Lasciamo le cosmogonie ai commentatori cosmogonici-anche perché i risultati italiani del voto europeo, siamo onesti, tutta questa sorpresa non la destano- e cerchiamo di focalizzarne uno solo: quella sciagurata débâcle della terra di mezzo calendian-renziana.
Leggiamola così: la Destra, sommando le percentuali ottenute dai tre alleati (tutti in crescita rispetto alle ultime politiche) raggiunge il 47,6 %, guadagnando 3,81 punti sui risultati del 2022 che portarono la Meloni al governo. La Sinistra del Pd (all’epoca del voto politico anche con la Bonino), Verdi e Fratoianni, passa dal 26,12 % del 2022 al 30,6% di oggi, con un incremento del 4,48. Se però volessimo conteggiare, seguendo la pista sinistra/sinistra e la politica di solidarietà gauche della Schlein, anche il malconcio pentastellato (che però un ridimensionamento doveva aspettarselo: quando mai i Cinque Stelle se la sono cavata in elezioni con il voto di preferenza?), dovremmo aggiungere un quasi dieci per cento, arrivando al 40,5.
La piattaforma di sinistra, antagonista del centro-destra, dunque, secondo questa ipotesi, avrebbe uno svantaggio di almeno sette punti e si rappresenterebbe pochissimo attraente per quel necessario apporto elettorale del popolo “centrista” che farebbe la differenza per rendere contendibile la tenzone. Senonché quella “terra di mezzo” che a queste elezioni ha pensato bene di presentarsi a pezzetti, se reincollata (Renzi-Bonino 3,8, Calenda 3,3%) farebbe proprio un 7,1% tondo tondo. Che porterebbe equilibrio dal lato centrista alla piattaforma alternativa alla destra, facendola salire al 47,6%: esattamente lo stesso peso del centro-destra. Partita contendibile dunque.
Naturalmente i numeri in politica non si calcolano con accostamenti algebrici semplici semplici: ammesso e non concesso che ci fosse voglia di farlo, è tutto da dimostrare che l’accostamento di più soggetti politici diversi porti al risultato della loro sommatoria. Di fatto, però, la spinta verso il bipolarismo impressa dalle due leader capofila di destra e sinistra sembra porre un problema molto serio a chi è fuori, spingendo per convergenze piuttosto che per distinzioni. Quando poi le distinzioni non sono rintracciabili sul piano ideologico-programmatico -nel caso di specie Renzi, Calenda e Bonino sono in Europa tutti e tre con Macron nel partito di Re-New- ma su quello, diciamo così, delle pregiudiziali, siamo davanti ad un colpevole spreco.
Quando la lotta politica si polarizza e assume le sembianze digrignate del conflitto, diventa difficile l’appello alla ragione e il Centro, invece, questo appello fa per antica vocazione. Ma la ragione senza condivisione di un progetto strategico che metta insieme quello che c’è ed ha già dato prova di funzionare alla prova del voto (alle politiche del 2022 Renzi-Calenda facevano un 7,7% suscettibile di proporsi come nucleo per uno sviluppo futuro), non è neanche avvertita. C’è da scommetterci: quel calo ulteriore di partecipazione al voto europeo di quasi il 5% rispetto alle ultime, ha dentro una quota significativa di voto non estremo ma centrista. Che non ha più trovato un motivo per andare a votare.
Che succederà adesso, allora?
Se la Meloni può dirsi soddisfatta del risultato della compagine di governo dove c’è tutto, la destra sovranista di Vannacci-Salvini, quella in doppiopetto di sé stessa, e quella liberalpopolare del Tajani che vigila il fronte centrista, così non è per la proposta alternativa della Schlein che non ha la capacità inclusiva perché manca l’avallo dell’area liberal-progressista che guarda al centro.
Insomma manca ciò che nell’altro versante fa Forza Italia per certificare l’agibilità dell’alleanza tra i moderati. Certo, se fosse possibile pensare in termini più larghi ci si misurerebbe sul sogno di un grande centro all inclusive, ma quella è l’eterno scivolamento verso il modello democristiano, l’ostacolo vero ad ogni plausibile ragionamento sulle cose fattibili. Si cominci allora con il poco, con quello che già c’è: se si mostra solido e non allo stato gassoso, altri seguiranno, ci sono ancora due anni prima delle politiche.
Se del caso i centristi inciampati nel loro egotismo stendhaliano facciano una seduta insieme di training autogeno, tirando su il respiro e ricominciando da quel che c’è. Chissà se, dove non arriva la logica politica, possa arrivare la concentrazione psichica passiva che, si sa, rimette in funzione tutte le risorse organiche. Si chiama autogenicità.
Pino Pisicchio – Professore di Diritto pubblico comparato. Già deputato in varie legislature, già presidente di Gruppo parlamentare, di Commissione, Sottosegretario. Saggista