Luoghi e uomini della speranza. Un’interessante testimonianza sulla visita in un luogo iracheno della speranza

Una riflessione del cardinale Fernando Filoni sulla giornata internazionale della Fratellanza umana, che si celebra oggi. Con una interessante testimonianza sulla visita in un luogo iracheno della speranza.

Il Giubileo della Chiesa Cattolica è già partito e Papa Francesco lo ha dedicato alla speranza. C’è un luogo della speranza che mi piace qui ricordare, perché ignoto a tantissimi (eppure così importante per la storia della rivelazione divina) e anche a quegli stessi popoli del Medio Oriente che, a motivo delle guerre, delle divisioni etniche e religiose, lo hanno addirittura quasi dimenticato.

Nella primavera del 2002, accompagnato da alcuni amici iracheni, andai ‘pellegrino’ a Kafel-al-Hilla. Non lontano sorgono i resti dell’antica Babilonia dei Caldei; più a sud, ad al-Najaf, risiede oggi l’alta autorità spirituale degli Sciiti, il Grande Ayatollah al-Sistani, che il 6 marzo 2021 fu visitato da Papa Francesco. Un momento indimenticabile per musulmani sciiti e cristiani.

A Kafel-al-Hilla si trova un’antica sinagoga con scritte in ebraico ben visibili, meta di pellegrinaggi di musulmani e dei pochi cristiani che si avventurano fin là, ma di nessun ebreo, da quando le ultime comunità furono espulse dall’Iraq a seguito delle guerre arabo-israeliane del secolo scorso.  Là un’antica tradizione indica l’esistenza della tomba di Ezechiele profeta.  Il luogo è sacro. Il sepolcro è circondato da una grata che lo protegge; questo è un sito di preghiera, molto amato specialmente dalle donne sciite che vi si recano per chiedere aiuto per una maternità incipiente o in fase conclusiva. Oggi dovremmo aggiungere per la pace, la concordia tra i popoli e il rispetto dei diritti religiosi di tutti.

Ezechiele profeta, dunque, là è ancora vivo nella venerazione di tanti. Se nella regione babilonese si dice che aleggi lo spirito di Ezechiele profeta, lì deportato nel 597 a.C. con Joachim, re di Giuda, a Ninive (oggi Mosul, a nord dell’Iraq), si dice che aleggi ugualmente lo spirito di Giona, il predicatore della conversione: ma la sua tomba, profanata e distrutta recentemente dall’Isis, sarà ancora luogo di speranza?

Biblicamente parlando, Ezechiele è considerato il Profeta dello Spirito di Dio; egli, con visioni grandiose, esortava gli esuli, consolava e educava alla speranza, ricordando che Dio stesso darà «un cuore nuovo e uno spirito nuovo» (Ez 11, 19). Di lui si ricorda in particolare la visione emozionante della pianura di ossa aride (cfr. Ez 37, 1-14) che si animano e riprendono fattezza umana, tanto da formare una moltitudine sterminata di esseri viventi; questa visione porta con sé, e per sempre, un oracolo del Dio altissimo di fraternità per tutti i popoli. È stato poi scritto che Ezechiele predicasse la benevolenza divina, la quale precede il pentimento: un’intuizione spirituale che aiuta a riflettere sulla prossimità della grazia.

Nei giorni bui di Isis, quando nell’estate del 2014 veniva occupata Mosul e poi buona parte della Piana di Ninive e migliaia di cristiani, yazidi e musulmani erano costretti a fuggire cercando scampo nel Kurdistan orientale e settentrionale, il Papa concepiva l’idea di un viaggio in quella regione. L’instabilità dell’Iraq procrastinò lungamente quella visita apostolica a cui si erano poi aggiunte anche le preoccupazioni per il Covid-19.  La visita pastorale di inizio marzo del 2021 fu un gesto di intensa solidarietà e di speranza e, in una terra troppe volte sconvolta dagli odi, tornavano alla mente le parole non solo del menzionato Giona a Ninive (VIII sec. a.C.), ma anche quelle di Nahum nell’Assiria (VII sec. a.C.) e appunto di Ezechiele a Babilonia (VI sec. a.C.).

Uomini della speranza e luoghi, che in tante circostanze, sono divenuti simbolo di ritorno a Dio e di solidarietà, così agognata anche oggi in tempi di difficoltà.  Nel tempo dell’afflizione, insegna la Sacra Scrittura, Dio visita il suo popolo; lo ricorda il Libro dell’Esodo (cfr. Es 4, 31) e lo pensava la folla al tempo di Gesù, perché il bene che Cristo compiva, realmente infondeva fiducia e faceva capire che il Signore stava visitando il suo popolo (cfr. Lc 7, 16).

In tutto il Medio Oriente, e specialmente oggi in Israele, Palestina, Siria, Libano, Iran e Iraq c’è ancora bisogno di una visione profetica che induca i popoli alla speranza, alla fraternità e alla pace attraverso il rispetto dei diritti di tutti, maggioranze e minoranze; c’è bisogno di un ‘Anno Santo’ per tutti di cui la Chiesa non può che essere promotrice. Un soffio caldo, che ridia vita ai tanti uomini, donne, bambini, anziani e giovani, duramente perseguitati e discriminati e ai quali resta il deludente sogno di abbandonare la propria terra per migrare altrove.  C’è bisogno di ricomporre le innumerevoli fratture di questi popoli e di questi luoghi; c’è bisogno che ebrei, cristiani, sciti, sunniti, kurdi, yazidi, mandei e tutte le altre minoranze trovino insieme una civile convivenza nel rispetto dei diritti per tutti.

La fraternità è possibile se c’è lo Spirito di Dio.  Se la speranza non è uccisa e si dà vita ad un tempo di grazia. E favorire tutto ciò spetta prima di tutto ai popoli e alle autorità civili e religiose della Regione e poi a tutti contribuirvi.

 

Fernando Card. FiloniGran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Già Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli

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