni della nascente televisione e Bongiorno, nome che sembra un benaugurante pseudonimo, grazie alla bella dizione e al gradevole aspetto viene scelto per condurre il primo programma televisivo italiano dopo la cerimonia d’inaugurazione Arrivi e partenze (regista Antonello Falqui), come inviato dall’aeroporto di Ciampino.
È il 1º gennaio del 1954, una domenica pomeriggio. Nel frattempo seguita a lavorare per altre trasmissioni radio, come il Motivo in maschera, insieme al maestro Lelio Luttazzi, programma a quiz antesignano di quello che tra il 1955 e il 1959 lo consacrerà per sempre come “TV man” d’Italia, Lascia o raddoppia? Se non si è vissuti in quel periodo (io nel ’59 ero in prima elementare, ma ne conservo un ricordo vivido) è difficile rendersi conto del fenomeno rappresentato da quella trasmissione. L’Italia che tenta di uscire dalla povertà post-bellica, l’entusiasmo di ricominciare, le “diavolerie americane” introdotte dai soldati e poi confermatesi come generi di consumo.
Quel giovane uomo (all’epoca nessuno si sarebbe sognato di chiamare “ragazzo” un trentenne) è spigliato ma insieme serioso, scandisce bene le frasi in italiano con lieve inflessione milanese eppure, quand’è necessario, pronuncia l’inglese in modo così impeccabile che non si capisce niente, proprio come quando parlano gli attori americani, ma (a differenza di oggi) evita tanti inutili anglicismi, tipici spesso proprio di chi l’inglese lo conosce poco. I pochi che sanno qualcosa di una lingua straniera masticano un po’ di francese; qualcuno (un esempio fra molti) grazie al presentatore scopre con sconcerto che le macchinone dei “cinematografari” che si vedono nei filmati dagli Usa o qualche volta dal vero a Roma o Milano non sono le “cadijàc” ma le “càdilac”.
Al principio Lascia o raddoppia? viene trasmesso il sabato alle 21. Dura meno di un’ora ma basta a far svuotare le strade. I pochi che hanno un televisore (montato al ripiano superiore di un carrello metallico, con sotto uno stabilizzatore di tensione per evitare che sbalzi di corrente facciano saltare qualche valvola) quando c’è Mike non se la sentono di negare l’accesso a vicini e amici. Si può essere egoisti quanto si vuole, ma una seggiola non si può rifiutare, proprio come nel deserto l’acqua se la propria borraccia è piena. Per gli asociali che non hanno amici o non vogliono assumere obblighi ci sono i bar, che mai hanno benedetto un investimento come quello scatolone poggiato su un carrello alto alto che torreggia su un mare di teste. La visione del quiz, con i danari sotto forma di gettoni d’oro che (auri sacra fames!) mettono l’acquolina in bocca anche se li vincono altri, valgono bene la spesa di un cappuccino. Che se poi lo si abbina a un cornetto residuale del mattino spesso può fungere da cena. Al bar (o, come si chiamava ancora, al caffè) guai a parlare. Si viene zittiti in malo modo e non è raro che si arrivi alle mani. Qualche candido neofita del cubo sonoro, almeno ai primi tempi, alludendo ai personaggi dello schermo chiede: “Ma loro, a noi, ci vedono?” Nel ’56, meno di un anno dopo l’inizio della trasmissione, Mike viene spostato dal sabato al giovedì sera. La causa è una mezza sollevazione degli esercenti di ristoranti, trattorie, cinema e teatri, che di colpo vedono assottigliarsi pesantemente gli incassi proprio nella serata di maggior afflusso.
Lascia o raddoppia? è davvero un fenomeno di costume nazionale, con inevitabili rimbalzi anche in altri àmbiti. Così entrano a fare parte dell’immaginario collettivo figure nuove, come le vallette, per il momento ancora mute; le più famose sono Maria Giovannini e Edy Campagnoli; e poi ci sono i concorrenti più bravi o carismatici. Personaggi sulla bocca di tutti, che occhieggiano dalle pagine dei rotocalchi.
Per regolamento non possono essere professionisti nella materia in cui si presentano. Paola Bolognani, procace superesperta di calcio quando una donna allo stadio è una mosca bianca, risponde a tutte le domande e arriva a incassare il premio massimo, 128 gettoni d’oro, pari a circa 80.000 euro di oggi. Maria Luisa Garoppo, tabaccaia di Casale Monferrato poi diventata attrice e sceneggiatrice, oppure Lando Degoli, l’insegnante di matematica che si presenta per la musica classica e mostra una conoscenza superiore a un direttore d’orchestra.
E ancora concorrenti stranieri, tra cui il grande musicista classico statunitense John Cage, che partecipa rispondendo a quiz sulla micologia, o il nigeriano Olabisi Ajala, primo “negro” (allora si chiamano così, “neri” sono i fascisti oppure, in senso spregiativo e razzista, appunto gli africani) ad apparire in una trasmissione televisiva italiana. Rocky Roberts e Lola Falana sono ancora lontani.
Non può mancare l’abbinamento della trasmissione più seguita della televisione con il più celebre degli attori comici; ecco così il film di Camillo Mastrocinque con Totò a lascia o raddoppia? Ma non è certo l’unico film che Bongiorno interpreta per il cinema, dove impersona quasi sempre sé stesso. Titoli celebri e altri oggi dimenticati: C’eravamo tanto amati, Il giudizio universale, Sogni mostruosamente proibiti, Ragazze d’oggi, I miliardari.
Il grande schermo, dove Bongiorno appare in ben 11 film (un dodicesimo, Il cenerentolo, è una produzione televisiva), è però solo un extra per l’infaticabile presentatore. Il suo mondo restano i quiz. Come in un gioco di specchi, i concorsi a premi da lui ideati si riverberano sul conduttore, che ne inventerà sempre di diversi traendo da questi nuova ispirazione e quasi divenendo consustanziale ai giochi stessi e finendo col coincidere con il mezzo stesso che li veicola.
Uno degli autori che agli esordi della televisione proprio per Lascia o raddoppia? prepara le domande destinate ai concorrenti dei quiz è il giovane semiologo, filosofo, scrittore e traduttore Umberto Eco, destinato a diventare l’intellettuale più noto e citato d’Italia e uno degli autori più tradotti di sempre. In una sua prima raccolta di scritti non strettamente accademici, intitolata Diario minimo, Eco scrive un breve saggio destinato a fare scalpore, forse meno per il contenuto (sul quale c’è il sospetto che non sia stato letto da tutti quelli che ne hanno parlato) che per il titolo: Fenomenologia di Mike Bongiorno. Titolo che il sottile umorismo di Eco impiega per il più improbabile degli accostamenti, tra il complesso “romanzo filosofico” di Friedrich Hegel, la Fenomenologia dello spirito, e le caratteristiche del “bravo presentatore” e del mezzo che lo rappresenta, la televisione.
Bongiorno, che tra i numerosi suoi pregi non penso annoverasse l’autoironia, notoriamente si risentì col professore piemontese, sebbene non lo abbia esplicitato apertamente. Credo che i motivi all’origine della sua acrimonia fossero essenzialmente due: quella che riteneva una forma di ingratitudine di Eco verso chi, proprio con i quiz, aveva reso più facile far quadrare i bilanci domestici al giovanissimo collaboratore Rai; l’altro, forse con amarezza ancora maggiore, perché non si riteneva stimato a sufficienza dal promettente intellettuale. Credo però che gli sfuggisse il senso ultimo del saggio.
Che Bongiorno non sia stato e non fosse un uomo di cultura e un profondo intellettuale non è cosa che possa sfuggire ad alcuno. Non lo era, né ci tenne, o – direbbe Petrolini – ci tese mai. Era però tutt’altro che uno sciocco o uno sprovveduto “naif”. Questo Eco lo sapeva bene. Al di là dell’espressione del viso a volte non particolarmente acuta, tipica di chi come Mike non poteva fare a meno degli occhiali da miope, le banalità con cui punteggiava certe affermazioni dei concorrenti, le “gaffe” in cui spesso incorreva, erano quasi sempre volute. Tanto è vero che anche molto prima che i suoi programmi fossero trasmessi in diretta non volle mai tagliare le uscite “incriminate” o infelici, consapevole che i giornali le avrebbero riferite e commentate nei minimi particolari, portandogli una pubblicità che, per un animale da spettacolo come lui, era di vitale importanza.
A Eco, d’altra parte, nella Fenomenologia, pubblicata nel 1961, interessava puntualizzare il rapporto tra televisione e cultura di massa, tra stereotipi linguistici e banalizzazioni contenutistiche. Il televisore, che anche grazie ai quiz di Mike ben presto entra nelle case di quasi tutte le famiglie, dopo il frigorifero è l’elettrodomestico più diffuso, emblema del consumismo che esplode con la crescita dell’economia. Mike sa perfettamente che il segreto della sua popolarità è proprio l’apparente mediocrità, che non lo pone su un piano di elitaria superiorità rispetto al pubblico; che non mortifica mai l’eventuale strafalcione verbale o concettuale di un concorrente, ma, quando possibile, ne valorizza l’uso dell’italiano standard che, ancorché a tratti incerto, va sostituendo il vernacolo.
Come dice il massimo teorico dei sistemi di comunicazione di massa, il canadese Marshall McLuhan, il medium è il messaggio. Mike, ormai il suo nickname basta a identificarlo nell’Italia intera, sebbene inconsapevolmente trasformerà il binomio di McLuhan in una triade: medium, messaggio e chi lo veicola. Per diversi anni il conduttore diventerà egli stesso una sorta di ipostasi della televisione. Il saluto con cui si presenta ai telespettatori, “Allegria!”, fa ancora parte del costume nazionale e appare anche nel francobollo commemorativo appena emesso dalle Poste italiane: Mike in smoking bianco, su uno sfondo verde con l’inevitabile scritta di saluto e il nome seguito dalle due date, 1924 – 2009.
Nell’autunno prossimo il ‘Tv man” italiano sarà al centro di una miniserie di Rai 1 e sempre quest’anno ci sarà una mostra itinerante con tappe a Milano, Torino, Roma e forse altre città, per poi essere portata negli Stati Uniti, dove il nome del presentatore è ancora estremamente popolare tra gli italo-americani. Fatalmente, l’immagine di Bongiorno è anche al centro del business su cui il nuovo mezzo si regge, la réclame. Dal ’57 al ’77 è il protagonista di numerosi episodi di Carosello, pubblicizzando i prodotti più diversi, dalla grappa al detersivo, dalla birra ai cosmetici.
Finita l’era (da molti rimpianta) dei cortometraggi di Carosello, Mike resterà sempre come garbato “testimonial” di prodotti commerciali. Quasi impossibile trovare un genere a cui non si sia accostato. Commedia all’Italiana, promotore di manifestazioni sportive, “columnist” e titolare di rubriche su settimanali e pubblicazioni per ragazzi, Topolino in testa. Instancabile e ubiquitario, celebre per la meticolosità, sicuro di sé e, alla fine della carriera, piuttosto permaloso. Anche quando lo si vede in coppia con stelle del calibro di De Sica, Mina, Sordi si ha sempre il dubbio se a fare da spalla sia lui o l’ospite, per celebre che possa essere.
Solo in un ruolo è arrivato secondo e un po’ celiando e un po’ sul serio ha l’aria di adontarsene: è chiamato a presentare il festival di Sanremo solo undici volte, due in meno del recordman assoluto, l’amico-rivale Pippo Baudo.
Impossibile qui elencare tutti i programmi a quiz ideati da Bongiorno. I principali, a seguire Lascia o raddoppia?, sono titoli altrettanto noti, che hanno fatto la storia dei programmi d’intrattenimento televisivo: Campanile sera, La fiera dei sogni, Giochi in famiglia, Rischiatutto (in cui appare Sabina Ciuffini, che apre la serie delle vallette “parlanti”), Scommettiamo: tutti giochi, questi, prodotti e trasmessi dalla Rai.
Dopo il passaggio di Bongiorno alla televisione di Silvio Berlusconi, a parte un breve ritorno in Rai con Flash i quiz proseguono su Telemilano 58 e poi su Canale 5: I sogni nel cassetto, Bis, Superflash, Pentatlon, Telemike, La ruota della fortuna, Tris, Tutti per uno, Allegria!, Genius (riservato ai ragazzi), Il migliore, programma su Rete 4, con cui nel 2007 termina la serie dei varietà a quiz sulle reti Fininvest. Il canto del cigno dell’ubiquitario presentatore è come la chiusura di un cerchio, visto che avviene in radio e alla Rai.
Chiamato da Fiorello – secondo molti critici lo showman radiotelevisivo più brillante che si sia mai avuto in Italia – Mike partecipa telefonicamente all’ultima serie del programma Viva Radio 2 che Fiorello, che nel frattempo è diventato un suo buon amico, conduce dal 2001 al 2008. Ma perché Bongiorno, dopo oltre 30 anni di permanenza alla Fininvest (poi Mediaset), dove arriva a essere vicepresidente di Canale 5, chiude i rapporti con la televisione commerciale di cui era stato il re indiscusso, e con il patron/padrone che tanti anni prima lo aveva strappato alla Rai con una valanga di danaro? La ragione non è chiarissima.
Forse, ipotizzo, Berlusconi, tanto largo di manica quando doveva procedere a una nuova conquista – che fosse un affare da strappare alla concorrenza, una donna o un candidato politico – ma vendicativo verso chi riteneva che lo avesse “tradito”, non gli aveva perdonato di avere legato con Fiorello e di stare pensando addirittura a un nuovo programma su Sky, intitolato Riskytutto, poco prima che un infarto ne provocasse la morte a 85 anni.
Fiorello, a sua volta, agli occhi di Berlusconi era doppiamente reprobo: perché dopo i successi nella TV commerciale aveva lasciato il Biscione per passare alla Rai e poi per aver convinto il patriarca Mike a fare altrettanto. Del distacco da sua Emittenza, che lo aveva scaricato anche come amico, Bongiorno aveva sofferto. Il figlio Nicolò, regista e produttore cinematografico, nonché designato dalla madre e dai fratelli a essere il presidente della Fondazione intitolata a Mike, pur senza entrare nei particolari ha detto che dopo che i rapporti con Mediaset si erano fatti complicati il padre, vistosi emarginato dalla cerchia degli amici del “Cavaliere”, per mesi aveva sperato in una telefonata riappacificatrice. Alla fine pare che Berlusconi gli avesse parlato, ma l’esito della telefonata non deve essere stato molto felice se nessuna delle due parti ha mai voluto dare spiegazioni al riguardo.
Bongiorno, che sul piccolo schermo sembrava la bonomia e l’olimpicità in persona, poteva avere momenti in cui mostrava una natura fumantina e permalosa. Alcune sue sfuriate dietro le quinte sono rimaste memorabili, ma per i telespettatori sono episodi rari quanto trascurabili. In effetti, della propria vita privata “Mr. Allegria” mostra ciò che non può negare al suo pubblico, avido di particolari, ma è solo una pellicola superficiale, oltre la quale il suo riserbo è difficilmente penetrabile.
Così ben poco si è mai saputo del secondo matrimonio, con la giornalista anticonformista e a quanto pare contestatrice Annarita Torsello, avvenuto a Parigi nel 1968 ma durato appena due anni. A dargli la felicità coniugale e a renderlo “un uomo migliore”, come dichiara egli stesso nell’autobiografia pubblicata nel 2008, è il terzo matrimonio, con Daniela Zuccoli. Dall’unione con Daniela, sposata nel 1972, nascono i tre figli maschi della coppia, Michele, Nicolò e Leonardo.
Secondo varie fonti stampa che seguono la gente di spettacolo, risulta che Daniela abbia avuto uno sbandamento sei anni dopo le nozze con Bongiorno, arrivando anche a vivere un breve periodo da bigama per aver sposato a Las Vegas il socio in affari, nel campo della moda, Walter Fusari, un personaggio dalla vita torbida che in seguito avrà anche rapporti col mondo degli stupefacenti. Mike, che con le due donne sposate in precedenza aveva avuto relazioni burrascose anche per il suo carattere difficile, ben diverso dall’immagine paciosa che teneva a dare di sé con i milioni di suoi fan, di fronte al tradimento di Daniela sa essere longanime e di mentalità aperta.
Assodato che la moglie non ha più alcun interesse per Fusari (che morirà nel 2014 a 68 anni), chiude quella pagina familiare dolorosa, accettando che la storia della moglie rientri e il matrimonio bis di lei sia disciolto. I maligni, al tempo, pensano che anche lui deve aver avuto qualcosa da farsi perdonare. La coppia Bongiorno-Zuccoli, comunque, nonostante alcuni scossoni nel loro ménage resiste sino alla morte del presentatore, più grande di lei di 26 anni. Dopo una lunga vedovanza, la Zuccoli ha fatto sapere di essere coinvolta in una nuova relazione. Al riguardo circola anche un primo nome, particolare che sinceramente non mi pare fondamentale ricordare.
Mike muore all’improvviso l’8 settembre del 2009, durante un soggiorno a Montecarlo con la moglie Daniela. Come si è detto sta pensando, a 85 anni, al nuovo progetto, naturalmente un programma a quiz da lanciare su Sky. Lui e Daniela sono contenti per la nascita, due giorni prima, di una nipotina. Il governo annuncia per lui funerali di Stato nel Duomo di Milano, dove una folla enorme, le cronache riferiscono di diecimila persone, vuole dargli l’ultimo saluto. Gli resta, probabilmente, l’amarezza per la mancata ricucitura dei rapporti con Berlusconi; che alla fine si fa vivo, ma senza che nulla trapeli della conversazione. Non tanto da Bongiorno, che riservato com’è non avrebbe fatto pettegolezzi, ma da Berlusconi, al quale, forse, avrebbe fatto piacere far sapere a tutti che con l’antico sodale era tornato il sereno. Se non professionalmente, ché la rottura ormai era consumata, ma sul piano personale. Ma il tenore reale di quella conversazione resta un mistero. Il penultimo, nella vita di Mike.
L’ultimo riguarda una vicenda macabra che avviene quasi un anno e mezzo dopo la sua morte. Il 25 gennaio del 2011 mani ignote trafugano il feretro di Bongiorno dal cimitero di Dagnente, nel Novarese, dove i familiari hanno stabilito che la salma fosse sepolta, avendo rifiutato di farla collocare nella cripta del famedio del cimitero monumentale del capoluogo lombardo. Indagini accuratissime, condotte dagli inquirenti e da agenti privati della famiglia, non approdano a nulla, con l’esclusione di diversi mitomani.
L’8 dicembre dell’anno successivo, la bara è ritrovata assolutamente intatta nella campagna circostante il comune di Vittone, presso Milano. Uno scenario gotico che, data la assoluta mancanza di indizi o motivazioni plausibili sfocia nell’assurdo. Daniela e i tre figli, per evitare che azioni del genere possano ripetersi, anche per emulazione, fanno cremare il corpo. Le ceneri vengono disperse in una vallata del Cervino, in Valle d’Aosta, luogo che Mike, appassionato di sci e di alpinismo, amava particolarmente.
Carlo Giacobbe – Giornalista
Sullo stesso tema On Air! The Skill ha raccolto il contributo di Massimo Scaglioni, ordinario di Storia dei Media all’Università Cattolica di Milano. Ascoltalo su Spotify!