Motori aeronautici di ultima generazione “cannibalizzati” per ricavarne pezzi di ricambio e apparecchi a terra in attesa della manutenzione e dell’aggiornamento dei propri propulsori. È la fotografia del settore raccontata nei giorni scorsi dal Corriere della Sera relativa alla vicenda dei propulsori Pratt & Whitney PW1000G, gioielli di efficienza nati per ridurre consumi ed emissioni, ma che oggi si rivelano più fragili del previsto, con quasi la metà dei velivoli equipaggiati con questi motori è ferma. Dietro il dato tecnico, c’è una questione più ampia: quella del rapporto tra progresso e maturità tecnologica. L’industria dell’aviazione si trova così di fronte al classico conflitto tra prestazioni e affidabilità. Come spiega Gregory Alegi, storico ed esperto di aviazione: “Tutti vorrebbero motori economici, affidabili ed ecologici, ma oggi siamo a un livello tecnologico in cui i progressi diventano difficili da ottenere e ogni passo avanti si paga in complessità e fragilità”.
Il progresso non è facile
Il problema dei nuovi modelli, spiega Alegi, nasce “dal divario tra quanto ipotizzato in fase di test e poi le condizioni reali di impiego di questi sistemi, evidentemente più duro di quanto previsto”. Nel motore in questione, il PW1000G, la “G” sta per “Geared” (letteralmente “orientabile” o “a marce”), cioè con un diverso regime di rotazione dei vari stadi per ottimizzare il funzionamento del sistema (per fare una analogia grossolana, come le marce di una auto). Questo, però, crea una complessità meccanica nella speranza di un risparmio. Per Alegi: “Questi nuovi motori hanno turbine che lavorano a temperature superiori al punto di fusione del metallo e hanno bisogno di sistemi di raffreddamento incredibili e nuovi materiali; livelli tecnologici che sono un monumento all’ingegno alla capacità realizzativa umana, ma che devono funzionare tutti i giorni”.
L’ottimo, nemico del buono
Non è la prima volta che motori nuovi di zecca danno problemi. In alcuni casi, come il PW1000G, il problema è quello di un salto generazionale che deve avere il tempo di maturare. Altre volte, derivazioni eccessive da un progetto consolidato, alla ricerca di prestazioni migliori, può portare a risultati subottimali. È il caso, per esempio dei motori Trent di Rolls-Royce, anche loro coinvolti in una serie di problemi. “Bisognerebbe valutare con attenzione – osserva Alegi – la possibilità di estrapolare versioni più aggiornate partendo da motori con un’architettura classica, cercando miglioramenti dello zero virgola che, nel sistema complessivo, valgono quel che valgono”. Il paradosso, aggiunge, è che “motori di pochi anni fa offrono prestazioni simili a quelli nuovi, ma con margini di affidabilità molto più alti. All’inizio degli anni Duemila, un motore Rolls-Royce RB211 di un Boeing 757 di Icelandair aveva superato 15mila ore di volo senza problemi, solo con manutenzione ordinaria”.
È un problema serio, ma temporaneo
Alegi invita però a non cedere al pessimismo: “La storia ci insegna che questi problemi si risolvono col tempo, man mano che la tecnologia si consolida”. L’attuale crisi non è un’eccezione ma una tappa di un processo storico. “Ogni volta che si compie un salto generazionale si riparte quasi da zero, e servono anni di esperienza per tornare ai livelli di affidabilità precedenti. Arrivare a livelli di affidabilità alti richiede una quantità enorme di esperienza operativa. Ogni nuova architettura è come un reset: bisogna ricominciare tutto daccapo”.
Il dilemma delle compagnie
Tuttavia, ciò non toglie che l’impatto per le compagnie sia reale e pesante: “Le linee aeree vendono regolarità e affidabilità: partire e atterrare (tutti interi) quando e dove promesso. Tutto ciò che mina questa promessa è un problema, anche se sappiamo che, prima o poi, si risolverà”. Per i vettori, l’innovazione è un investimento che deve avere senso economico, non solo tecnico. Alegi cita l’esempio di Ita Airways, che ha puntato sul rinnovamento della flotta come segno di rilancio: «È una scelta inevitabile, ma espone a queste dinamiche. Si entra nel trade-off tra il risparmio dello zero virgola sui consumi e l’aumento dei costi di manutenzione, di fermo macchina e di gestione”. E la domanda resta aperta: “Magari si risparmiano X dollari di carburante per volo, ma conviene sul piano complessivo? Se il tempo per rientrare dall’investimento supera il ciclo di vita dell’aereo, il gioco non vale la candela”.
Come uscirne
“È come dice il proverbio – scherza Alegi – come si mangia un elefante? Una fetta alla volta”. Il progresso aeronautico, spiega, “è fatto di evoluzioni lente, incrementali, miglioramenti non spettacolari ma cumulativi. Quando arriva una novità rivoluzionaria, si sa già che porterà con sé dei guai che verranno risolti nel tempo”. La crisi dei motori dovrebbe servire da campanello d’allarme per l’intero comparto aeronautico. Non per frenare la ricerca, ma per ricordare che ogni innovazione, prima di essere rivoluzione, deve essere assimilata. La propulsione del futuro promette miracoli, che sia elettrica, ibrida, a idrogeno, ma serviranno decenni per raggiungere gli standard di affidabilità delle nuove tecnologie. “Una tecnologia nuova – avverte Alegi – porta con sé una marea di nuovi problemi pratici da risolvere. Si avrà un nuovo elefante, ma sempre una fetta alla volta andrà mangiato”.




