Passato un anno la guerra in Medio Oriente prosegue e non sembra nemmeno vicina alla sua fine. Finora sono 42mila i cittadini palestinesi che hanno perso la vita a causa della reazione israeliana ai massacri del 7 ottobre 2023. In un panorama dove la risposta smisurata sta provocando danni che avranno echi nel tempo e sulla stabilità del Medio Oriente, i diritti umani sembrano essere completamente dimenticati. Cosa è cambiato dopo un anno di guerra? Tanto ma in peggio. Abbiamo parlato con il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury, che ha spiegato quali violazioni sono state compiute dalle parti in conflitto e quale potrebbe essere il futuro di Gaza e delle altre zone colpite dalle violenze.
Dopo un anno di conflitto la guerra non sembra per nulla vicina alla sua fine. Cosa è cambiato dal 7 ottobre 2023?
A Gaza resta poco oltre a macerie, devastazione, fame e tempi di recupero sul piano fisico e psicologico dei feriti nonché tempi di ricostruzione che sono inqualificabili. La guerra ha scavato un solco tra coloro che a Gaza avevano idee diverse da quelle di Hamas rispetto alla convivenza… è stata una fucina di odio reciproco e non ne vediamo la fine.
Qui il conflitto sembra sparire dai nostri orizzonti perché ora l’attenzione è su quello che sta succedendo in Libano e in futuro forse sull’Iran.
C’è un dato che ha diffuso la rivista britannica Lancet: si stima che per la fine del conflitto ci saranno almeno 186mila morti nella Striscia di Gaza. Significa che altre generazioni sono condannati ad anni di guerra?
Sebbene questo dato sia una proiezione, questo significherebbe condannare le famiglie – o ciò che ne è rimasto – a un lutto che sarà difficile da superare. Sul piano generazione, i bambini sopravvissuti a questa guerra cresceranno in un ambiente fortemente militarizzato e impoverito, difficilmente potranno parlare del futuro e penseranno a sopravvivere nel presente… bisognerà capire quali possono essere i tempi per un ripristino delle strutture sanitarie che, come sappiamo, sono state largamente danneggiate o demolite.
Come è cambiato lo ius belli dopo quello che è successo nell’ultimo anno di guerra?
Già dal febbraio del 2022 con la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina tutto il sistema creato alla fine della seconda guerra mondiale per proteggere i civili dai conflitti attraverso le Convenzioni di Ginevra del 1951 e i Protocolli dei decenni successivi è andato in crisi. L’obiettivo di quel sistema era proteggere i civili, ma negli ultimi anni i civili sono stati le prime vittime.
Quando parliamo di crimini di guerra e diritto internazionale umanitario parliamo di crimini contro l’umanità, che come si legge nei mandati di arresto sollecitati dal procuratore della Corte penale internazionale riguardano la dirigenza politico militare di Hamas e di Israele. All’esame della Corte internazionale di giustizia c’è l’ipotesi che Israele abbia commesso anche il crimine di genocidio, ma ci vorranno anni prima delle sentenze.
Si spera che i mandati di cattura voluti dal procuratore del CPI siano emessi. Uno – o forse due -delle personalità coinvolte di Hamas sono state eliminate, da parte di Israele ci auguriamo che Netanyahu e Gallant siano raggiunti da questi mandati di cattura.
Non è sfuggito a chi si trovava in piazza il 5 ottobre la presenza di Human Right Watch: una guerra così lontana mette a rischio anche i diritti in Occidente?
Amnesty International ha constatato un fenomeno nelle prime settimane dopo il 7 ottobre 2023: le proteste in solidarietà con la popolazione palestinese di Gaza hanno conosciuto ostacoli, se non una repressione, attraverso divieti ed uso eccessivo della forza. Questo è avvenuto in molti Stati europei: Gran Bretagna e Germania hanno rappresentato casi particolarmente importanti ma non si può nascondere che problemi ci sono stati anche in Italia sull’uso della forza.
Non si tratta solo dello scorso 5 ottobre ma anche manifestazioni sulle quali Amnesty ha fatto analisi approfondite come quelle a Pisa o a Torino. La guerra provoca una contrazione di spazi di libertà a chi vuole esprimere solidarietà alle parti colpite o che vogliono esprimere una proposta diversa.
L’atteggiamento di Israele nei confronti dell’Onu costituisce un caso unico. Non è mai successo che uno Stato arrivasse a rivolgersi ad un segretario delle Nazioni Unite con toni così forti…
Costituisce un caso unico anche se le critiche alle Nazioni Unite non sono certo una novità. Il fatto di considerare il segretario generale direttamente bersaglio di queste critiche certamente è un fatto molto grave.
La stessa ostilità è stata mostrata verso organismi per i diritti umani delle Nazioni Unite e verso la Corte penale internazionale, questo concetto di autodifesa si traduce in una richiesta di impunità sul piano giudiziario e solidarietà sul piano politico che fa molto preoccupare.
Una volta terminato il conflitto cosa sarà necessario per Gaza, Libano e Cisgiordania? Dalle immagini che arrivano da questi territori sembra che ci sia tanto da ricostruire…
Serve un futuro nel quale non ci siano più conflitti del genere e che la popolazione sia vista come titolare di diritti e non meramente bisognosa di aiuti umanitari. Ci vogliono diritti, giustizia, è necessario ripensare ad un sistema che non funziona.
Il trattato sul commercio di armi del 2014 a breve compirà 10 anni e nonostante tutto gli Stati occidentali lo hanno violato più volte mandando armi a Israele, altri Stati invece hanno mandato armi ad Hamas. Questo è solo uno dei conflitti che vede la violazione di questo trattato, le norme che si è data la Comunità internazionale vengono tranquillamente aggirate.
Francesco Fatone – Giornalista